“Inseguendo Caravaggio”. Un volume ‘particolare’ sul genio lombardo; l’autrice, Vania Colasanti, ne parla ad About Art.

di Sergio ROSSI

E’ stato presentato -con notevole successo e grande concorso di pubblico- lo scorso 24 settembre un volume (l’ultimo, ma non in senso definitivo, c’è da scommettere) sulla figura di Michelangelo Merisi da Caravaggio; in questo caso però l’angolazione, cioè il punto di vista è assai particolare, perchè con questo volume si è trattato di Inseguire Caravaggio nei suoi loghi e nei suoi quadri“, come per l’appunto recita il titolo. Il taglio particolare, come si diceva, dipende in larga parte dal lavoro dell’autrice, Vania Colasanti, professionalmente un’affermata giornalista, che – al contrario di quanti entrano sconsideratamente in argomento senza neppure il minimo sindacale di studi e conoscenze- ha saputo invece mettere in mostra competenze di tutto riguardo, sia richiamando le fonti documentarie fin qui accertate, che facendo riferimento alle numerose pubblicazioni su un argomento (e i nostri lettori ne sono ben coscienti) tutt’altro che facile da maneggiare. Abbiamo chiesto a un noto studioso della vita e dell’opera di Caravaggio, il prof. Sergio Rossi, autore di un apprezzato recente saggio dal titolo “Caravaggio allo specchio tra salvezza e dannazione” per i tipi della Paparo editore, oltre che nostro valoroso collaboratore di intervistare l’autrice per About Art.
Vania Colasanti è giornalista, autrice televisiva e scrittrice. Ha pubblicato Ciao, sono tua figlia (Marsilio 2011); Scatto Matto – La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani (Marsilio 2013) dedicato al padre del fotogiornalismo italiano e con il neurologo Rosario Sorrentino Grazie al cielo – Vincere la paura di volare (e non solo) (Sonzogno 2018). In televisione ha lavorato per Renzo Arbore e per Franca Leosini a Storie Maledette. Per RaiPlay ha scritto e ideato la serie di docu-crime sulla stagione dei sequestri: Ti ho visto negli occhi sul rapimento Bulgari-Calissoni; 343 giorni all’inferno, sulla prigionia di Barbara Piattelli e L’incredibile sequestro Casana. Scrive per il quotidiano La Repubblica e per le pagine romane cura la rubrica di interviste a casa di personaggi celebri.

http://www.vaniacolasanti.com

Lo scorso 29 settembre si è festeggiato il 453° compleanno di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, cui Vania Colasanti, giornalista, scrittrice, autrice televisiva, ha dedicato un volume insolito ed appassionante: “Inseguendo Caravaggio. Nei suoi luoghi e nei suoi quadri”, in libreria per i tipi di Baldini+Castoldi, che si legge tutto d’un fiato come un romanzo ma che si basa anche su un lavoro impeccabile di controllo delle fonti documentarie e della bibliografia storico-artistica più aggiornata. Una sorta di monografia al contrario, nel senso che non parte, come nelle normali monografie, dai dipinti per arrivare all’uomo che li ha prodotti, ma parte dall’uomo, “inseguito” appunto lungo i complessi itinerari della sua travagliata esistenza per risalire alle opere.

Nella presentazione al pubblico del libro si legge questa domanda che giriamo subito all’autrice: Ci parlano ancora, a distanza di quattro secoli, i quadri di Caravaggio? Possiamo ancora ritrovare indizi, misteri, curiosità e soprattutto luoghi che hanno segnato la sua vita?

R: I quadri di Caravaggio ci parlano sempre. E parleranno sempre anche alle generazioni future. Perché Caravaggio è un artista che non muore mai. O meglio, sono le sue opere, i suoi personaggi ad attraversare i secoli. Ieri come oggi. Personaggi universali che nella sonorità di quei dipinti – perché i suoi quadri sono movimento e suono – si ritrovano nella fisicità, nei sentimenti, negli stati d’animo. Ancora oggi, osservando quei quadri e tornando in alcuni luoghi attraversati da Caravaggio, si possono cogliere analogie e dettagli che emozionano. A vicolo del Divino Amore a Roma, nel palazzo dove visse Merisi proprio ai tempi in cui dipinse la Madonna di Loreto, c’è lo stipite di marmo che coincide con quello raffigurato nella tela. Proprio come evidenziato nella copertina del libro. È bello pensare che la sua modella Lena, per ispirare il pittore, si sia poggiata proprio su quella soglia di marmo.

