di Michele CUPPONE*
*Il seguente saggio è tratto dal catalogo Caravaggio nel patrimonio del Fondo Edifici di Culto. Il Doppio e la Copia, catalogo della mostra, Roma 21 giugno-16luglio 2017, a cura di G.S. Ghia e C. Strinati, coordinamento scientifico di M. Cardinali, M. Cuppone e M.B. De Ruggieri, Roma 2017, pp. 27-28.
“Il S. Francesco in piedi del Caravaggio” nello spoglio di fonti antiche e moderne
Nonostante il filone delle ricerche caravaggesche prosegua incessantemente e sovente dispensi interessanti acquisizioni, diversi nodi insoluti permangono e molto resta ancora da scoprire della vicenda storico-artistica del maestro. Basti pensare ai tanti quadri che oggi sono pressoché unanimemente accettati come suoi autografi, ma su cui le fonti forniscono tracce non esplicite[1], o tacciono del tutto[2].
Così almeno sembrava – mi riferisco al secondo caso in particolare – per il soggetto del San Francesco in meditazione, finché nel 1908 Giulio Cantalamessa presentò il dipinto dei Cappuccini di via Veneto come un originale[3] (Tav. II). Contestualmente, lo studioso trascrisse il contenuto di un antico cartellino, apposto sul retro della tela – poi coperto da una rintelatura finché non fu ritrovato durante il restauro del 2000. Esso, pur tacendo sul nome dell’autore, attestava in qualche modo la provenienza del quadro come dono ai frati da parte di Francesco de’ Rustici[4].
Ma quanto alla paternità merisiana, su cui la critica ha ampiamente dibattuto anche per la presenza di altre versioni meno accreditate rispetto alle due oggi esposte[5], sembrava non fosse mai stato rintracciato un qualche appiglio storico. Eppure ne parlava una fonte antica, sfuggita, a nostra conoscenza nella sterminata bibliografia caravaggesca, agli studi specialistici, se non per un vago accenno di Giovanna Mencarelli in una scheda inventariale[6]. Si tratta di una guida di Roma del 1750, edita da Gregorio Roisecco “Mercante di Libri in Piazza Navona”, che segnalava, allora nel coro della chiesa dell’Immacolata Concezione, “Il S. Francesco in piedi del Caravaggio”[7] (Fig. 1) – ed è curioso, se è concessa una nota di colore, come nella storia di Caravaggio tornino (da un tempo ahinoi perduto) i librai della piazza: proprio qui, in un punto che ora possiamo ben identificare, aveva bottega il suo amico “libraro” Ottaviano Gabrielli[8].
Tornando al quadro in oggetto, la sua attribuzione – oggi generalmente meno accettata, in favore della versione di Carpineto Romano (in deposito presso Palazzo Barberini) (Tav. I) – verrà ripresa nella successiva edizione della guida del 1765[9], mentre è assente in quella precedente del 1745[10]. Siamo comunque in anni ben lontani da quelli in cui visse e veniva (ri)conosciuta più direttamente la pittura del milanese. Eppure, se non un vero e proprio conoscitore, l’estensore del passo citato da qualcuno avrà pur tratto l’informazione sul “S. Francesco”. Non per questo egli dovrà comunque ritenersi la fonte più autorevole sull’autografia del quadro cappuccino[11].
Certo è singolare che il San Francesco, comparso nel 1750 – per la prima e unica volta secondo una fonte antica – come di mano di Merisi, venga descritto “in piedi”. Tale in effetti potrebbe pure sembrare, a un occhio meno interessato o scrupoloso sull’aspetto iconografico, piuttosto che in ginocchio sulla nuda terra. Come del resto Claudio Strinati nota acutamente nel suo saggio qui in catalogo, l’assisiate “ha un’impostazione solenne e più grande del normale mezzo busto, tanto da dare la sensazione di essere visto a figura pressoché intera”. Anche per questo, oltre che per l’identificazione dell’artista o quanto meno della sua ‘invenzione’, risulta arduo associare la fonte ai pochi altri soggetti analoghi oggi in chiesa[12].
Si può anche contemplare l’ipotesi di una vecchia e più larga cornice, che avrebbe occultato una porzione maggiore di dipinto lungo le fasce perimetrali (in basso in particolare), tale da esaltare la sensazione di una “figura pressoché intera”. Viene comunque da domandarsi, ma sarà più una suggestione, se l’aspetto di figura stante non fosse dovuto a una scarsa leggibilità della tela all’epoca. Leggibilità che, più che all’ambiente, poteva essere legata a uno stato conservativo non eccellente, tale da non apprezzare le differenze tonali tra il saio e il terreno.
Lo spoglio archivistico riserva comunque ulteriori ‘sorprese’: riaffiorano infatti alcune notizie di un qualche interesse sebbene, ancora una volta, siano passate pressoché inosservate. Esse giungono da una scheda inventariale meno recente (1930), relativa al dipinto carpinetano, a firma di Antonio Santangelo[13]. Questi non dà troppo valore alla proposta formulata pochi anni addietro da Cantalamessa – che non cita esplicitamente e presumendo che egli non conosca Roisecco. Ma ciò che conta di più è che Santangelo faccia un collegamento tra i due “doppi”, evidentemente, per la prima volta in assoluto e molto prima che vi giungesse Maria Vittoria Brugnoli[14]. Lo studioso, come altri poi, riconosceva la migliore fattura dell’esemplare di Carpineto. Nonostante, secondo lui, nessuno dei due possa riferirsi a Merisi. Vale la pena riportare l’intero passo:
Il quadro ci era noto traverso la copia conservata nella Chiesa dei Cappuccini di Via Veneto, che un tempo era attribuita al Caravaggio. Al quale non può riferirsi nemmeno quest’esemplare – certo superiore a quello di qualità per una maggior morbidezza di pasta, attentissima a seguare [sic] i “valori” del tono e l’atmosfera
Chi ha potuto visitare la mostra e ha avuto modo di confrontare direttamente e nei singoli dettagli i due San Francesco, a maggior ragione potrà apprezzare almeno in parte le conclusioni cui Santangelo giungeva, senza godere di tale beneficio.
Note