di Nica FIORI
La Sirena. Soltanto un mito? Una mostra tra archeologia e medicina
La sirena. Soltanto un mito? Nuovi spunti per una storia della medicina fra mito, religione e scienza. Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Piazzale di Villa Giulia, 9; fino al 30 settembre
Progetto scientifico della mostra: Alessandro Aruta, Claudia Carlucci, Maria Anna De Lucia Brolli, Maria Paola Guidobaldi con Francesca Licordari
Creature fantastiche che popolano i mari sono esistite, almeno nel mito, dalla notte dei tempi.
Pensiamo, per esempio, al viaggio di Ulisse nel Mediterraneo, nel corso del quale l’eroe incontra un mostro terrificante come Scilla, descritta da Omero come una donna dalle cui gambe spuntano serpenti con teste di cane, o le ammalianti, ma non meno pericolose, Sirene, al cui canto melodioso Ulisse resiste facendosi legare all’albero della sua nave e tappando con cera le orecchie dei compagni.
Nel mito greco la sirena ha corpo di uccello e viso di donna, e così viene raffigurata anche dagli Etruschi e dai Romani, ma a partire dall’VIII-IX secolo d.C. si afferma una diversa iconografia, riportata in particolare nel Liber Monstrorum (un bestiario e trattato di mirabilia), che raffigura la sirena con il busto di donna e la parte inferiore del corpo a coda di pesce. Un’immagine seducente che deriva, in parte, da quella delle Nereidi, le ninfe marine che hanno il loro corrispettivo maschile nei Tritoni.
L’anello di congiunzione tra fantasia e realtà potrebbe essere quello della sirenomelia, una rarissima patologia umana che può colpire il feto e dar luogo alla nascita di un bambino con un unico arto simile a quello delle immaginarie sirene. Su questo tema di grande interesse medico e archeologico è incentrata la mostra “La sirena. Soltanto un mito? Nuovi spunti per una storia della medicina fra mito, religione e scienza”, ospitata fino al 30 settembre 2018 nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
Organizzata dal museo ospitante e dalla Fondazione Forlanini San Camillo in occasione del decennale della Fondazione, la mostra vede anche il coinvolgimento del Museo di Storia della Medicina ed è stata inaugurata il 13 giugno in contemporanea con l’evento “Premio 2018. Eccellenze in Sanità”. Come ha precisato Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco, la manifestazione rientra tra le varie programmazioni ispirate all’idea di incentivare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita museale, anche creando “contaminazioni”, in linea con la società contemporanea.
La mostra è ospitata al primo piano di Villa Giulia, nella cinquecentesca Sala Venere, così chiamata dalle decorazioni pittoriche raffiguranti tra le altre cose la dea della bellezza che esce dalle acque del mare: dea che questa volta assiste all’esposizione di creature non propriamente perfette, e portatrici anzi di una disarmonia. D’altra parte queste figure “mostruose”, cariche di una valenza simbolica, ci fanno riflettere sul concetto sempre attuale di “monstrum”, inteso in antico come essere prodigioso e diverso, e non di rado sacrale.
L’idea della mostra è nata dalla presenza a Villa Giulia di un singolare ex voto anatomico in terracotta, rinvenuto a Veio nel corso di scavi ottocenteschi, che prima era generalmente interpretato come una rappresentazione schematica della parte inferiore di un corpo umano maschile, in coerenza con quella semplificazione dei processi produttivi tipica dei secoli III-II a.C., ma che ora è stato visto da esperti di anatomia patologica come raffigurazione di un corpo affetto da sirenomelia. Non c’è una certezza assoluta, perché mancano i piedi, o meglio la parte finale di un ipotetico unico piede con due protuberanze, ma il trattamento molto plastico della figura rende anche gli archeologi abbastanza convinti di questa ipotesi. Nella stessa vetrina sono esposti altri doni votivi fittili, a forma di uteri (molto curioso è quello ritrovato a Vulci, con due palline che ricordano le prime fasi embrionali), dedicati alla divinità per invocare una guarigione, oppure per grazia ricevuta.
L’usanza di donare ex voto anatomici si manifesta a partire dal IV-III secolo a.C. con una frequenza e un’intensità che variano da santuario a santuario. Ne sono pervenuti tantissimi, perché, una volta dedicati, appartenevano alla divinità e venivano conservati in apposite fosse. Il loro significato non sempre è semplice da interpretare, perché si tratta di oggetti spesso frammentari o rappresentati in maniera sommaria, ed è pertanto quanto mai utile avvalersi di consulenze specifiche in campo medico-anatomico, come è stato fatto in questo caso.