Oppure a Napoli: via e vicolo del Cerriglio sono la scenografia delle Sette opere di Misericordia, in cui, nella parte sinistra di quel capolavoro, si vede l’antico oste della locanda che invita i pellegrini a entrare. Andando oggi in quel vicolo, ecco ancora la Locanda del Cerriglio, al civico 3, che infatti è dedicata a Caravaggio. Locale che, nel secondo soggiorno partenopeo del pittore, lasciò il segno nella sua vita, quando nell’autunno del 1609 fu lì aggredito. Tanto che nel Davide con la testa di Golia si colgono i segni nel volto sfregiato in cui l’artista si ritrae. E non solo, tante analogie anche a Malta, Siracusa – nella latomia del Paradiso – Porto Ercole che rappresenta l’ultima tappa di quell’esistenza in fuga.

Tra tutti i personaggi femminili che hai fatto rivivere nel tuo libro sicuramente i più interessanti sono – almeno per me- quelli, in un certo senso contrapposti, di Lena, la sua “donna” e modella per la Madonna di Loreto e quello di Prudenzia Bruni, la sua affittuaria, che fra l’altro vivevano a pochi metri di distanza l’una dall’altra.

R:  Lena l’ho letteralmente fatta scendere di notte dal quadro in cui è ritratta, ovvero dalla pala d’altare della cappella Cavalletti a Sant’Agostino. E, come quando si corre da un innamorato, le ho fatto attraversare velocemente le vie che la portano a casa di Caravaggio, in vicolo del Divino Amore. E per spiegare il sentimento che animava quegli istanti, riprendo un passaggio del libro:

“Cinque minuti ed è da lui. La penso davanti al portone sistemarsi lo scialle sulle spalle e bussare forte con le nocche alla sua porta, mentre nell’altra mano stringe con ansia nervosa l’aureola di ferro dorato che ha appena sfilato dai capelli. Una Madonna mora di vent’anni, detta Lena, meglio nota nei primi del Seicento come “donna di Caravaggio””.

Lena entra così in quella casa che Michelangelo Merisi aveva affittato a caro prezzo da Prudenzia Bruni: una donna guardinga, come si coglie dai documenti antichi. Perché l’intero testo è supportato da denunce, querele che sono alla base della narrazione che si fonda sulla realtà dei fatti. Ed è proprio grazie all’elenco legato alla confisca dei beni da parte della proprietaria per il mancato pagamento, che veniamo a conoscenza dell’arredo e di cosa conteneva quell’appartamento. Oggetti che ci parlano di come viveva Caravaggio, che metteva una tela come tovaglia, che aveva un secondo letto per il servitore, che custodiva i gioielli indossati dalle sue modelle, che aveva strumenti musicali presenti infatti nei suoi quadri. Senza il livore di Prudenzia Bruni non saremmo mai entrati a casa di Caravaggio con tale dovizia di particolari.

– Parliamo ora di via della Pallacorda e del famoso duello con Ranuccio Tomassoni che ha costretto Caravaggio a fuggire da Roma. Si può ancora oggi trovare traccia di quei drammatici eventi o ogni memoria è ormai persa per sempre?

R: Innanzitutto già il nome della strada – via di Pallacorda a Campo Marzio – evoca che lì anticamente c’era un campo legato a quel gioco. E probabilmente, se non fosse stato teatro di quello storico duello, pretestuosamente scaturito da un fallo di gioco che invece nascondeva una rivalità di donne, magari non sarebbe rimasto impresso nella via. Anche su quel tragico evento – in cui Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni, omicidio che gli costerà la condanna a morte nello Stato della Chiesa – nel libro si riportano tanti particolari, perché ancora una volta sono i documenti antichi a parlare. Si ripercorre così il destino di quel luogo che fino al 1936 fu poi sede del teatro Metastasio, oggi diventato un’autorimessa. E lo scatto in bianco e nero di quel luogo, realizzato della fotografa Gina De Bellis che mi ha accompagnato in questo inseguimento, esaltato dalla luce glaciale, quasi spettrale delle lampade, è come se restituisse la memoria di quel drammatico avvenimento.

