di Catherine LOISEL
Presentiamo in questo numero una nuova ricerca in fieri di Catherine Loisel che torna con nuove argomentazioni e attribuzioni sul gruppo di disegni noto agli studiosi come gruppo dello “Pseudo Cittadini”. Il nucleo composto da numerosi fogli di grande qualità per lo più disegnati sia a recto che a verso con scene particolarmente finite ed elaborate era parzialmente noto a Nicholas Turner, Philip Pouncey, Julien Stock, Mario Di Giampaolo, tutti coincordi sulla individuazione di una personalità italiana attiva intorno alla metà del XVII secolo, segnatamente influenzata dallo stile di Guido Reni. Di questo avviso è dal 2013 anche Catherine Loisel, seguita da ultimo da Carmen Bambach. Al contrario, dal 2018 Benito Navarrete Prieto pensa che il nucleo di disegni possa rappresentare la fase italiana di Francisco Herrera el Mozo. L’importante mostra dedicata all’artista iberico, aperta al Museo Nacional del Prado lo scorso lunedì 24 Aprile consentirà di vedere per la prima volta esposti alcuni di questi fogli a confronto con la produzione certa del maestro. Si pone dunque la questione se si tratti di lavori italiani o spagnoli e certamente l’esposizione rappresenta l’opportunità per una essenziale messa a punto anche in relazione ai differenti punti di vista dei due prestigiosi studiosi. About Art naturalmente è aperta al contributo di chi ritenga di dover intervenire con ulteriori contributi.
Nel 1997, nel catalogo dei disegni del J. P. Getty Museum,[1] veniva resa nota una Assunzione della Vergine con la possibile assegnazione a “Cerchia di Guido Reni ?” (Fig. 1).
Nella scheda relativa, a firma di Nicholas Turner, si confutava la precedente interpretazione, ovvero la lettura, giudicata maldestra, dell’importante annotazione antica sita in basso al centro, che veniva assegnata alla mano di Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville (1680-1765), evidentemente primo proprietario del disegno. Tali caratteri, al momento del passaggio all’asta dell’opera e prima dell’acquisizione da parte del Getty Museum, erano stati infatti letti come “mozo”, soprannome con cui è noto il maestro spagnolo Francisco Herrera il Giovane (Sevilla 1627- Madrid 1685). La nota manoscritta mutilata – spiegava Turner – era piuttosto da individuarsi nella tipica numerazione apposta sui fogli provenienti dalla collezione Dezallier d’Argenville, cominciante con un numero, in questo caso “11”, seguita da una piccola sigla a forma di nodo, così come si poteva vedere anche in questo caso. Il disegno in oggetto poteva, dunque, avere rappresentato il numero “1103” della raccolta. Turner concludeva la scheda redigendo una lista di disegni attribuibili alla stessa mano, comprendente fogli dell’Hermitage, del Nationalmuseum di Stoccolma, dell’Albertina di Vienna, nonché un altro spurio, passato di recente sul mercato dell’arte,[2] tutti disegni già ritenuti riconducibili a Reni, la sua scuola, o comunque all’ambito emiliano secentesco.
È bene subito precisare che il numero apposto sul disegno Getty da Dezallier d’Argenville accanto al segno simile al nodo, purtroppo tagliato, non potrà leggersi “1103”, dal momento che questa stessa cifra si trova iscritta su un disegno del Louvre (Fig. 2), l’inv. 8928.[3] Confrontandolo con altri caratteri numerici che appaiono sui fogli numerati sempre da Dezallier, possiamo dunque avanzare l’ipotesi che si tratti o del “1108” o del “1128”.[4]
Il disegno dell’Hermitage porta il numero “1104” e quello dell’Albertina con La fuga in Egitto (vedi Fig. 5) porta la cifra di Dezallier d’Argenville “1106”: quindi – lo ribadisco – è più che verosimile che il disegno Getty rappresentasse il numero “1108” della raccolta.
Inoltre, è indubbio – come aveva stabilito già Turner – che le due linee ricurve che seguono il numero tagliato corrispondano alla parte superiore della sigla Lugt 2951, un tempo identificata come quella di Pierre Crozat (Lugt 3612) e successivamente riconosciuta come quella di Dezallier da Jacqueline Labbé e Lise Bicart-Sée.[5] Quanto asserito circa il foglio Getty è con evidenza sorretto dal confronto con altri fogli del Louvre che conservano intatti il numero e il segno a nodo (Figg. 2, 3, 4).
Inoltre, va sottolineato che Dezallier aveva raggruppato i disegni di Reni fra i numeri “1098” a “1133”.
