di Carla GUIDI
“Incisione e …” Nuovo appuntamento a Formello. Opere di di Antonio Croce, Angelo Falciano, Marina Muzzini
Il Comune di Formello Assessorato alla Cultura ed il Centro per l’Incisione e la Grafica d’Arte del Comune di Formello, fondato e diretto da Vinicio Prizia, invitano ad un nuovo appuntamento all’interno della rassegna “Incisione e …”
L’inaugurazione della mostra “Dal segno alla forma, tre variabili creative del presente” si terrà sabato 2 marzo 2024 alle ore 17.30 presso il Centro di Incisione e Grafica d’Arte di Formello (RM) sito in via Regina Elena n. 3. Espongono gli artisti Antonio Croce, Angelo Falciano, Marina Muzzini. L’esposizione proseguirà fino al 13 marzo 2024 con il seguente orario: dalle 16.00 alle 18,30. La mostra è a cura di Carla Guidi e Vinicio Prizia. Presentazione in catalogo di Carla Guidi
Ricordiamo che lo spirito che anima la rassegna dal titolo “Incisione e..” consiste nella presentazione di varie mostre a cadenza settimanale o quindicinale composte da tre o quattro artisti ogni volta. L’esperienza vale come esplorazione di molti aspetti dell’arte e della grafica contemporanea, nazionale ed internazionale. Tale ciclo di mostre è partito dal novembre 2023 e terminerà nel novembre 2024.
Tutti questi eventi sono indirizzati ad una panoramica di artisti incisori di varie nazionalità che possono praticare anche altre modalità professionali ed artistiche, ad esempio pittura, scultura, architettura, fotografia, proprio come hanno fatto grandi personaggi della storia dell’Arte. Piranesi ad esempio era incisore ed architetto, Rembrandt, pittore e incisore, oppure lo stesso Picasso che era artista dalle molteplici declinazioni espressive.
La Rassegna “Incisione e …” vuole soprattutto testimoniare la diffusione capillare della grafica incisoria nel panorama artistico italiano ed internazionale, tecnica che viene utilizzata proprio per la sua peculiare versatilità. A questo appuntamento di marzo, nell’autorevole Centro per l’Incisione e la Grafica d’Arte del Comune di Formello fondato e diretto da Vinicio Prizia, non potevano non essere presenti questi tre squisiti artisti, Antonio Croce, Angelo Falciano, Marina Muzzini, assolutamente innamorati del segno grafico incisorio in tutte le sue declinazioni. La fervida attività del Centro e la passione di questi notevoli artisti dimostra quanto ancora questa sensibilità grafica – determinata da una prassi assidua e da un’attenta percezione tecnica del contatto con la materia, la qualità della pressione del gesto, l’uso alchemico di acidi e metalli – sia preziosa in tempi di totalizzanti mezzi elettronici e proliferazione digitale, nonché di visioni di realtà aumentata e di bombardamenti di immagini mediali.
Intendiamoci, niente è facile ed efficace se non si ha qualcosa da dire, anche nell’apparente gratuità della leggerezza elettronica. Non è infatti la concretezza in sé ad essere salvifica ed atta a salvaguardare la persistenza della memoria, c’è qualcos’altro che trasfigura la violenza del gesto che “incide” il reale. La spiritualità, la partecipazione del gesto/linguaggio alla propria identità nell’aderenza alla trasmissione/trasformazione, esige un tributo di tempo, di riflessione, di sofferenza come fatica e rovello.
In questo i tre artisti si differenziano, pur mantenendo un’assoluta serietà d’intenti ed il rispetto dei tempi logici del “lavoro” creativo. C’è anche da dire che tutti provengono dalla dura scuola “del nudo”, non solo accademia ma esperienza del corpo nell’essenza proiettiva dell’essere. Infine bisogna dire che tutti hanno frequentato in età giovanile grandi artisti, partecipato alla loro esistenza creativa come modo di essere al mondo, al contatto delle radici comuni della nostra cultura.