Particolarmente interessante è il cartellone didattico che spiega con testi e immagini in cosa consiste la sirenomelia. Apprendiamo così, tra le altre cose, che il diabete materno potrebbe avere un’importanza notevole nell’eziopatogenesi della malformazione (il 2% dei casi), senza escludere, però, l’influenza di altri agenti teratogeni, come il cadmio, l’acido retinoico, la ciclofosfamide e la cocaina, nonché di fattori ambientali noti o ancora sconosciuti. C’è anche qualche dubbio sull’ipotesi che ci possa essere una componente genetica e, almeno per ora, non c’è alcuna spiegazione sul fatto che l’anomalia sembra essere più diffusa nel Messico.
Dal Museo di Anatomia patologica della Sapienza Università di Roma è stato eccezionalmente prestato il reperto anatomico di una neonata affetta da sirenomelia, mentre dal Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma provengono altri interessanti manufatti in mostra, tra cui un modellino in cartapesta colorata di un utero con il feto già sviluppato, e una serie di strumenti chirurgici che illustrano l’evoluzione degli stessi con il progredire delle teorie e delle conoscenze anatomiche e mediche.
Partendo dal singolare reperto di Veio, che solo ora viene visto in chiave patologica, si sviluppano storie e immagini relative ad altre malformazioni o malattie conosciute nel mondo antico, quali il nanismo e l’epilessia. La nascita di un essere “diverso” era un evento straordinario e come tale doveva essere accolto. Nella letteratura latina ricorrono frequentemente termini quali monstrum, prodigium, confrontabili con il greco teras, che esprimono concetti legati a eventi “soprannaturali”, considerati come segni divini e a volte come presagi funesti.
Presso il popolo etrusco, definito da Tito Livio il più religioso tra tutti, grande importanza aveva la divinazione, ovvero l’interpretazione dei segni divini, esercitata soprattutto dagli Auguri, che osservavano il volo degli uccelli, e dagli Aruspici, che esaminavano le viscere degli animali. È da loro che derivano parole di uso corrente come “augurare, inaugurare, auspicare”, ma pochi se lo ricordano. Secondo una leggenda, l’arte della divinazione sarebbe stata rivelata agli Etruschi da Tagete, un prodigioso bambino dalle sembianze di vecchio, estratto dalle viscere della terra forse da Tarconte, il fondatore di Tarquinia: mito raffigurato anche in un’antica gemma incisa, conservata a Villa Giulia nella sala degli Ori Castellani.
Ed è proprio a Tarquinia, nell’area sacra della Civita, che è stata scoperta la tomba di un bambino encefalopatico, sepolto nel IX secolo a.C. accanto a una cavità naturale, che era ritenuta il luogo della nascita del divino Tagete. A distanza di tre secoli, il ricordo del bambino fuori del comune era ancora talmente forte da far sì che nel luogo della sua sepoltura vi fosse deposta una coppa attica con l’iscrizione etrusca terela, interpretata come “relativo a colui del prodigio”. È suggestiva l’ipotesi che il greco teras sia proprio un prestito dalla lingua del popolo etrusco e non il contrario.
I resti del piccolo, di circa otto anni, venuto a mancare probabilmente per morte naturale, sono stati recentemente riesaminati dal Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano e, come già emerso da precedenti studi paleopatologici, è stata confermata la encefalopatia, che doveva provocare nel paziente crisi epilettiche convulsive.
Questa particolare condizione patologica era stata evidentemente interpretata dalla comunità come segno di una manifestazione del divino, o di un invasamento da parte di un essere soprannaturale (ricordiamo che l’epilessia nel passato veniva chiamata “morbo sacro”), e questo spiegherebbe la deposizione del fanciullo che ne era affetto accanto alla cavità legata alla leggendaria nascita del puer senex Tagete.
Sebbene non sia possibile stabilire un collegamento diretto tra Tagete e altre prodigiose figure infantili dai tratti senili, di cui si ha notizia dal mondo antico, si deve ricordare come in medicina sia nota, a partire dall’Ottocento, una rarissima forma di malattia genetica, che provoca un invecchiamento precoce, la progeria, nota al grande pubblico grazie al film di David Fincher, Il curioso caso di Benjamin Button, basato su un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald.
