di Maria Lucrezia VICINI
L’Amore Divino che abbatte l’Amore Profano ( cm. 50 x73, inv. 318)
Calco in gesso di Francesco Duquesnoy detto il Fiammingo (Bruxelles 1597-Livorno 1643)
“In casa d’alcuni Signori, et Principi si conservano de suoi modelli con stupore degl’intendenti che li mirano et, amirano; come nel Palazzo del Cardinale Camillo de Massimi …o del Cavalier dal Pozzo”(Passeri)
Bernardino Spada acquistò o commissionò il suddetto “modello” direttamente dallo scultore nel 1633
Duquesnoy realizzò più rilievi con questo soggetto, identificati grazie ad una testimonianza del Bellori, suo maggiore biografo, il quale nelle Vite riferisce che l’artista, ispirandosi agli Amori di Tiziano
”Figurò l’amore divino che abbatte amor profano, calcandolo col piede, e chiudendogli la bocca con la mano per farlo tacere, mentre un altro fanciullo inalza la corona di lauro in premio della vittoria immortale; e così egli variò l’invenzione di Annibale Carracci nella Galleria Farnese” (1).
La variazione consiste nel fatto che nell’affresco della Galleria Farnese i due putti in combattimento in ognuno dei quattro pennacchi della volta, con favole tratte dalla mitologia greca (2), sono raffigurati in piedi, mentre nel nostro rilievo sono disposti per terra, in colluttazione gioiosa così come solitamente appaiono nella statuaria antica e nei sarcofagi, a cui l’artista potrebbe ulteriormente aver guardato (3).
Un esemplare in marmo è murato nel salone Aldobrandini della Galleria Doria Pamphili, fino al 1960 collocato nel teatro del giardino della villa Pamphili fuori Porta San Pancrazio. Un altro in gesso è presso il Museo Calouste Gulbenkian a Lisbona (4).
Sulla paternità del rilievo Spada sono state avanzate diverse ipotesi che lo volevano modello preparatorio per il marmo o solo un calco antico. Accertato il suo stato di calco in gesso nel restauro del 1996, stilisticamente rimane affine ai putti che corredano sia il monumento funebre di Adriano Vryburch, eseguito dal Duquesnoy nel 1629, sia quello successivo degli anni 1633-1640, di Ferdinand van der Eynde, entrambi nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma. Gli ultimi studi lo vedono tirato dal calco di Lisbona che pertanto è considerato suo originale (5).
Il rilievo Spada sarebbe quindi una di quelle
” forme di gesso..che vanno in giro..e che sono di grande aiuto ai Professori “
cui fa riferimento il pittore e storiografo Giuseppe Passeri quando parla del Duquesnoy, ritenendolo come aveva fatto il Bellori, fortemente attratto insieme al Poussin, dalle figure degli “Amorini schersanti de gli Amori” di Tiziano (6).
Non a caso l’opera è stata variamente replicata dagli artisti del ‘600 in calchi in gesso, bronzetti e placchette di metallo e avorio. Tra le copie più note è da ricordare quella in porfido (cm. 55×113) commissionata dal cardinale Francesco Barberini intorno al 1631 a Tommaso Fedeli (doc.a Roma dal 1619 al 1631), per donarla a Filippo IV di Spagna, ora al Museo del Prado e che rappresenterebbe l’ante quem per il bassorilievo Pamphili, considerato uno degli originali del Duquesnoy.
Sono ancora da segnalare il rilievo in marmo dell’Institute of Arts di Detroit (7) e le repliche in avorio della Galleria Liechtenstein di Vaduz e del Victoria and Albert Museum di Londra(Inv. 1060-1853). Il soggetto è stato variamente ripreso anche da altri pittori, in dipinti come la “Domestica alla finestra” (1655 ca) del Museum Boymans-van Beuningen di Rotterdam, e la “Venditrice di polli” della National Gallery di Londra di Gerrit Dou, e nella Scuola di scultura di Gerard Thomas della Galleria Doria Pamphili di Roma.
Putti in lotta tra loro come nel rilievo, sono identificabili anche nel “Baccanale di putti” della Galleria Borghese, eseguito in pietra paragone da Giovanni Campi tra il 1649 e il 1651 (8).
Ma i gessi da opere dello scultore incontrarono anche il gusto dei collezionisti, come lo stesso Passeri riporta:
“In casa d’alcuni Signori, e Principi si conservano de suoi modelli con stupore degl’intendenti che li mirano et, amirano; come nel Palazzo del Cardinale Camillo de Massimi….o del Cavalier dal Pozzo”( 9).
Il cardinale Bernardino aveva preferito un calco autografo che custodiva negli ambienti del Guardaroba, come risulta nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1661, descritto come:
“Un quadro di stucco con cornice dorata” (10).
