di Monica LA TORRE
Prima tappa di un viaggio nella storia delle marine preunitarie, dalla borbonica alla sarda, sino alla pontificia. A raccontarne epopee e declino, Marco Gemignani, docente di Storia navale dell’Accademia navale di Livorno
Una premessa
Negli approdi italiani, invasi ogni estate dai diportisti, ci si imbatte in naviganti di ogni ordine e grado, intenti a salire e scendere da barche affittate, prestate, di proprietà. A vela, a remi, a motore. Di legno, di gomma, di resina. Grandi e piccole, belle e brutte, eleganti e trash.
All’apparenza, sembrerebbe che il mare eserciti ancora, sull’italiano medio, un’attrazione irresistibile: ma nel deserto dei mesi invernali, ci si rende conto di quanto, a ben guardare, il “diportismo” stagionale spesso sia solo un’ estensione revanchista del “balneare”. E che del mare si è persa molta cultura.
Eppure, in un tempo non troppo lontano, siamo stati marinai. Le nostre coste, disseminate di arsenali. I mari, teatro di battaglie. Ciononostante, con il venir meno delle marine dei regni preunitari, un mondo è scomparso. Il loro accorpamento nella Regia Marina Italiana ha ridimensionato e rivoluzionato competenze, flotte, autorità. Seppellendo definitivamente leggi e regole del mare rimaste sostanzialmente invariate per secoli.
«Popolo di navigatori»
Se, fino al Ventennio, che noi si fosse un «popolo di poeti di artisti di eroi/ di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori», era ancora ben noto a tutti, oggi in molti sembrano esserselo scordato.
Dal dopoguerra in poi, la diffusione comunque importante del diporto come pratica sportiva nei ceti medi ed alti non ha comunque impedito al grosso della nazione di allontanarsi dal mare. Una sorta di oblio ha offuscato la memoria collettiva di storie e protagonisti di stagioni e campagne gloriose. Una rimozione identitaria, che ha visto gli eredi del personale d’un tempo, dai maestri d’ascia ai remieri, dagli armatori agli ormeggiatori, passare prima o poi ad altro mestiere.
Pochi studi sulla storia della Marina
La scarsità degli studi sulla storia della Marina italiana preunitaria, se da un lato non ha agevolato il rafforzamento della cultura marinara nelle regioni maggiormente vocate, dall’altro tantomeno ne ha favorito la diffusione in quelle tradizionalmente più “lontane”. Aldilà delle accademie militari più prestigiose, la ricerca stenta a farsi strada: negli Atenei, nei dipartimenti, nelle scuole, il mare è restato indietro. Anche nel nostro sistema educativo.
La Marina Pontificia
Pensiamo alla Marina Pontificia. Una delle pagine meno raccontate della storia italiana. Navi battenti bandiera papale, che per 1200 anni hanno solcato il Mediterraneo, prima per difendere le coste italiane dalla minaccia ottomana, poi per controllare merci e dogane. Di essa, rimane una scialuppa di salvataggio, nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano; la bandiera della stessa nave, la pirocorvetta Immacolata Concezione ed il suo modellino, conservati al Museo Storico Vaticano del Palazzo Lateranense. Ben poco, a ben vedere.
L’intervista: Marco Gemignani
Per approfondire l’argomento, abbiamo ottenuto la disponibilità di Marco Gemignani. Gemignani, che dal1996 ricopre l’incarico di docente di Storia Navale presso l’Accademia Navale di Livorno, uno degli ultimi avamposti della cultura e della ricerca sul campo. Gemignani, autore di circa centocinquanta pubblicazioni in Italia e all’estero, ha presentato proprie relazioni in oltre un centinaio di convegni. La Marina Militare gli ha assegnato la carica di consigliere per la pubblicistica navale dello Stato Maggiore, di consulente del Museo Tecnico-Navale della Spezia e del Museo Storico-Navale di Venezia e infine di membro del Comitato Consultivo dell’Ufficio Storico della Marina Militare.
Viaggio attraverso le marine preunitarie
Il Professore, prima di introdurre il tema specifico sulle flotte del Papa, ci ha accompagnato in un puntuale excursus sulla situazione dei mari italiani, alla vigilia dell’Unità d’Italia. «La Marina Pontificia era una delle cinque Marine preunitarie, presenti nella penisola italiana alla costituzione dello Stato unitario – esordisce Gemignani; tutte confluite, successivamente, nella Regia Marina italiana. Le due più importanti, quella sabauda e quella borbonica, si dividevano di fatto il Paese. La Marina del Regno di Sardegna all’epoca aveva due basi navali: Villafranca sul Mare, la sua più antica, e Genova, il cui territorio era stato acquisito dall’ex Repubblica all’indomani del Congresso di Vienna. Quando, all’epoca della nostra Seconda Guerra d’Indipendenza, con gli Accordi di Plombières del luglio 1859 la Francia entrò in guerra al fianco del Regno, la Contea di Nizza e la Savoia passarono Oltralpe. Il Regno perse così l’arsenale di Villafranca, rimanendo solo con Genova».
