di Ester Francesca ALOISE
Pubblichiamo la prima parte di una importante ricerca che la dott.ssa Ester Francesca Aloise ha condotto in vari archivi e bilbioteche sulle raffigurazioni inerenti la vita e i miracoli di san Francesco di Paola, e che le ha consentito di aggiornare ed ampliare il catalogo di Juan de Espinal, un artista spagnolo poco noto in Italia ma molto attivo nel suo paese, autore di opere a soggetto religioso tra cui quelle raffiguranti il santo calabrese.
Juan de Espinal (Sevilla 1714 – 8 dicembre 1783)
Pubblicate per la prima volta da Pietro Amato (2005), le tele che prendiamo in esame fanno parte di un ciclo pittorico comprendente 12 scene raffiguranti la Vita e i miracoli di San Francesco di Paola, preparato per la Chiesa del Convento della Vittoria a Triana in Siviglia.
Se lo storico afferma di una mancata attività di Espinal in Santa Maria della Vittoria, uno studio di José Fernandez Lopez, risalente al 1998, affermerebbe che in tale chiesa sono presenti alcune sue opere tra cui quella intitolata la “Visita di San Francesco di Paola a Papa Sisto IV”. Posizionato su una parete tra la Cappella delle Anime del Purgatorio e quella del Fonte Battesimale, il dipinto insolito, afferma Lopez, poiché raramente raffigurato nell’iconografia Minima, verosimilmente dovette far parte di una serie storica agiografica dedita al Fondatore dei Minimi. Probabilmente l’opera citata potrebbe aggiungersi al ciclo pittorico custodito nella Pinacoteca del Santuario di cui lo stesso storico dichiara di non essere a conoscenza (Lopez 1998, pp.585-590). L’attribuzione a Juan de Espinal è stata avanzata dallo stesso autore ponendo il confronto con il famoso ciclo di quadri relativi agli Episodi della vita di san Girolamo, dipinti prima del 1775 e realizzati per il Monastero di san Geronimo de Buena Vista in Siviglia (Amato 2005, pp.100-104).
Juan de Espinal, tra i migliori rappresentanti della pittura sivigliana della seconda metà del XVIII secolo, fu artista piuttosto sconosciuto in Italia ma tra i più acclamati del panorama spagnolo di stile rococò, dopo Murillo. Il trattatista Cean Bermudez (1800), primo biografo e discepolo di Espinal nell’Accademia sivigliana, affermava che l’artista “… pintò con valentìa de pincel y con un estilo original, que no pudo haber tomado de ninguno de los que le preceden en este siglo en Andalucìa” (Bermudez 1800, p.33).
Nato nel 1714 in Siviglia, inizia il suo apprendistato con il padre Gregorio Espinal, poi col maestro Domingo Martinez. Promotore della realizzazione dell’Accademia di Bellas Artes della città di Siviglia, fu direttore della sezione pittura nel 1775. Espinal è creatore particolarmente fecondo e inventivo che supera l’antica tradizione sevillana basata sullo stile raffinato, elegante e delicato del Murillo, massimo artista del barocco religioso. Il pittore sivigliano assimila lo stile rococò vigente in Spagna durante la metà del XVIII secolo, possiede un senso di grande facilità di disegno, una pennellata sempre raffinata ed armoniosa. I suoi personaggi sono vitali ed espressivi, mantiene sempre i canoni classici dell’iconografia tradizionale sevillana sviluppandone tuttavia una propria personalità ed originalità.
Diverse sono le opere da lui dipinte soprattutto in ambito religioso, nelle quali dimostra sempre il suo talento e le sue qualità artistiche. Tuttavia tra gli anni 1770 e 1776, momento culminante della sua produzione, realizzerà la più importante opera pittorica della sua vita. Si tratta del famoso ciclo di quadri relativi agli Episodi della Vita di San Geronimo dipinti nel chiostro del monastero di San Gerònimo de Buena Vista. Nel 1777 si recherà a Madrid, città dominata all’epoca dalla figura di Anton Rafael Mengs e dal giovanissimo Francisco Goya, per decorare gli ambienti del Palazzo Arcivescovile di Sevilla commissionato dall’arcivescovo don Francisco Javier Delgado Y Venegas, “… ove vedendo in palazzo le opere dei grandi maestri ne rimase così stupefatto e svergognato, che tornato in patria non volle più toccare né la matita, né il pennello e morì poco dopo di tristezza nel 1783.” (Ticozzi 1818, p.175).