Nel catalogo dei disegni bolognesi del Seicento del Museo del Louvre, pubblicato a firma di chi scrive nel 2013, era stato riunito un gruppo di opere grafiche da assegnarsi alla medesima mano autrice di quelle già elencate nella scheda relativa al foglio del Getty Museum, che fino a quel momento si trovavano piuttosto sparse sotto attribuzioni diverse.[6] Tali disegni venivano, dunque, messi in relazione con alcuni fogli appartenenti alle collezioni del Nationalmuseum di Stoccolma e con quelli già citati del Getty Museum e dell’Albertina di Vienna (Fig. 5, 6, 7).[7]
Gli stessi disegni – come nel caso del più moderno giudizio emesso per l’opera di Los Angeles – erano stati per lo più ritenuti della “Scuola di Reni”; uno di essi era stato più specificamente attribuito in passato a Ludovico Carracci[8] (Figg. 8, 9, 10).
Lapresenza di un’antica annotazione presente sul foglio di Stoccolma, raffigurante a recto uno Studio per Apollo che scortica Marsia e una Fuga in Egitto al verso (Fig. 11, 12) – “Milanese” – spiega bene le passate attribuzioni, sia antiche che odierne, di questi disegni, che erano stati generalmente ricondotti alla scuola bolognese e, per la maggior parte, assegnati a Pier Francesco Cittadini detto “il Milanese” (Milano 1613/1616-Bologna 1681).[9]
Importanti studiosi conoscitori di disegno italiano, nonché perlustratori della collezione di Stoccolma, quali Philip Pouncey e Julian Stock, avevano già esteso la medesima attribuzione a due fogli del Louvre che si trovano incollati su un medesimo supporto settecentesco – gli inventario numero 7659 e 7659 bis (Fig. 13) -, costituenti due studi per una Vergine col Bambino e che recano manoscritta l’indicazione “Guido Reni”.
Un attento esame dello stile di questi ultimi esemplari aveva dunque già permesso a chi scrive di aggiungere al costituendo corpus altri sette fogli delle collezioni del medesimo Museo del Louvre. Di fronte all’impossibilità di identificare un plausibile nome di artista, avevo presentato l’intero nucleo con la denominazione di “Groupe Cittadini ?”. La presenza del cognome Cittadini alludeva alla passata fortuna critico-attributiva del nucleo grafico, mentre il punto interrogativo stava ad indicare la concreta impossibilità di ricondurre tali complesse composizioni disegnative – nella maggior parte dei casi eseguite sia a recto che a verso della carta – ai dipinti e ai disegni pianamente assegnabili al capostipite della famiglia Cittadini, ovvero Pier Francesco; con tale nomenclatura, infine, si volevano al contempo escludere altri eventuali rapporti con Ippolito Scarsellino e Domenico Maria Viani, precedentemente individuati dagli specialisti – seppur con qualche riserva – per alcuni dei disegni in questione.[10]
Stando a quanto riportato dal conte Carlo Cesare Malvasia (1678), Pier Francesco Cittadini e suo fratello Carlo, detto anche lui “il Milanese“, furono tra gli allievi di Guido Reni, lavorando in particolare alla decorazione del Palazzo Estense di Sassuolo. Principalmente conosciuti e stimati per le loro opere di paesaggio, nature morte e ritratti, i due artisti realizzarono anche dipinti a soggetto religioso. Particolarmente affascinanti sono le scene religiose intimiste, tra le quali si annovera il Riposo della Sacra Famiglia in un paesaggio di Pier Francesco, dallo stile perfettamente inseribile nell’eredità di Guido Reni.[11] Voglio subito precisare che non è possibile, tuttavia, stabilire alcuna corrispondenza stilistica con il gruppo di disegni qui nuovamente presi in esame. I recenti contributi offerti sui due Cittadini confermano la ben diversa personalità artistica dei due fratelli pittori.[12]
Le ricerche che protratto negli anni successivi alla pubblicazione del catalogo dei disegni bolognesi del Louvre mi hanno consentito di identificare altri disegni che vengono ora ad arricchire il gruppo. Si tratta, innanzitutto, di un foglio già nella collezione di Chiara Veronese, raffigurante sul recto l’Assunzione della Vergine e sul verso La Fuga in Egitto (Figg. 14, 15);
di due disegni del Musée des Beaux-Arts di Rennes: il primo attribuito a Gian Domenico Cerrini, con una Assunzione della Vergine sul recto e uno schizzo per una Pietà sul verso (Figg. 16, 17),[13]
l’altro in antico assegnato a Guido Reni, poi catalogato tra gli anonimi italiani e raffigurante la Sacra Famiglia con san Giovannino (Fig. 18);[14]
e di un foglio del Museo del Prado, nuovamente in antico ascritto al Reni, con Mosè che colpisce la roccia al recto (Fig.19) e Cristo scaccia i mercanti dal tempio al verso (Fig. 20).[15]
Lanuova attribuzione proposta nel 2018 da Benito Navarrette Prieto per l’intero corpus riunito nel mio catalogo del Louvre del 2013 a favore di Francisco Herrera il Giovane, tesi che scaturisce innanzitutto dal presupposto che sia nuovamente da leggersi “mozo” la numerazione Dezallier d’Argenville recuperabile sul foglio del Getty Museum,[16] pur nel rispetto della ben diversa idea del collega,[17] rende doverosa una rettifica e la necessità per mia parte di ribadire l’appartenenza di tali disegni alla scuola italiana secentesca, specificamente segnati da un influsso reniano. I rapporti stilistici con il corpus disegnativo e pittorico di Herrera el Mozo proposti dallo studioso non sembrano, viceversa, dirimenti.