Un’altra malformazione di origine genetica conosciuta anticamente è il nanismo acondroplasico, che comporta la scarsa crescita degli arti superiori e inferiori rispetto al resto del corpo. Nel mondo etrusco troviamo la raffigurazione di quest’anomalia nella celebre Tomba François di Vulci, dove, accanto all’immagine del signore titolare del sepolcro, è stato dipinto un personaggio maschile basso e tozzo, intento a liberare un picchio nero in una scena di divinazione. Anche in questo caso, la figura era stata prima interpretata come quella di un bambino, ma poi ci si è resi conto che si tratta, invece, di un nano.
Come si legge nel cartellone didattico, anticamente i nani erano accettati in modo diverso a seconda delle varie culture. In Egitto erano apprezzati soprattutto come artigiani e orefici, in grado di maneggiare abilmente strumenti di precisione grazie alle loro piccole mani, e rivestivano talvolta anche ruoli di prestigio. Ed è sempre in Egitto che troviamo il dio Bes, raffigurato come un nano dalle gambe storte e una grande testa barbuta, con la lingua di fuori a simboleggiare il Verbo. Nonostante l’aspetto deforme, questo dio era particolarmente venerato nel Nuovo Regno in quanto apportatore di benessere e di un sonno senza incubi.
La Grecia classica mostra, invece, una scarsa accettazione nei confronti di un’umanità “diversa”, tanto che lo stesso Ippocrate, il padre della medicina, basava le sue pratiche sul concetto che la natura umana dovesse rispondere al principio dell’armonia. Solo più tardi, fra il II e il I sec. a.C., la cultura alessandrina si compiace di rappresentare con verismo la decadenza fisica, la malattia e la bruttezza, che a volte contraddistingue le menti superiori, come nel caso del filosofo Socrate, il cui volto è di norma raffigurato con fattezze brutte, simili a quelle di un Sileno.
La mostra è arricchita artisticamente dall’esposizione di alcune ceramiche antiche conservate nel museo di Villa Giulia, tutte con raffigurazioni di Sirene, Nereidi e Tritoni. Ben quattro di queste facevano parte della Collezione Castellani, ceduta allo stato nel 1919: una brocca corinzia con fregi di animali e una sirena ad ali spiegate (600-590 a.C.), un’anforetta corinzia della stessa epoca, che mostra due sirene sempre ad ali spiegate, un’anfora attica a figure nere raffigurante la nereide Teti rapita da Peleo (ricordiamo che dall’unione tra i due nascerà Achille, l’eroe più celebre dell’Iliade) e sulla destra una sirena a corpo d’uccello (510 – 500 a.C.) e un’anfora etrusca a figure nere (530 a.C.) raffigurante Tritone, il figlio di Poseidone e Anfitrite, immerso nel mare tra i pesci. Un’anfora attica a figure nere dalla necropoli della Banditaccia di Cerveteri (540 a. C.), infine, raffigura Eracle in lotta con Tritone.
Per quanto riguarda le Sirene dal corpo di uccello e testa umana, si tratta di immagini particolarmente presenti nella ceramica, soprattutto orientalizzante, ma anche nell’arte funeraria classica. A volte il loro volto non è bello (può anche essere barbuto), e hanno dei lunghi artigli, tanto da essere scambiate con le Arpie. Progressivamente si assiste a un’evoluzione iconografica del tipo, che porta alla prevalenza di caratteri femminili, tanto che a Volterra, nel Museo Guarnacci, troviamo una serie di urne raffiguranti l’incontro di Ulisse con le Sirene, dove le stesse sono rese come vere donne che, sedute su tre scogli, attirano i marinai suonando il flauto, la siringa di Pan e la cetra.
Per chi volesse immergersi nella visione di alcuni filmati, infine, si possono vedere tre video dell’archivio storico Adalberto Pazzini, installati nella saletta adiacente alla Sala Venere. Essi consentono al visitatore di approfondire aspetti della ritualità e delle pratiche magiche popolari (Magia dell’assurdo), di conoscere i dettami della Scuola Medica Salernitana (Chirurgia medievale) e di ripercorrere le raffigurazioni artistiche di patologie e interventi terapeutici (Arte e medicina).
Nica FIORI Roma 15 giugno 2018