In particolare sottolineo l’esperienza di Angelo Falciano il cui padre, pur non essendo artista ma letterato, lo aveva introdotto giovanissimo a queste interessanti frequentazioni. Infatti a soli dodici anni diventerà allievo del pittore e incisore Bruno Canova in uno degli studi d’artista voluti da Enrico Castelli ed a soli quindici anni pubblicherà una cartella di acqueforti, presentata da Renzo Vespignani. Tutto questo e molto altro si trovano sul suo sito – https://www.angelofalciano.it/ – dove l’artista scrive di se stesso e della tecnica che sembra maggiormente rappresentarlo:
L’incisione “è un’arte libera e spontanea”. Si esprime con mezzi semplici perché, come scriveva Luigi Bartolini, “per incidere basta una lastrina di zinco, una bottiglietta di vernice e un ago”. Ma è una semplicità che rivela nel foglio stampato risultati sempre nuovi e sorprendenti. La carta umida affonda nei solchi incisi, che come trincee, separano la realtà dall’immaginazione per rapire l’inchiostro e restituire ai nostri occhi magiche trame intrecciate. L’acquaforte libera il segno, lo rende visibile e predominante. I segni, a volte decisi a volte incerti, vanno assaporati piano piano per apprezzare le minuziose descrizioni e per rimanere, nostro malgrado, invischiati.
Ecco il segreto delle sue composizioni, salvaguardare la debita distanza non solo tra realtà ed immaginazione, là dove si genera il simbolico ma anche il sogno, non solo il segno come lui scrive, poiché il sogno come ci ha indicato Freud, non è la semplice realizzazione allucinatoria dei desideri, è ben altro.
Angelo Falciano è anche scultore e indagando ulteriormente si scopre perché proprio questi corpi, riprodotti quasi raggomitolati, robusti ma come prostrati sotto un peso invisibile, sembrano segnare l’origine della sua indagine sulla materia. A tal fine trovo interessante ciò che scrive in proposito Dario Micacchi:
Figure umane che stanno sedute come sull’orlo di una voragine. Figure femminili in corsa e non sai se fuggano da qualcosa o cerchino disperatamente qualcosa. Un gruppo di tre figure maschili che cercano l’equilibrio nel movimento di frenata del tram. La scultura del tram è la sintesi formale dell’esser soli nella folla. La struttura del tram in rame è il fondale-contenitore della scena. Le figure stanno assieme ma, se guardate bene, lo spazio tra figura e figura è dilatato è una voragine incolmabile. Le figure non hanno volto individuato eppure hanno una psicologia individuata nel comportamento, nel gesto, nella posizione; ma la situazione e il destino sono comuni, collettivi”.
Non mi piacciono le etichette, soprattutto in un’epoca come la nostra nella quale anche gli artisti non amano definirsi e la cultura è cosa planetaria, anzi l’interiorizzazione della storia delle culture è ormai un privilegio che contrasta l’appiattimento e l’omologazione, però bisogna dire che nelle ultime opere di questo artista questi corpi corrosi dalla follia dei tempi e delle azioni umane, sembrano percepire gli echi di quell’ “Espressionismo astratto” di Roberto Matta; da Francis Bacon, ad Henry Moore, ad Alberto Giacometti.
Così si è espresso in proposito su di lui Aldo Trione – Filosofo, già docente di Estetica presso università di Napoli ed ex deputato dei Progressisti dal 1994.
l mondo di Angelo Falciano, tanto vario di motivazioni, di interventi, di mediazioni, si situa in un orizzonte ampio e aperto, problematico e spesso indefinibile nel quale un progetto poetico, all’apparenza composito ma organicamente dimensionato, si arricchisce di espressioni, di immagini che sono il segno di una ricerca sofferta e lacerante e insieme si curvano in un fabulistico distacco, di natura espressionistica, consapevole presa d’atto della situazione contemporanea. Il mondo contemporaneo, interrogato con passione e distacco, con amore e malinconia, è lo sfondo della esistenziale ricerca di Angelo Falciano il quale si pone di fronte alle cose per misurarne il senso, per scardinarne le significazioni: in tal modo la sua esperienza, così tragica e felice insieme, diventa la nostra esperienza, trasgressiva e liberatrice, nel nostro tempo, quello della morte delle cose. (testo inedito)
I corpi massicci nelle sculture precedenti adesso hanno preso sembianze post umane, vegetali forse o strutture simili ad insetti dai lunghi aculei e zampette minacciose ma fragili, che creano torsioni, spazi segreti, ragnatele e nidi, attraverso un segno potente e magistrale che elabora i loro percorsi e le loro espansioni.