Come mi fa notare anche Carmen Bambach, che ringrazio, il nucleo dei disegni da me riunito sulla scia del primigenio raggruppamento di Turner si caratterizza per una grande capacità di gestione dello spazio compositivo e per una diffusa e forte luminosità capace di amplificare il senso della visione aereo-prospettica, elementi, questi, che denotano una intelligenza pittorica tipicamente italiana e che, difficilmente, un maestro di educazione iberica poté maturare in breve tempo, nonostante il soggiorno di studio in Italia. Inoltre, quanto conosciamo dello stile grafico sicuramente riconducibile alla mano del Mozo – prendo ad esempio e riproduco la significativa fig. 15 del contributo di Benito Navarrete, La Croce portata in trionfo dagli angeli del Museo Nacional del Prado, circa del 1660 (Fig. 21) –
denota una maniera disegnativa altamente calligrafica e decorativa, meno sciolta nel gesto, caratterizzata da forme rigide e con uno scarso e meno arioso concetto dello spazio, a differenza di quanto possiamo riscontrare nel gruppo cosiddetto “Pseudo-Cittadini”.
Dal punto di vista della storia collezionistica, bisogna inoltre tenere fortemente presente che molti di questi fogli provengono con certezza dalla collezione Pierre Crozat, dispersa a Parigi nel 1741 durante una vendita celebre, il cui catalogo, come è noto, fu redatto da Pierre Jean Mariette.[18] Questo è il caso, documentato, dei sopra menzionati disegni del Museo di Rennes (vedi Figg. 16-18), dei due di Stoccolma (vedi Figg. 11-12) (Fig. 22) e dell’inv. 2231 dell’Albertina di Vienna (vedi Fig. 6).[19]
Come sembra altamente probabile che dalla medesima vendita provengano gli altri fogli – in antico giudicati di scuola italiana – che ritroviamo, quasi tutti, nelle collezioni francesi del XVIII secolo: Lenglier, François Renaud, Dezallier d’Argenville, Charles Paul de Saint Morys, Julien de Parme. Mi si passi l’osservazione che se i disegni spettassero effettivamente a Francisco Herrera el Mozo, si dovrebbe dunque supporre che l’intero corpus grafico rimase in Italia e che di qui passò nella Francia del XVIII secolo senza avere mai toccato il suolo iberico.
Ad ogni modo, sfortunatamente, la consultazione del catalogo della vendita di Crozat del 1741 non consente alcun aiuto per ricavare un nome e proporre una concreta attribuzione moderna: i disegni di paesaggio di Pier Francesco Cittadini detto il Milanese risultano qui raccolti in più lotti, ma non appare alcuna menzione delle composizioni con figure.[20] Va sottolineato che Mariette aveva raggruppato decine di disegni da lui assegnati ad anonimi maestri bolognesi – “Elèves des Carraches et peintres bolonais inconnus” – nei lotti che vanno dai numeri 624 a 626, corrispondenti a un totale di cento novantacinque (195) disegni, sui quali non abbiamo purtroppo più alcuna informazione.[21]
D’altra parte, come abbiamo premesso, i disegni di paesaggio di Pier Francesco Cittadini – che nella ordinata lista Mariette precedono per logica regionale i lotti appena sopra menzionati – sono abbastanza riconoscibili per stile e non presentano alcun legame con il gruppo oggetto di questo studio.[22]
Tutto ciò premesso, voglio oggi meglio spiegare perché nel 2013 scelsi di lasciarli sotto il nome dell’artista nel catalogo dei disegni bolognesi del Louvre, mentre il corpus qui esaminato veniva presentato a parte sotto la denominazione « Groupe Cittadini ? » di cui ho spiegato il significato poco addietro.