Un altro tema che ho trovato molto affascinante è quello delle osterie, da Roma a Napoli che tu ricostruisci con grande passione.

R: Caravaggio era un grade frequentatore di osterie, nelle quali si ritrovava insieme ai pittori dell’epoca, agli amici di quella sua vita sbandata. Anche quei locali fanno da sfondo a episodi che finiscono in querele e denunce. A via della Lupa a Roma c’era l’omonima locanda. Ma la sede non era, come si potrebbe pensare, dove oggi c’è una trattoria. Bensì al civico 11 e corrisponde curiosamente alla galleria d’arte Carlo Virgilio & C. Non c’è più traccia invece dell’osteria del Moro dove Caravaggio rovesciò addosso al garzone un piatto di carciofi, perché non erano cotti come lui aveva ordinato. Si sa solo che era in via della Maddalena.

La locanda del Cerriglio in una stampa d’epoca

Incredibilmente rimasta al suo posto a Napoli, la Locanda del Cerriglio, al civico 3 nell’omonima via, quartiere Porto: uno dei vicoli più stretti della città. Famosa osteria all’epoca e ottimo ristorante oggi, sulle cui pareti sono appese le riproduzioni delle opere di Merisi. E dove viene organizzata da tre anni l’edizione invernale del Festival del giornalismo e del libro d’inchiesta: al volume sarà dedicata la serata del prossimo 3 febbraio. Location appropriata per la storia maledetta di Caravaggio, con le sue tinte fosche e i misteri sulla sua morte, che continua a fare tanto rumore anche a distanza di quattro secoli.

E sempre in tema di crimini, è in quel luogo che nell’autunno del 1609 Caravaggio viene aggredito pesantemente, tanto che all’inizio venne ritenuto morto. Una locanda talmente familiare all’artista da frequentarla anche nel primo soggiorno partenopeo, tanto da far diventare l’esterno il set scenografico delle Sette opere di misericordia. A differenza del gestore di oggi – Raffaele Morlando che è nato a Napoli – l’oste dei tempi di Caravaggio sappiamo che doveva essere tedesco o fiammingo, come sottolineano i caratteri somatici impressi nella tela. Passano i secoli ma certi luoghi assorbono e conservano per sempre le tracce degli artisti che li hanno attraversati.

Ed eccoci giunti a La Valletta che è ancora intrisa di Caravaggio (e di Mattia Preti) forse più di qualsiasi altra città dove Caravaggio è vissuto.

Caravaggio, Martirio di San Giovanni Battista, part. Concattedrale di San Giovanni a La Valletta.

R: Malta per Caravaggio è speranza e poi dannazione. Arriva a La Valletta nell’estate del 1607 con la prospettiva di essere nominato Cavaliere, cosa che infatti avviene il 14 luglio 1608, diventando fra’ Michelangelo, un nome che lui stesso firma con il sangue che schizza dal Battista decollato: “F MichelAn”, nella tela più grande che abbia mai realizzato, la Decollazione di San Giovanni Battista. Decollazione che spetterebbe a lui se rientrasse a Roma. Un titolo che dovrebbe metterlo al riparo dalla condanna a morte ma non dalla propria ira. È la notte del 18 agosto 1608 e sul finire del mese, per aver aggredito un cavaliere, Caravaggio viene recluso nell’inviolabile carcere di Malta. E ancora riprendo alcuni passaggi del libro:

Giù nelle segrete di Forte Sant’Angelo a La Valletta con le mura possenti a picco sul mare. Impossibile evadere ai più, perché, come narrano le cronache, da quella cella non si esce nemmeno con un paio d’ali. Piumaggi scuri di aquile e rondini, oppure candidi come quelli dei cigni: tutti gli angeli dipinti da Caravaggio non riescono a sollevarlo. Quando però le ali sono tessute da Costanza Colonna, che da sempre lo protegge, allora sì che anche quella prigione inaccessibile si spalanca, soprattutto se il procuratore delle carceri si chiama Girolamo Carafa ed è legato da parentela alla marchesa”.