Genova e La Spezia nei piani di Cavour
«La città, nell’ottica del Conte di Cavour, era destinata a diventare il porto mercantile più importante del nuovo Regno d’Italia: si decise pertanto di lasciarvi la sede delle attività commerciali – specifica il Professore -. Contestualmente si avviarono i lavori per spostare le attività militari altrove: alla Spezia. Nel suo nuovo arsenale, inaugurato nel 1869, vennero trasferite di fatto tutte le navi da guerra che fino ad allora avevano base a Genova. La Marina di Sardegna era senza dubbio ben organizzata: e quella che tra l’altro si era impegnata di più tanto nella Prima quanto nella Seconda Guerra d’Indipendenza, per tutto il periodo risorgimentale, ed in supporto alla Spedizione dei Mille». In sostanza, fu anche la Marina che assorbì le altre, e dalle quali nacque la Regia Marina italiana».
La Marina Borbonica
«L’altra grande marina italiana preunitaria, quella che per inciso che aveva il più alto livello tecnologico era quella del Regno delle Due Sicilie: le prime navi a vapore che avevano solcato i mari della penisola italiana prestavano servizio proprio per la Marina Borbonica – specifica Gemignani -. La sua base principale era Napoli, la sua sede era sotto il palazzo Reale, dalla parte opposta rispetto a piazza del Plebiscito. (Una curiosità: piazza del Plebiscito è il più grande ex voto esistente al mondo: fu fatto da Ferdinando IV di Borbone quando rientrò a Napoli dalla Sicilia dopo che erano stati cacciati i francesi…)».
L’Arsenale di Castellamare di Stabia
«L’Arsenale dove costruiva le sue navi era Castellammare di Stabia, che rimase in funzione anche dopo l’Unità, e continuò a costruire navi per la Regia Marina italiana. Su tutte le navi scuola a vela Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci, varate ed entrate in servizio rispettivamente nel 1928 e nel 1931».
Le marine minori: la Toscana
«C’erano poi le tre marine minori: la Toscana, la Garibaldina e la Pontificia. La Granducale era praticamente l’ombra della vecchia marina dell’epoca dei Medici, sostituiti sul trono di Firenze nel 1737 dai Lorena. Costoro, al loro arrivo, scelsero di depotenziare la flotta, sino ad allora usata prevalentemente per proteggere i traffici mercantili e le coste dalle incursioni dei turchi e dei corsari barbareschi, decidendo di regolare la cosa stringendo accordi sia con gli Stati barbareschi che con l’Impero ottomano. Anche per questo motivo, la Granducale del 1858/59 era davvero poca cosa».
La Marina dei Mille
«Troviamo anche una marina durata pochi mesi, la marina dei garibaldini al tempo della Spedizione dei Mille: era formata da poche navi, all’inizio noleggiate, e si era arricchita in seguito sia con le navi catturate alla marina borbonica che con quelle appartenenti a quest’ultima che avevano disertato: non dimentichiamo infatti che alcuni ufficiali avevano deciso di passare dalla parte delle forze unitarie, per motivi d’ideale. La Marina dei Mille, con base navale a Palermo, durò pochissimo: giusto il tempo della spedizione garibaldina. Dopodiché confluì anch’essa nella Regia Marina Italiana».
La nascita della Regia Marina italiana
Prima di trattare la Marina Pontificia, la meno conosciuta delle flotte sin qui analizzate, è opportuno aprire una parentesi sulla nascita della Regia Marina Italiana. A quando dobbiamo far risalire la sua nascita? «La prima data da prendere in considerazione – specifica il Professore – è il 17 novembre 1860, e coincide con la data di un decreto luogotenenziale che riorganizza la Forza Armata che ormai deve operare lungo le coste di gran parte della Penisola italiana in tre aree. Vittorio Emanuele II in quel periodo era spesso lontano da Torino e, per gestire l’amministrazione del Regno, aveva affidato la cosa pubblica al fratello Eugenio come suo luogotenente».
Tre dipartimenti marittimi
«Fu lui, in questa sede, a disporre l’accorpamento di alcune di queste Marine preunitarie, e la riorganizzazione a livello territoriale in tre dipartimenti militari marittimi. Il primo, con competenza sull’Alto Tirreno, ebbe sede inizialmente a Genova e in seguito alla Spezia; il secondo, preposto al controllo del Basso Tirreno aveva il Comando a Napoli, ed il terzo, per il Mar Adriatico, era ubicato ad Ancona. La seconda data da prendere in considerazione è il 17 marzo 1861, anno in cui nasce il Regno d’Italia: e questo perché ovviamente la nascita delle forze armate di uno Stato coincide con quella dello Stato stesso».
Fine prima parte – SEGUE