Ribadiamo, frattanto, che l’inv. 2212 dell’Albertina (vedi Fig. 5), il disegno del Getty Museum (vedi Fig. 1), e il foglio inv. 13832 del Louvre raffigurante un Gruppo degli Apostoli (Fig. 23), che a me sembra un ulteriore tassello da ricollegare a questo insieme, sono stati tutti ospitati nella raccolta di Antoine Dezallier d’Argenville, che li giudicò della mano di Guido Reni.[23]
È poi molto probabile, secondo l’idea suggerita da Turner, che appartenga allo stesso insieme il disegno dell’Hermitage – dal poetico tema, tipicamente barocco, a recto, di Morte e Tempo che lottano tra loro, nel qual caso specifico contendendosi la Bellezza (Fig. 24), e una scena con Caino e Abele al verso – proveniente anch’esso dalla collezione Dezallier d’Argenville.[24] Si deve, poi, a Viviana Farina l’identificazione di altri due disegni appartenenti, inconfutabilmente, alla stessa mano.[25]
Nel primo caso si tratta di un foglio recto-verso della collezione dello Statens Museum for Kunst di Copenaghen raffigurante La Traditio Clavis a fronte (Fig. 25) e un gruppo di Angeli musicanti a retro.
Il gruppo compatto degli apostoli, la linea di contorno discontinua e nervosa a matita nera, i volti arrotondati con occhi a mandorla non lasciano dubbi sulle relazioni stilistiche, malgrado Ursula Fischer Pace abbia proposto un’attribuzione, per quanto dubitativa, a Giuseppe Ghezzi (Ascoli Piceno 1634-Roma 1721).[26]
E si tratta d’altronde – come compreso da Viviana Farina – di uno dei disegni già noti prima a Pouncey e poi a Stock come parte del nucleo che essi credevano della mano di Pier Francesco Cittadini. Il secondo caso è un disegno proveniente dalla collezione Ralph Holland – Un angelo appare a una figura femminile inginocchiata – (Fig. 26), per il quale lo stesso Holland aveva ipotizzato, in una nota manoscritta, di potervi riconoscere la mano dell’emiliano Sisto Badalocchio.[27]
Si può quindi stabilire che il gruppo si componga di più di venti fogli, la maggior parte dei quali disegnati su entrambe le facce. Molti di essi recano un’antica attribuzione a Guido Reni; è il caso del disegno del Prado (vedi Figg. 19-20),[28] di quelli dell’Albertina (vedi Figg. 5, 7), di Rennes (vedi Fig. 18), del Louvre inv. 7659 (vedi Fig. 13) e di quello, sempre del Louvre (inv. 13832), che sembra una copia, per la durezza della linea (vedi Fig. 23). Il foglio inv. 6758 del Louvre (vedi Fig. 27) – un San Sebastiano curato dalle pie donne -, che nella collezione Saint Morys veniva assegnato a Guido Reni, è stato successivamente classificato come opera del senese Francesco Rustici: tuttavia, in una recente discussione, Catherine Monbeig Goguel ha accertato il rapporto stilistico con il “Gruppo Cittadini ?“.[29]
Se è indubbio che il nome del proprio Reni vada escluso quale possibile autore del nucleo, è altrettanto vero che nei fogli siano ben riconoscibili diverse costanti stilistiche che riconducono alle opere dei suoi allievi. Di fatto, il nostro ancora anonimo disegnatore dimostra una conoscenza approfondita della maniera di Reni, Simone Cantarini, Lorenzo Pasinelli, fino alla generazione di Elisabetta Sirani.
Fonti stilistiche e raffronti
Il lavoro dei contorni, che porta ad ottenere corpi dai volumi arrotondati; la linea discontinua e dinamica; la proporzione piuttosto ridotta delle figure; i capelli ricciuti, i volti ovali sono tutti caratteri che richiamano i modi disegnativi di Giovanni Andrea Sirani, come dimostra il confronto con lo Studio per lo stemma di Filippo Guasta Vilani di Palazzo Rosso a Genova, inciso da Lorenzo Loli (Fig. 28). [30]
Le somiglianze diventano ancor più sorprendenti se si effettua un paragone con altre incisioni di Loli, quali gli Amori che litigano, il Baccanale di putti, Amor sacro rompe l’arco (“1640”) o l’Ercole bambino che lotta con il serpente[31] (Figg. 29, 30).