Sia lui che il fratello Virgilio erano entrati in contatto diretto con il Duquesnoy nel 1633, quando gli avevano proposto l’esecuzione del gruppo marmoreo della “Decollazione di San Paolo” per la Cappella Spada in San Paolo Maggiore a Bologna, successivamente affidata all’Algardi (11). Fu sicuramente durante queste frequentazioni che il cardinale divenne proprietario dell’opera, commissionandola o acquistandola direttamente all’artista.
Nell’inventario dei beni mobili della famiglia Spada del 1759, il rilievo compare esposto con la giusta attribuzione nella Stanza del sole, al piano terra di palazzo Spada, insieme alle opere di archeologia, citato semplicemente come: “Rilievo di Duquesnoy” (12). Anche nel Fidecommesso del 1823, compare nel medesimo ambiente, così descritto:
“Altro bassorilievo in marmo bianco con cornicie di pietra detta bianco e nera” (13).
Non rintracciabile negli elenchi inventariali del 1862 e nella ricognizione di Pietro Poncini del 1925, nella stima inventariale operata in questo anno da Federico Hermanin si ritrova invece elencato tra le opere della prima sala del Museo con la valutazione di lire 2.000 e ricordato come: “Rilievo di stucco con putti scherzanti: lavoro romano del ‘600” (14).
Riconfermato al Duquesnoy da Sobotka (15) la letteratura successiva non ha mai posto dubbi sull’autenticità dell’opera (16). Attualmente è esposto nella quarta sala, dove è stato trasferito dalla originaria prima sala in epoca recente.
Figlio dello scultore Girolamo il Vecchio e fratello di Girolamo il Giovane, pure scultore, nel 1618 Duquesnoy era già a Roma e, nel 1624 condivideva l’abitazione in via dei Maroniti, accanto all’attuale Fontana di Trevi, con il Poussin, al quale era legato da profonda amicizia che segnò la sua attività di artista, fino ad allora priva di appariscenti risultati. La protezione della famiglia Barberini da cui fu favorito, le prime esperienze a contatto con la scultura berniniana, la stretta collaborazione con Poussin, diedero avvio ad una carriera di successo incentrata soprattutto agli anni 1627-1640, e che univa alla originaria formazione fiamminga, elementi della cultura neoveneta, vissuta proprio a contatto con gli ambienti legati alla famiglia Barberini, al marchese Vincenzo Giustiniani, dove ebbe modo di conoscere Cassiano del Pozzo. Appartengono a questa fase opere importanti come le due statue in marmo bianco di “Sant’Andrea” in San Pietro (1627-1629) e di “Santa Susanna” (1629-1633) nella chiesa di Santa Maria di Loreto a Roma, ispirati l’uno al “Giove” e l’altra alla “Donna Augustea” della collezione Giustiniani; i citati monumenti funebri in Santa Maria dell’Anima a Roma; il busto in terracotta del “cardinale Maurizio di Savoia” (1635; h.cm 78) in Palazzo Braschi; la statua in bronzo di “Antinoo del Belvedere”, copia di dimensioni ridotte dell’antica statua del cosiddetto Antinoo del Belvedere dei Musei Vaticani; la serie di tipologie di putti, come il Putto addormentato di Firenze, Casa Buonarroti e palazzo Pitti; il “Putto che mangia l’uva e il Putto che tende l’arco” del Musées Royaux d’art et d’Histoire di Bruxelles; il “Putto con un libro” del Victoria and Albert Museum di Londra (17).
Stanco di vivere in Italia e di salute cagionevole, nel 1642 accolse l’invito del re di Francia Luigi XIII, a stabilirsi a Parigi come artista di corte e per dirigere un’accademia di scultura. Ma durante il viaggio, passando per Livorno, vi morì il 19 luglio 1643, a soli 46 anni (18).
Il tema dell’Amor Sacro o dell’Amor Profano, suscitato il primo dalla contemplazione del divino e il secondo da sentimenti terreni e sensuali, come pure il tema delle due Veneri, celeste e terrestre, espressione di due generi d’amore che nascono l’uno contemplando l’eterno e il divino e l’altro la bellezza presente nel mondo materiale, derivano concettualmente dal “Simposio” di Platone, il dialogo sulla natura dell’amore.
Il pensiero medioevale influenzato dagli scritti di Sant’Agostino e di San Girolamo, cercò di sminuire l’amore terreno di fronte all’amore di Dio, considerando imperfetto il legame fra la coppia e il loro amore reciproco. Anche le idee neoplatoniche sull’aspirazione all’amore divino attraverso l’amore umano non trovarono sempre approvazione e Girolamo Savonarola nel suo “Sermone su Ezechiele” diceva ironicamente che l’amore umano non elevava la propria anima a Dio:
“L’uomo cristiano se ne asterrà, l’eros platonico è una trappola”(19)
Nel Rinascimento, specie quello fiorentino, questo giudizio verrà in parte rivalutato. Il tema dell’amore terreno, visto come puro e spirituale in quanto basato su sentimenti più elevati e sulla contemplazione della bellezza ideale, diventerà uno dei più frequentemente cantati nei poemi e sonetti e nella vasta letteratura che si era sviluppata anche intorno al “Simposio” stesso. Vanno ricordati il testo di Pietro Bembo dal titolo “Gli Asolani”, dei primi anni del ‘500, quello di Mario Equicola, il “”Libro della natura d’Amore”, pubblicato a Venezia nel 1525, i “Dialoghi d’Amore” di Leone Ebreo, del 1535 e il “Dialogo d’Amore” di Sperone Speroni, noto già nel 1537.