Il dipinto preso in esame mostra l’episodio descritto nella Vita del Perrimezzi, avvenuto in Napoli, tra il Santo Taumaturgo e il superbo Ferrante d’Aragona. Scrutando il dipinto si ha la sensazione di rileggere ogni singolo verso:
“Si accrebbe la maraviglia nel Re, ma non perciò si quietò il suo animo. Se spalancar le sue carceri, e raddoppiando le sue finezze a Francesco per far nuova pruova del suo staccamento, di un bacino pieno di monete di oro, e di argento di fe far dono. E per meglio covrire i suoi disegni gli fe dire; che di quel danajo potrebbe egli servirsene per fabbricare in Napoli un Monistero alla sua Religione. Il Re stesso fu presente, quando il paggio gli offerì quel regalo per osservare di persona tutti i moti che avrebbe fatti Francesco nel volto, e per argomentarne gli affetti, che ne avrebbe sentiti nel cuore. Allora Francesco, conosciuta già la mira de’ suoi disegni e veduto a proposito il tempo di manifestargl’ i sentimenti, che gli aveva fino allora celati, fatto fermare ivi il Paggio con le monete, con animo forte, e superiore agli allettamenti de’ suoi doni ed agli spaventi di sue minacce, così prese a parlargli :
–Sire voi forse pretendete manifestarmi la vostra affezione colla liberalità de’vostri doni, io all’incontro penso accertarvi del zelo, che ò del vostro real servigio, del rispetto che professo alla vostra reggia corona, e della passione, che sento per la vostra serenissima persona, colla sincerità di questi miei, quanto umili altrettanto affettuosi e rispettevoli sentimenti. L’ esservi nato Vassallo, mi obbliga a disiderare tutti i vostri vantaggi; il vedermi tanto da voi onorato, mi forza a temere tutti i vostri pericoli. La verità di cui è sempre carestia nelle Reggie non può giungnervi all’orecchio, che per bocca di uno, che in voi non ama se stesso, ma che ama assolutamente voi; ed in voi a tutto ancor preferisce la miglior parte di voi che è l’anima vostra i cui interessi al pari sono importanti, come si veggion negletti. Sire, il vostro governo non è grato a Dio, non è accetto gli uomini. Da per tutto se ne parla con termini assai pregiudiziali al vostro decoro ma con sentimenti molto più pesanti per la vostra coscienza. L’adulazione di chi vi corteggia, non vi fa sentire queste voci, ma voi non potete negare, che la vostra finderesi tutto giorno vi dice ciò che ogni altro tace. E perché dunque non pensare alla ammenda? Iddio coll’assedio e colla presa di Otranto pensò minacciarvi ma non punirvi. Voi non siete punto divenuto migliore. Continuano pur’anche l’estorsioni, le rapine, l’ingiustizie nel Regno. Piangono ancora i Pupilli, si lamentano i poveri, sclaman le Chiese. E voi ancora dormite? Svegliatevi, sire, svegliatevi Iddio vi ha posta la corona alle tempie e lo scettro alle mani non per darvi comodità di mal fare, ma per far argine alle colpe e per dar fomento alle virtù. Se voi ciò non farete, io so dirvi da parte di Dio che voi non tra molto perderete la vita, che la vostra discendenza perderà la sua pace, e che in breve tutta la vostra Casa perderà la corona, e lo scettro-.
A queste parole, nelle quali se proromper Francesco non meno l’intrepidezza del suo spirito, che la libertà del suo zelo si videro diversi effetti in coloro che le ascoltarono. I Corteggiani le udirono con dispetto, argomentando alla misura delle lor passioni l’animo del Re, credeano già, che questi punir volesse l’ardimento di Francesco con esemplarità di gastigo. Ma il Re, tutto all’opposto, nulla si commosse alla libertà di quel parlare, tutto si compunse alla dolcezza di quel correggere. Apportò non però alcune scuse, per sincerare le sue operazioni; onde si giustificasse appresso Francesco, non tener ‘egli mano alle prede che si facevano nel suo reame, ne comandarle, né con approvarle, anzi né pure con tollerarle. Il che obbligò Francesco a comprovare quanto egli dicea con un miracolo che fini di abbattere l’animo del Re, e bastò per far variare in un momento i sentimenti della Corte, ed i discorsi de’ Corteggiani.