Lorenzo Loli (Bologna, 1603-1672), detto Lorenzino del signor Guido, fu allievo di Reni ad un tempo con Giovan Andrea Sirani ed ebbe la fama d’essere un disegnatore virtuoso, sebbene i suoi fogli non siano giunti fino a noi o, quantomeno, non sono stati ancora identificati.
Le fonti visive che possiamo individuare alla base di molti dei disegni del nostro gruppo conducono alla scuola bolognese e, più in generale, alla pittura italiana della prima metà del Seicento. Non vi è dubbio, ad esempio, che il Cristo che scaccia i mercanti dal Tempio del Museo del Prado (vedi Fig. 20) mostri una citazione rielaborata da La vocazione di san Matteo di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma.
Nella scena di Cristo con gli apostoli del Louvre (inv. 12522 verso; Fig. 31), il Cristo è molto vicino a quello dipinto da Francesco Gessi nella tela di analogo tema della chiesa di San Girolamo alla Certosa di Bologna (1648; Fig. 32)[32] – medesima appare la postura di profilo, il braccio destro alzato, la mano sinistra che regge il drappo sul fianco – mentre la composizione del disegno appare lontanamente ispirata a La consegna delle chiavi a san Pietro, il dipinto di Guido Reni proveniente dalla chiesa di San Pietro in Valle a Fano e ora al Museo del Louvre.[33]
Allo stesso modo, i monumentali e drappeggiati personaggi maschili del foglio, così come lo schema che li vede strettamente raggruppati, evocano il San Pietro che risana lo storpio di Simone Cantarini (post 1639), proveniente dalla medesima chiesa di Fano (Fig. 33).[34]
Questi due dipinti hanno visibilmente influenzato il nostro anonimo anche nel caso del disegno inv. 9740 verso del Louvre, raffigurante l’elargizione dell’elemosina da parte di san Pietro (Fig. 34).
La cultura di base caratteristica di questo insieme di fogli, dalla tecnica particolarmente raffinata, per lo più lavorati a penna su una base di matita nera ravvivata da rialzi di acquerello marrone più o meno scuro, si può rintracciarsi anche la matita rossa in altri due disegni del Louvre (inv. 7767, vedi Fig. 8 e inv. 8896 verso, vedi Fig. 39 bis), che consentono, definitivamente, di affermare di trovarci davanti ad un artista eccelsamente capace di impaginare scene narrative che brulicano di dettagli aneddotici. Le figure sono spesso introdotte da elementi architettonici a volte ambiziosi, o immerse nella vegetazione, soprattutto nel caso delle rappresentazioni relative all’episodio del Riposo durante la fuga in Egitto. In questo specifico caso, il nostro autore rivela la conoscenza delle incisioni di analogo tema di Camillo Procaccini (Figg. 35, 36) [35] e delle composizioni ideate da Simone Cantarini.
La Vergine seduta col Bambino ai piedi di un albero (Louvre, inv. 7659; vedi Fig. 13) evoca, ad esempio, un tema prediletto dal maestro originario di Pesaro, quale Il riposo durante la fuga in Egitto replicato in diverse versioni sia dipinte che incise (Fig. 37), mentre la composizione con la Sacra Famiglia con san Giovannino posta davanti ad un pilastro di Stoccolma (inv. 1471 recto; vedi Fig. 22) richiama il dipinto in formato verticale del Riposo durante la fuga in Egitto della Pinacoteca di Brera, sempre di Simone, proveniente dalla chiesa delle suore Matris Domini di Bergamo.[36] Questo medesimo spirito familiare e intimista, intriso da emozioni più umane che divine, si ritrova identico nel disegno inv. 2212 dell’Albertina, che mostra la sacra famiglia che attraversa un fiume mentre cerca riparo in Egitto (vedi Fig. 5): vediamo gli angeli che si precipitano a sostenere il bambino, mentre un altro tiene le briglie con i piedi immersi nell’acqua, così come fa san Giuseppe. Aggiungerò, dunque, che mi sembra certo che il nostro disegnatore conoscesse anche gli esercizi pittorici di Federico Barocci su questo stesso tema.