A volte queste strutture potrebbero avvicinarsi a ciò che resta di strutture ossee corrose dal tempo ma sempre inserite in ambienti dotati di una vita segreta, quasi allarmante se non fosse per la presenza di finestre o cornici che provvedono a sancire quegli spazi dedicati, portandoli in altre dimensioni rappresentative, simboliche, che a loro volta alludono ad altro, oltre la scena. Particolarmente interessante quando c’è la presenza del colore, per esempio nell’opera in acrilico intitolata “Silenzio”, colori intensi che sottolineano la consistenza emotiva ed armonica di questi mondi. In quest’opera compare sulla sinistra, quello che sembra essere un nido appeso di uccellini tessitori, anche se non è lecito definire con riferimenti personali queste opere eleganti e raffinatissime in continuo divenire.
Altro carattere poetico ed artistico distingue Antonio Croce, del quale ho curato recentemente la mostra dal titolo “Tra Aurelia e Maremma”. La cito qui per sottolineare quanto la sua predilezione per la pittura veloce, come l’acquerello, sia adatta ad appuntare impressioni di viaggio, come per gli adorati paesaggi toscani, ma anche per piccoli ritratti e nudi femminili. Stranamente però, tra gli schizzi, gli acquerelli e la pittura ad olio, ha trovato un grande spazio nella sua vita artistica la tecnica complessa e lenta dell’incisione.
Partendo dagli anni giovanili dell’Accademia di Belle Arti di Roma, il nostro aveva seguito infatti con grande interesse il corso di incisione tenuto da Arnoldo Ciarrocchi. In seguito poi si era comprato un piccolo torchio personale con il quale sperimenterà per tutti gli anni a seguire, svariate tecniche incisorie, inserendo insieme all’acquaforte, anche il prediletto lavìs o morsura diretta sulla lastra, attraverso un pennello intriso di acido. Così questo ingombrante, pesante ma prezioso strumento era divenuto costante presenza nel suo studio, compagno fedele che lo seguirà nei numerosi traslochi e nei suoi viaggi.
Per parlare poi della principale ispirazione della sua poetica, bisogna fare un passo indietro, quando a partire dal 1973 il giovane artista si reca da Roma al Provveditorato degli Studi di Grosseto per fare domanda di supplenza, tra l’altro già disgustato dalle diatribe tra gli artisti del mercato dell’arte, all’interno dei rapporti di forza che colonizzavano gli oscuri “Anni di piombo”. Casualmente conosce un signore, all’interno degli uffici scolastici, con il quale intrattiene una breve ma intensa conversazione che verte sulla comune passione per i paesaggi della Maremma, ancora luoghi di intatta e selvaggia bellezza dove “il tempo sembrava essersi fermato”. L’occasionale conoscente lo incoraggia a visitarli prima che l’assalto della cementificazione li faccia definitivamente scomparire.
Questo signore si rivelerà essere uno scrittore toscano, raffinato ed impegnato socialmente, del quale leggerà poi tutti i libri – Alfio Cavoli, insegnante, storico e giornalista, conosciuto a livello internazionale per le sue ricerche ma anche per le sue battaglie contro la speculazione edilizia. Tutto ciò cambierà la sua vita, riconciliandolo con l’essenza ed il significato dell’arte e della letteratura, prediligendo l’onestà intellettuale di chi ha preso sul serio il monito di Bacone che dichiarava: “Alla Natura bisogna solo obbedire”. Di quell’incontro rimane in Antonio lo struggente attaccamento ad un territorio che sopravvive, nonostante le scellerate aggressioni, riuscendo ancora a lanciare gli ultimi bagliori di una vita in armonia con la natura, il cuore e l’anima. Ecco allora il passaggio all’atto, la ribellione, il senso e la poesia che dà colore alla sua arte.