Prese da quel bacino di monete, che ancora ivi teneva in mano il Paggio, uno scudo di oro, e spezzatolo colle sue mani, fe uscirne molte gocce di sangue. Indi volto al Re così gli disse: Ecco, ecco o Re il sangue de’ tuoi poveri Vassalli che grida al Cielo. Qui sì, che non pote più reggersi Ferdinando. Cadde a piedi di Francesco confessò più colle lagrime che colle parole i suoi misfatti, il pregò a volergliene colle sue preghiere implorar da Dio mercé promettendogli ravvedimento ed emenda. I Corteggiani restarono attoniti, e col rimirarsi l’un l’altro, ciascun leggea nel volto del Compagno il pallore, onde aveva tinte le gote, indizio del timore, della confusione, e dello stupore, che lor teneano assediato, e oppresso il cuore.” (Perrimezzi 1713, pp. 401-403; cfr.Toscano 1698, pp. 119-120).
L’accadimento religioso si inserisce in una scena all’aperto, all’entrata della reggia, circondata da meravigliosi palazzi. Nella resa dello spazio architettonico vi sono evidenti richiami ad elementi architettonici della Siviglia barocca. La pennellata sciolta e suggestiva, la composizione leggiadra delle figure e i lineamenti eleganti ed espressivi dei volti è un chiaro rimando alla pittura barocca del più celebre artista spagnolo, Bartolomé Esteban Murillo. Il pittore si sofferma sui ricchi tessuti dei personaggi ponendo a sinistra il Re con indosso la corona e l’ermellino, a seguire il dignitario di corte e all’estremità del dipinto, posizionato di profilo, un capo militare.
Al centro del dipinto, una luce delicata fa risaltare le delicate fattezze del paggio abbigliato con lussuose vesti mentre sorregge tra le mani un vassoio colmo di monete; a destra, così come la tradizione rammenta, il Santo, accompagnato da un frate, nell’atto di spezzare la moneta dalla quale sgorgherà sangue. L’andamento della composizione e la disposizione in piano delle figure, sanciscono il prevalere della narrazione storica e rimandano a soluzioni già adottate dall’artista che con particolare maestria riesce ad imprimere alla scena un’immediatezza quasi fotografica.
Bibliografia (Il sangue della moneta spezzata):
Toscano 1696, pp.247-249; Perrimezzi, 1713, pp. 401-403; Cean Bermudez 1800, p.33; Ticozzi 1818, p.175; J.F. Lopez 1998, pp.585-590; Amato 2005, pp.100-104, in part. p.120
“E questo Capuccio per l’appunto fu quello, che da Dio gli fu mandato dal Cielo per opera di Angeliche mani; allorcchè egli ritiratosi nel suo Deserto, come da quando in quando avea in costume di fare, raddoppiò più fervorose le sue preghiere per ottenerne la grazia.Ricevutosi da lui quel Capuccio, anzi postogli dagli Agnoli stessi, che gliel portarono, così uscì dal Diserto, e comparve nel Monistero. […] L’originale di tale Capuccio presentemente si venera dentro il Reliquiario di Paola, così intiero, così odoroso, così nuovo, come se or ora si fosse fatto; e le copie ne sono tutti i Capucci, che oggi giorno si portano da suoi figlioli i quali venerar ne debbono l’invenzione come venuta dal Cielo, adorarne il disegno come fatto da Dio, e stimarne il modello come ricevuto con un prodigio. […] Era Francesco nel suo ritiro in altissima contemplazione elevato, quando l’Arcagnolo San Michele gli apparve, con uno scudo nelle mani, che sembrava un lucidissimo sole ed in esso era scritta questa sola parola: CHARITAS. Indi a Francesco disse, accompagnato de’ concenti di una moltitudine di Agnoli, che gli faceano compagnia; Francesco questa sarà del tuo Ordine la bella impresa: Francisce haec insignia tui Ordinis (Perrimezzi 1713, pp.92-93).
Un profondo mistero permea il dipinto raffigurante l’Arcangelo San Michele, Protettore principale dell’Ordine che consegna, al Santo Paolano, il saio e l’insegna del Charitas.
Si tratta di una scena bucolica. Prima e unica così come raffigurata, assente negli affreschi delle lunette del chiostro del Protoconvento, ha origine in due episodi distinti nel tempo e nella tradizione orale sei-settecentesca trasmessa da alcuni biografi.