Notiamo, ancora, che l’artista predilesse le acconciature decorate da turbanti drappeggiati in modo sofisticato, denotando una scelta di gusto che lo lega, ancora, a Simone Cantarini, Ludovico Lana, Flaminio Torre, Giovanni Andrea Sirani ed Elisabetta Sirani, ovvero a molti dei discepoli più o meno vicini a Guido Reni.[37]
Per quanto riguarda il disegno con l’Assunzione della Vergine del Musée des Beaux-Arts di Rennes (vedi Fig. 16), invece, Mario Di Giampaolo aveva proposto un’attribuzione a Gian Domenico Cerrini (Perugia 1609-Roma 1681).[38] In effetti, è possibile riscontare una certa affinità tra il foglio e le due Assunzioni della Vergine di Cerrini conservate nella chiesa di Santa Maria della Vallicella a Roma [39] e in San Girolamo a Fiesole, soprattutto con la prima, concentrandosi sull’abito stretto da una cintura, sul velo che circonda la scollatura, sui capelli che discendono in riccioli su entrambi i lati del collo. Tuttavia, al confronto con il foglio francese, vedremo diversamente impostate le braccia della Madonna come gli angeli, osservazioni che valgono anche al momento di rianalizzare gli altri due disegni del Nostro sul tema dell’Assunzione della Vergine, del Getty Museum (vedi Fig. 1) e già in collezione Chiara Veronese (vedi Fig. 14). Se poi guardiamo all’acquaforte che Giovanni Battista Beinaschi trasse dalla Fuga in Egitto di Cerrini (1652),[40] troveremo un gusto per comprimere le figure nello spazio disponibile, l’adozione di un elaborato sfondo architettonico, un paesaggio descritto con grande naturalezza, elementi, questi, che rimandano tutti allo spirito di nostri disegni. La monografica intitolata a Cerrini nel 2005 a Perugia ebbe modo di mettere perfettamente in luce la filiazione bolognese anche di questo maestro. Ciò nonostante, siamo costretti a constatare che i disegni identificati e sicuramente riferibili all’artista perugino non presentano alcuna evidente relazione stilistica con il nostro gruppo.
Concentriamoci ora sulla singolarità iconografica del verso del disegno che si trovava nella collezione Veronese e che raffigura La fuga in Egitto con i santi innocenti riversi a terra (vedi fig. 15). Mi chiedo se sia possibile che il nostro ancora anonimo autore conoscesse il dipinto di analogo soggetto di Domenico Fetti (Roma 1589 circa-Venezia 1623), conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna,[41] che mostra i corpicini di due bambini in primo piano, trattando dunque, in un’unica scena, i due diversi episodi della Fuga in Egitto e della Strage degli innocenti. Il suo allievo, Pietro Martire Neri (Cremona 1601-Roma 1661), donò una versione dell’opera oggi conservata al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona. Un altro dipinto dello stesso Pietro Martire Neri, La guarigione del cieco nato, conservato sempre a Cremona, vede riunito attorno a Cristo un gruppo compatto di apostoli: l’opera mostra qualche rapporto con alcuni dei disegni qui in esame, ma ricorda anche i quadri di Reni e Cantarini.[42] Riscoperto recentemente dalla critica, Neri, amico di Alessandro Algardi e Domenico Guidi, lavorò a Mantova, Milano e Roma dove incontrò Velázquez, con il quale sembra avere addirittura collaborato.[43] Tuttavia, non sembra possibile per il momento potere assegnare a lui il corpus dei disegni che qui interessa.
La possibile messa in relazione con Niccolò Tornioli (Siena 1606-1651)
Alcuni dettagli dei disegni parrebbero ricondurci all’autore di due dipinti conservati al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano, quali il San Sebastiano curato dalle pie donne e La visione di san Giovanni a Patmos (Figg. 38, e 40).[44]
Le due opere, in precedenza attribuite con dubbi ad Emilio Savonanzi (Bologna 1580- Camerino 1660), sono state più di recente identificate nell’inventario di Federico IV Borromeo del 1638, descritte come della mano di Niccolò Tornioli.[45] Sono entrambe entrate a far parte del patrimonio pubblico milanese nel 1935, provenienti da Palazzo Sormani e presentano una complessa storia attributiva. Una prima ipotesi le ha viste assegnate all’ambito napoletano, nella cerchia di Mattia Preti; poi si optò per vederle allineate con il “classicismo romaneggiante e forse guercinesco”.[46] Ciò che sorprendeva era il riscontro di una certa persistenza di sostrato manierista, la grande monumentalità, gli accordi cromatici raffinati, che tutti deponevano a favore di un artista dalla cultura eclettica.
Jacopo Stoppa aveva, quindi, avanzato ipoteticamente il nome del Savonanzi, stabilendo paragoni con le poche opere documentate dell’artista, che debuttò sotto il dominio di Denys Calvaert, entrò nell’Accademia di Ludovico Carracci, frequentò lo studio di Guercino a Cento e poi raggiungesse Guido Reni a Roma.[47] Ma la successiva identificazione dei due dipinti nei documenti Borromeo come della mano di Niccolò Tornioli – ricordiamo che il pittore aveva incontrato a Siena il nobiluomo prelato, città dove il Borromeo si era trasferito dal 1623, e che lo stesso condusse l’artista a Roma nel 1635, offrendogli protezione fino al marzo del 1636[48] – rimescola le nostre carte in modo assolutamente significativo. In quanto, in maniera inaspettata, è nel nuovo corpus del senese che possiamo rintracciare le maggiori tangenze stilistiche atte ad aprire la possibilità di una messa in relazione con i nostri disegni.