Gli ultimi drammatici giorni che da Napoli hanno portato Caravaggio a Porto Ercole dove è morto, sono tutt’ora avvolti nel mistero: tu come ricostruisci questi eventi?

R: Nel giugno del 1610 i tempi sono maturi per l’ottenimento della grazia da parte di Papa Paolo V. E Caravaggio intende avvicinarsi a Roma. Lo fa su una feluca su cui imbarca alcune opere con cui omaggiare Scipione Borghese, nipote del pontefice. Ma a Palo Laziale, dove probabilmente chiede di essere sbarcato, in quanto territorio autonomo giurisdizionalmente, viene comunque arrestato. Quando viene liberato, dietro “sborso grosso di denari”, si rende conto che la feluca è ripartita senza però aver sbarcato le sue opere. A quel punto, forse nella speranza di recuperale, raggiunge Porto Ercole, tappa successiva della feluca. Ma quando giunge nel promontorio toscano, non si sa se per mare o per terra, Caravaggio è stremato, fiaccato nel fisico. La feluca ha ripreso il largo senza sbarcare le sue opere che hanno fatto ritorno a Napoli dalla marchesa Costanza Colonna. Stando alle leggi in vigore su quel territorio, potrebbe esser stato assistito dalla Compagnia di Santa Croce che aveva il compito di prendersi cura dei bisognosi, di dar loro sepoltura, magari nel cimitero di San Sebastiano alla marina. Da lì l’equivoco che sarebbe morto lungo la spiaggia, dal momento che il camposanto era allora nella baia, dove oggi si trova il paese di Porto Ercole, mentre l’antica sede della confraternita è perfettamente riconoscibile ancora oggi nel paese vecchio, adiacente alla chiesa di Sant’Erasmo. Si sarebbe conclusa nell’antico borgo toscano, lontano dal clamore romano, la vita del pittore più rivoluzionario di quei tempi. E forse di tutti i tempi.

E veniamo ai quadri. Tu in qualche modo li fai rivivere, fai uscire i protagonisti dalle tele e li fai dialogare direttamente col pittore. Anche se so che è una domanda molto difficile, dovendone scegliere tre che secondo te meglio lo rappresentano o che comunque ti hanno più emozionato, quali sceglieresti?

Caravaggio Martirio di San Matteo 1599-1600, chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma, particolare.

R: Il Martirio di San Matteo, con quella luce a tempo nella cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi, che accende e infiamma i personaggi, mi provoca sempre una grande emozione. È come se le figure si animassero, lottassero e mi sembra quasi di sentirne i rumori. Un po’ come ha fatto il regista Steven Zaillian nella serie televisiva Ripley in cui lo spettatore, davanti alle opere di Caravaggio ne percepisce anche i suoni.

Poi sono emotivamente coinvolta dalla Madonna di Loreto, scelta anche per la copertina del libro. Perché penso che la modella Lena era la donna di Caravaggio, perché ritrovo i luoghi ritratti nell’opera. Ma soprattutto per quel messaggio silenzioso che così riporto nel primo capitolo:

I due pellegrini finalmente possono abbracciare quella Creatura divina con la quale per quattro secoli si sono sempre sfiorati, senza però toccarsi mai, in quel filo invisibile che li separa. Le mani giunte mai erano riuscite a carezzare nemmeno le dita del piede di Gesù Bambino. Né a guardarlo negli occhi, perché la Vergine e suo Figlio, nel dipinto, vedono i pellegrini, senza però che avvenga il contrario. Le due figure inginocchiate possono solo sperare nel miracolo dell’apparizione, disposti ad aspettare nel tempo infinito del divino”.

E poi come non stupirsi, ogni volta, davanti alle Sette opere di misericordia al Pio Monte a Napoli. Un’opera in cui le sette azioni che portano alla salvezza dello spirito, sono tutte riunite in un’unica scena teatrale. Lì ritrovo Napoli, la Locanda del Cerriglio, il clamore dei vicoli. Oggi come allora.

Sergio ROSSI  Roma 20 Ottobre 2024