Se la consegna del Charitas trova la sua collocazione storica nel solenne rito della canonizzazione (Sposato 1956, pp.1-61; cfr Morosini 2017, pp.13-26), ed è più volte raffigurata singolarmente (Amato 2005, p.30), quella del saio non sembra essere altrettanto presente nell’iconografia dell’Ordine.
In verità prima del nostro Espinal, il milanese Giovanni Battista Bonacina raffigura i due episodi in un’incisione del 1658 (fig.1) che secondo Amato la si può considerare, a ragion veduta, come “una delle più potenti sintesi figurative della spiritualità dell’Ordine” (Amato 2007, scheda I. 32. p.269-270).
Al centro dell’opera, ambientata nell’eremo di Paola, spicca l’imponente figura di San Francesco in estasi. Posto di fronte allo spettatore, il Santo è raffigurato mentre allarga le braccia per accogliere il Charitas portato dall’Angelo che appare dal cielo a destra dell’opera. In basso e a destra, la raffigurazione in piccole dimensioni delle due figure dell’Angelo mentre veste l’Eremita fuori la grotta.
Particolare dunque è la scena prodigiosa che il pittore sivigliano dipinge in un tranquillo e sognante paesaggio idilliaco delimitato da rocce e siepi verdeggianti. Con le sembianze di un giovane imberbe, al centro dell’opera, si eleva in ginocchio, completamente avvolto in una mandorla di luce, Francesco, vestito di saio, a piedi nudi, “…nel suo ritiro in altissima contemplazione elevato…”, in atto di parlare con Dio (Perrimezzi 1713, p.93).
Lo stile personale di Espinal è inconfondibile: la composizione appare equilibrata, dal disegno non proprio corretto (Amato 2005, p.110) ma in definitiva l’accordo armonioso dei colori e le chiare tonalità sfumate rendono l’opera alquanto semplice e significativa.
BIBLIOGRAFIA (San Michele consegna il saio)
Amato P., Imago Ordinis Minimorum. La magia delle incisioni. Antiche stampe su rame e su legno dei Conventi dei Padri Minimi 1525-1870, catalogo, Paola (CS), Santuario di San Francesco di Paola, Sala delle Esposizioni, 10 giugno-27 settembre 2007, collana V Centenario della morte di San Francesco di Paola, Cataloghi 2, Tipolitografia Trullo, I-III, Roma 2007. Amato P., La Pinacoteca del Santuario di San Francesco di Paola. Dipinti dal XV al XIX secolo, Tipolitografia Trullo, 2005. Fiot R., Jean Bourdichon et Saint François de Paule, in “Mémoire de la Société Archéologique de Touraine”, LV, 1961. Galuzzi A., La canonizzazione dell’Eremita di Paola. L’approvazione del culto e la canonizzazione con documentazione inedita, in Studio sulle Origini dell’Ordine dei Minimi, a cura di M. Sensi, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma 2009, pp.137-174. Iris, Le pitture del Santuario-Basilica di Paola, in La Voce del Santuario di Paola, V, 1932, 12, pp.369-372. Leone G., In margine all’iconografia di san Francesco di Paola: il cosiddetto “vero ritratto” di Montalto Uffugo. Appunti e nuove riflessioni, in Prima e dopo San Francesco di Paola. Continuità e discontinuità, a cura di Benedetto Clausi, Pierantonio Piatti, Antonio Battista Sangineto, Abramo Editore, 2012, pp.351- 406. Morosini G.F., La caritas sacrificalis. Il rapporto tra penitenza e carità in San Francesco di Paola, Rubbettino 2017. Morosini G.F., Scritti su San Francesco di Paola, 2007, pp. 349-387. Perrimezzi G.M., De la Vita di S. Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi, Napoli, 1713. Roberti G.M., Il Santuario-Basilica di San Francesco di Paola. Monografia storica, Tipografia San Francesco di Paola, Paola 1929. Roberti G.M., S. Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi (1416-1507). Storia della sua vita, Roma 1963. Russo F., Il Santuario-Basilica di Paola. Monografia storica e guida illustrata, Edizioni Santuario Basilica San Francesco di Paola, Cava dei Tirreni 1966 Sposato P., Fonti per la storia di San Francesco di Paola. I. La sua Canonizzazione attraverso il Diarium di Paride De Grassi prefetto delle cerimonie pontificie sotto Leone X, Calabria Nobilissima, 10 (1956)1956, pp.33-61.