Nel foglio con San Sebastiano curato dalle pie donne del Louvre (vedi Fig. 27) si rintraccia un modo di accorpare le tre figure non molto distante per concezione, anche se lo schema è visto in controparte, da quello del dipinto di analogo soggetto del Castello Sforzesco (vedi Fig. 38). Molti altri elementi dei fogli sembrano concordare con le due tele milanesi: dal panneggio svolazzante della Vergine del disegno già in collezione Chiara Veronese (vedi Fig. 14),[49] che simile si vede volare intorno alla figura della Madonna nella Visione di san Giovanni a Patmos (vedi Fig. 40), al raduno di angeli attorno all’Assunta, sia al recto del foglio appena citato che in quello del Getty (vedi Fig. 1),[50] non così lontano nello schema da quello del gruppo composto dalla Vergine e il Figlio portato dagli angeli nella medesima tela (Fig. 40).
Anche la passione del nostro disegnatore per i turbanti femminili, i boccoli e l’abbondanza di dettagli aneddotici, come possono essere i bagagli della Sacra Famiglia, non è incompatibile con lo spirito che anima i due dipinti del Castello Sforzesco. Si può ancora notare, in particolare, come il profilo di Irene china sull’ex comandante delle legioni romane evochi il volto minuto di Maria, così come appuntato nei quattro disegni raffiguranti la Fuga in Egitto: dei numeri 12522 recto e RF 603 verso del Museo del Louvre (Figg. 41, 42), dell’Albertina (vedi Fig. 5) e di Stoccolma (vedi Fig. 12).
Naturalmente sappiamo tutti che il confronto operato tra singoli dettagli di disegni di cui non conosciamo l’esatta traduzione in pittura e dipinti già attestati nel catalogo di un artista rappresenti un metodo pericoloso, talvolta solo foriero di pure suggestioni visive, quasi semplici coincidenze. Eppure, tale sforzo di ricerca di un immaginario comune spesse volte conduce pure a buone intuizioni.
Non vi è dubbio, frattanto, che sia evidente la filiazione di Tornioli da Guido Reni, il nome a cui conducono la maggior parte delle referenze manoscritte antiche a nostra disposizione, ricordiamolo ancora una volta. Lo capiamo bene, ad esempio, confrontando la Vergine col Bambino della Galleria Spada con una delle Vergini di Reni.[51] Ma il repertorio del nostro artista disegnatore può trovare anche altri echi nel corpus di Tornioli. I dettagli di diversi fogli mostrano una buona concordanza con La vocazione di san Matteo del Musée des Beaux-Arts di Rouen, quadro del 1637 (Fig. 44):[52]
penso al possibile parallelo con il Cristo veemente schizzato nel foglio del Museo del Prado (vedi Fig. 20) o a come si vedono raggruppati gli apostoli dietro Gesù nel disegno del Louvre inv. 12522 verso (vedi Fig. 31). D’altronde lo stesso quadro con San Sebastiano di Milano (vedi Fig. 38) può ben guardarsi al lato del recto del foglio Louvre inv. 8896 (vedi Fig. 39), al verso decorato di una Giuditta e Oloferne già da me catalogato nel gruppo pseudo-Cittadini (vedi Fig. 39bis)[53]
Mentre altri due disegni del medesimo Museo del Louvre ben sembrano potersi amalgamare nelle scelte tipologiche con il Riposo durante la fuga in Egitto di collezione privata (vedi Fig. 43), già assegnato a Sisto Badalocchi,[54] e da ultimo spostato sotto il nome di Tornioli sul 1637/1638.[55]
Anche le possenti sagome componenti il gruppo di Apollo che scortica Marsia nei fogli di Stoccolma (vedi Fig. 11) e del Louvre (Fig. 45) non sono incompatibili con il bagaglio figurativo di Tornioli.