La scrittrice Daniela Cavoli, figlia del giornalista sopra nominato e purtroppo scomparso nel 2008, gli ha inviato queste righe di incoraggiamento …
In occasione della personale “Viaggi d’arte tra Aurelia e Maremma” (Muef Art Gallery, Roma, 25 marzo-1°aprile 2023), Antonio Croce ha sviscerato il suo profondo amore per la terra di confine tra Toscana e Lazio. Nel tempo luogo di transumanze, estatature … seconde case, la Maremma accoglie distogliendo i pensieri e gli occhi dal mondo fuori per la bellezza del suo ambiente naturale in continuo, ostinato amplesso con la luce. Chiaro è che Antonio Croce ha colto e fissato nei lavori della personale la luminosità dei luoghi. La sua è una Maremma del cuore ritratta a posteriori sull’onda del viaggio geografico che ai sensi dà il ruolo di filtro dell’anima per proiettare sulle tele e i cartoni le emozioni provate nell’osservare orizzonti, paesaggi, strade e colline. L’ammiccamento al gioco con la luce non è peculiarità solo degli oli e degli acquarelli – delicatissimi e cerulei frutti della evidente consapevolezza pittorica – ma sorprende anche nelle incisioni. I segni, qui, incitano a interpretare, a scavare, ad astrarre dal foglio l’immediatezza delle cose terrene mentre, e piuttosto, ci si ritrova colpiti proprio dalla luminosità intrinseca a ogni opera.
Già nei suoi appunti Antonio Croce scriveva:
Molti posti all’interno della Maremma tosco laziale sono ancora miracolosamente un dialogare della Natura in rapporto armonico con le attività umane, mentre le spiagge di Torba, Burano, Alberese, Principina in inverno tornano ad essere luogo di meditazione e di respiro, vero ossigeno per l’anima. Un campo, una macchia con delle querce, il pino, l’antico casale, il fontanile, la pompa a vento, i pascoli, i colori della stagione, ci sono ancora punti dove tutto è immobile, silenzio e pace … ma poi il passaggio di un aereo rompe l’incantesimo …
Oli, acquerelli, incisioni mostrano quindi, anche nell’attuale occasione espositiva, il fascino rappresentativo di quel sospendersi dello spazio/tempo che l’artista aveva riconosciuto anche nei versi del celebre poeta maremmano Vincenzo Cardarelli:
Nel Belvedere dell’Alberata a Tarquinia trovai questa sua frase incisa su marmo – “Qui tutto è fermo, incantato nel mio ricordo. Anche il vento.” Così l’ho trascritta sotto un mio acquarello. –
L’atteggiamento di Antonio Croce che si pone davanti al foglio, la tela o la lastra, assomiglia molto all’azione pittorica dei macchiaioli, ma anche all’atteggiamento utilizzato nella pittura giapponese Sumi-e. Anche qui l’atto creativo viene da dentro ed è sentito con tutto il corpo. Solo in un secondo tempo viene rielaborato, ma ne conserva tutta la freschezza iniziale.
La terza artista presente Marina Muzzini, vanta una specializzazione in Scenografia Teatrale presso l’Accademia di Belle Arti di Roma con il Maestro Toti Scialoja. In seguito ha svolto l’attività di scenografa per il Teatro Nazionale di Praga collaborando con l’artista Arch. Vladimìr Nyvlt. Contemporaneamente studia ed approfondisce le tecniche di incisione e stampa calcografica sotto la guida dell’artista nazionale ceca Bohunka Waageovà. E’ la sua un’avventura artistica e di vita che la vede anche in Cina, dove studia Regia presso L’Istituto Cinematografico di Pechino … ma poi ritorna in Italia, dove vince vari importanti premi proprio riguardanti la grafica e le tecniche dell’incisione. Di tutto questo si può leggere in dettaglio nella sua biografia, ma non si può prescindere dal notare quanto la tecnica incisoria sia parte fondamentale ed elettiva dell’espressione della sua poetica che non teme, tra l’altro, di esprimersi con una tecnica di intensa verosimiglianza, adatta a penetrare nell’immaginario in maniera diretta, quasi senza filtri. E’ consapevole infatti che ormai siamo in guerra aperta con immagini di ogni tipo, che non sono innocue rappresentazioni della realtà. In tal senso si può leggere “Contorsione barocca” acquaforte del 1990.