Contemporaneamente, il tema dell’amore veniva ripreso in campo artistico e introdotto soprattutto in veste antica, spinto dall’interesse che si era venuto a manifestare per la cultura antica. Molto spesso si raffigureranno a contenuto morale gli amori di Giove, Venere, Marte e Amore e le trame amorose desunte dal repertorio mitografico o dalla letteratura antica, rivestite di significati allegorici, diverranno prevalenti nell’iconografia profana.
Fra gli artisti impegnati in questa epoca a trattare l’amore, si distingue inizialmente proprio Tiziano che, nel condividere la visione neoplatonica della contemplazione della bellezza del creato finalizzata a percepire la perfezione divina dell’ordine del cosmo, realizza opere in cui campeggiano intorno ai protagonisti figure di putti che giocano tra di loro, come nell’”Amore Sacro e nell’Amore profano”, della Galleria Borghese, nel “Gioco degli Amori” del Prado, e nei dipinti provenienti dal camerino d’alabastro di Alfonso d’Este, “il Bacco e Arianna”, “gli Andrii”e “l’Offerta a Venere” che insieme al “Festino degli dei” di Giovanni Bellini furono trasportati da Ferrara a Roma presso il cardinale legato Aldobrandini nella cui collezione sono registrati in un inventario del 1603.
Secondo una testimonianza di Joachim Sandrart nella sua Teutsche Akademie (20) il Poussin fu ammesso, insieme a Claude Lorrain e Pietro da Cortona a frequentare Palazzo Aldobrandini. Dalle sue parole qui di seguito riportate, che confermano il pensiero di Bellori, viene spontaneo immaginare che il Duquesnoy accedesse con loro nel palazzo.
L’autore così riferisce:
“Viveva egli in compagnia ed in medesima casa con Francesco Fiammingo scultore (…) fecero ancora studio sopra il Giuoco degli Amori di Tiziano nel Giardino Ludovisi (….) li quali Amori essendo di ammirabile bellezza, Nicolò non solo li copiava in pittura, ma insieme col compagno li modellava di creta in bassi rilievi, onde si acquistò una bella maniera di formare li putti teneri, de’ quali si sono veduti alcuni scherzi e baccanali a guazzo e ad olio di sua mano, fatti in quel tempo”.
Il dipinto con gli Amori del Prado, già di proprietà di Pietro Aldobrandini, era passato nel 1621 ai Ludovisi.
Il Poussin (Les Andelys, Normandia, 1954- Roma, 1665), riprende il soggetto tizianesco dei putti che giocano, nei due noti dipinti con “Baccanali con putti” (guazzo, tempera, olio su tela, cm 74×84; tempera su tela, cm.56×75), del 1620 ca., già di provenienza dalla collezione Chigi, esposti presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini. Nel dipinto raffigurante “Venere e Mercurio” della Dulwich Picture Gallery di Londra, i due putti che inserisce in basso a sinistra sono in lotta tra loro, come farà Duquesnoy nei suoi rilievi.
In tal modo il soggetto subisce una variazione rispetto alla interpretazione classica fornita dallo scrittore greco Pausania della seconda metà del II secolo e da Ovidio (Ars Amandi, Le Metamorphoses, Le Herodies) che volevano i due amori, impersonati da Eros, primo figlio di Venere, e Anteros, letteralmente amore reciproco, secondo figlio della dea, generato per far compagnia al primo, che per solitudine non cresceva, sempre in armonia tra loro, cinti in un abbraccio di riconciliazione, e in alcuni casi interpreti dell’amore fra lo stesso sesso (21).
Duquesnoy più esplicitamente li contrappone in una lotta per aggiudicarsi la palma della vittoria in una sorta di psicomachia, di lotta tra spirito e materia, della lotta dell’amore spirituale per vincere l’amore fisico o sensuale, secondo pure un’interpretazione diffusa all’epoca dagli Emblemata dell’Alciati (22). Nel rilievo, un terzo amorino che spunta dal retro di un drappo-velario, comunica la vittoria al compagno seduto sul lato destro che inneggia con la corona di alloro. Le immagini scorrono fresche e delicate, movimentate dai gesti dei putti disposti classicamente in un gioco armonico.
M. Lucrezia VICINI Roma 13 Novembre 2022