Buoni per noi esempi pittorici possono essere anche il Caino e Abele della Galleria Doria Pamphili di Roma e l’esemplare della Galleria Spada sempre a Roma, in origine inviato alla cappella di famiglia in San Paolo Maggiore a Bologna nel febbraio del 1648, pochi mesi prima che lo stesso cardinale Bernardino Spada commissionasse a Tornioli anche la Lotta tra Giacobbe e l’angelo ancora in situ.[56] Purtroppo, il disegno che generalmente si ritiene relativo a questo ultimo dipinto, conservato nel Gabinetto delle Stampe di Bologna (inv. 1702),[57] farebbe cadere per il momento l’ipotesi di identificare con certezza il nostro maestro nel pittore senese. E lo stesso dovrò ammettere basandomi sullo studio degli altri fogli che sono stati già assegnati a Tornioli: principalmente, il Trionfo di David di Berlino (inv. Kdz 18360)[58] e la Sacra Famiglia a matita rossa della Fondazione Roberto Longhi.[59] Tutto ciò nonostante, insisterò nel sottolineare come il nostro corpus disegnativo presenti forti affinità sia ideative che tipologiche con i quadri dell’artista senese.
Una relazione piuttosto stretta è da rilevarsi tra il gruppo della Vergine che accoglie maternamente tra le braccia Gesù Bambino e san Giovannino nel già citato disegno del Louvre RF 603 (vedi Fig. 42) e gli stessi personaggi della Sacra Famiglia di collezione Luzzetti a Firenze, nonostante la diversità della composizione generale del dipinto;[60] per sua parte il foglio già in collezione Holland (vedi Fig. 26) ricorda l’Annunciazione della chiesa dell’Annunciazione di Castel Viscardo a Terni[61].
Ricorderò a questo punto che, nel 1995, Marco Ciampolini aveva tentato di restituire a Tornioli un disegno passato all’asta nel 1988 sotto il nome di Giovanni Baglione,[62] che lo studioso considerava preparatorio per il San Gregorio e la peste di Roma della cattedrale di Colle di Val d’Elsa.[63].Tuttavia, questo foglio, decisamente di marca senese, non presenta alcun rapporto stilistico con gli altri disegni assegnati all’artista e poco sopra ricordati, così come il legame con il dipinto toscano, di soggetto piuttosto frequente, non sembra così evidente come riteneva Ciampolini. La cultura senese di Tornioli non emerge chiara dal nostro gruppo di disegni, e forse anche la precedente idea di attribuire l’inv. 6758 del Louvre (Fig. 27) a Francesco Rustici non sembrerebbe così determinante. Se non fosse per il fatto che lo stesso Rustici pare verosimilmente essere stato il maestro di Tornioli, prima che quest’ultimo si lasciasse profondamente influenzare dall’arte di Rutilio Manetti.[64]
Per concludere, si possono rilevare relazioni abbastanza strette tra le scelte tipologiche emergenti dall’insieme del corpus grafico in esame e il repertorio pittorico di Tornioli: come i volti ovali dalle guance piene, i capelli inanellati, i gruppi di figure in piedi strettamente organizzati, alcune peculiari scelte compositive, l’interesse ricorrente per il tema della Sacra Famiglia. E tuttavia, i disegni finora individuati come della mano del senese non concordano formalmente con il nostro gruppo.
Indipendentemente dalla possibilità di accettare o no l’ipotesi attributiva avanzata in questo contributo – che, nonostante gli ostacoli appena elencati, rimane non solo un’ipotesi suggestiva, ma anche la meglio percorribile, basandosi quanto meno sull’attenta osservazione della maniera pittorica di Tornioli – resta a latere aperto il problema della concezione e dell’utilizzo di tali disegni. Come abbiamo visto, furono quasi tutti schizzati fronte-retro. Sarebbe del tutto verosimile credere all’invenzione di un insieme di modelli, eventualmente da tradurre in incisione, in quanto alcuni fogli sono stati rifiniti in ogni minimo dettaglio, ma senza eccessiva meticolosità, perché i pentimenti a vista, numerosi, conservano tutta la spontaneità di una ricerca grafica in corso d’elaborazione. Tuttavia, nessun foglio presenta segni di incisione per un trasferimento su rame, né alcun dettaglio permette di supporre che essi siano stati rilegati in un album.
Malgrado tutte le strade apertesi durante la presente ricerca, in rispetto del metodo, ho redatto dunque didascalie che alludano chiaramente all’identità culturale italiana del maestro e al suo ambito cronologico – presumibilmente la metà del secolo XVII -, inserendo il nome di Tornioli tra parentesi seguito da un punto interrogativo. In qualsiasi caso, resto dell’idea che lo stile dell’artista e la sua forte personalità, che si esprime nel descrivere con naturalismo ed energia scene sia religiose che profane come anche complesse allegorie, siano difficilmente compatibili con il minore rigore della gestione della forma che si riscontra nella scuola spagnola del Seicento e che essi mal possano accordarsi con il lirismo mistico tipico della stessa.
Catherine LOISEL Paris 30 Aprile 2023
NOTE