E’ del 2007 invece l’opera grafica Partita quantistica (acquaforte su rame) e di quest’opera scrive l’artista:
L’immagine di una scacchiera unita alla simbologia del gioco degli scacchi, riassume per molti versi la condizione umana relativa alla complessità del reale in rapporto alla forza di gravità che ci tiene ancorati alla terra. Nella curvatura dello spazio-tempo il percorso di vita di ognuno di noi scorre attraverso coordinate determinate da diversi fattori. Un aspirante ‘giocatore’ si muove attraverso la dualità del bianco o del nero e nelle dimensioni nell’asse della larghezza, della lunghezza, della diagonale, dell’altezza. Il tutto, in un determinato tempo. Deve imparare a capire la gerarchia di ogni pezzo della sua scacchiera così come ogni possibile mossa che ciascuno dei ruoli può compiere. (…) Si alterneranno emozioni di confusione, concitazione, rabbia, delusione, leggerezza, felicità … Quindi, dopo aver preso atto di più informazioni possibili, inizierà la partita. Inevitabilmente si troverà nella condizione probabilistica dell’essere, nell’esistenza dell’imprevisto, nella dualità onda-particella, la buccia di banana, nella forza di gravità che si manifesta e ‘cade’ in errore. Il giocatore più esperto lo intercetta e vince la partita.
Non è un segreto che l’Arte sia legata alla percezione che gli avvenimenti socio culturali e scientifici ci trasmettono, ma per dare loro una forma simbolica efficace e metabolizzabile nel presente, per mettere ordine nel caos. L’artista quindi qui ci propone la risoluzione di un rebus, ovvero il percorso iniziatico dei labirinti a rappresentare il rovello del pensiero, tra dubbi e rivelazioni, nel contrasto perenne tra luce e tenebre che l’essere umano deve attendersi nella perenne lotta tra eros e thanatos, tra creatività e distruzione.
Adesso una breve citazione da quanto ha scritto Vinicio Prizia sul catalogo della mostra organizzata a Roma nel 2012, presso lo Studio Arte & Architettura, via Monte Giordano 59:
Una persona dalle molteplici esperienze ed interessi che spaziano dalla scenografia alla fisica quantistica ed approdano nell’incisione calcografica, l’arte del Segno di-segno, l’arte del linguaggio dei tratti e dei punti, l’arte degli atomi. Come ho già scritto : “portare allo scoperto il rame lucidato a specchio sotto il nerofumo con i punti è come creare le stelle, un nuovo creato, un’altra era leptonica”. In questo microuniverso si scorgono i diversi mondi visitati da Marina Muzzini : il mondo Occidentale, l’Europa dell’Est, l’Estremo Oriente. Il tutto con un’eccellente qualità di lavoro, con un umile, dignitosissimo, saggio spirito di chi ha visto molto, e capito molto.
Con la cifra del suo segno grafico talentuoso ed il consueto modo ironico di rappresentare la nostra umanità, ecco un’altra acquaforte ma su zinco, dal titolo ‘Dance’, sempre del 2007. Il ritmo concitato dello schiacciamento del più forte sul più debole è riassunto in un fermo immagine di animali “uguali”, che però intrattengono tra loro, nella rappresentazione della gregarietà, i rapporti di potere all’interno del gregge per antonomasia, travolto totalmente e suo malgrado, da un destino superiore ma venuto da dentro, dalle pulsioni che ci governano. L’ironia non nasconde l’amarezza del contagio, ci riguarda il disprezzo dei rapporti umani in funzione dell’autoaffermazione che ha in sé qualcosa di diabolico.
Anche “End of Quarantine” (incisione a bulino del 2021) esprime una critica ed al tempo stesso la percezione di una sofferta emotività dopo la tragedia della pandemia. Come propone il titolo, la fine della quarantena apre ad una sguaiatezza sospetta. Un volto umano ne viene deformato tanto da sdoppiarsi, ricordando l’ambiguità del Giano Bifronte, il dio degli inizi materiali ed immateriali, una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, che poteva guardare il futuro ed il passato ma non il presente. Qui invece sembra addirittura che la deformità del volto, in duplice deriva, sia al contempo schiacciato frontalmente in un “eterno presente” in cui siamo immersi, in una paradossale “perennità” come scriveva il grande Gillo Dorfles già nel 1997.
Infine presente in catalogo, anche la raffinatezza di una declinazione pittorica in tecnica mista su tela, dal titolo “Inquietanti leggerezze” del 2024. Qui il colore esplode come seguendo gli ultimi bagliori di una Pop Art rivisitata in epoca Post/postmoderna, nella quale però i supereroi protagonisti (da Spiderman ai Manga) sono stati tutti futilmente gonfiati per partecipare insieme ad una promiscuità multiculturale, accalcandosi gli uni agli altri per perseguire l’occultamento della “Realtà”.
Carla GUIDI Roma 25 Febbraio 2024