KLIMT. La Secessione e l’Italia. La grande mostra a Palazzo Braschi

di Nica FIORI

Gustav Klimt (1862-1918), il più noto pittore della Vienna a cavallo tra Ottocento e Novecento, viene descritto dai suoi biografi come un uomo taciturno, che non amava parlare di sé, né tanto meno autoraffigurarsi, come risulta da questa sua affermazione:

Di me non esiste alcun autoritratto. Io non mi interesso della mia persona come oggetto di un quadro, mi interessano di più altre persone, soprattutto le donne, ma ancor di più mi interessano altre apparizioniio sono convinto di non essere particolarmente interessante come persona.
1 Gustav Klimt in tenuta da lavoro

Noi, al contrario di quanto riteneva Klimt, lo troviamo interessante anche come persona, oltre che come artista, e ci incantiamo davanti a una sua foto, che lo ritrae in tenuta da lavoro (un lungo camicione) con un gattino tra le braccia, nella grande mostra che si tiene a Roma a Palazzo Braschi, intitolata “Klimt. La secessione e l’Italia” (fino al 27 marzo).

Proprio partendo da quel ritratto fotografico e da foto e filmati relativi alla Vienna della sua epoca, siamo introdotti alla conoscenza di Klimt in un’esposizione che ne ripercorre la vita e la produzione artistica, sottolineandone il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e il rapporto con l’Italia, meta dei suoi viaggi e luogo di alcuni suoi successi espositivi.

Sono oltre 200 le opere esposte, di cui 49, tra dipinti e disegni, di mano di Klimt. Tra i disegni la maggioranza è data da quelli erotici, che vengono considerati da alcuni critici come la parte migliore della sua produzione, anche se era la meno conosciuta quando lui era in vita, perché si trattava per lo più di schizzi e studi per altre opere. Vere star dell’esposizione sono alcune iconiche figure femminili, tra cui la famosissima Giuditta I (1901), Amiche I (Le Sorelle) (1907), Amalie Zuckerkandl (1917-18), Johanna Staude (1917-18), provenienti da Vienna, e una delle tre opere presenti in Italia, il Ritratto di Signora (1916-17), che è stato trafugato dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato nel 2019.

2. Gustav Klimt, Amalie Zuckerkandl, 1917-18, Belvedere Vienna
3 Gustav Klimt, Johanna Staude, 1917-18, Belvedere, Vienna

Nata dalla collaborazione fra il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation, la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma Capitale e co-prodotta da Arthemisia, questa mostra presenta Klimt e gli artisti della sua cerchia in una prospettiva inedita: quella del rapporto con l’Italia. Un tema che i tre curatori Franz Smola (curatore del Belvedere Museum), Maria Vittoria Marini Clarelli (sovrintendente capitolina ai beni culturali) e Sandra Tretter (vicedirettrice della Klimt Foundation di Vienna) hanno avuto modo di approfondire, grazie a questa occasione, con un’operazione congiunta di confronto e studio dei documenti italiani e austriaci. Allo stesso tempo la mostra fa parte di un progetto klimtiano che riguarda anche la Galleria d’Arte moderna Ricci Oddi di Piacenza, che inaugurerà il prossimo maggio una mostra dedicata all’aspetto più intimo dell’artista.

Come scrivono i curatori:

A cavallo tra Otto e Novecento, per gli artisti austriaci l’arte italiana era al tempo stesso un aspetto imprescindibile della formazione e un fardello che rallentava il cammino verso la modernità”.

Quando, nel 1879, i due fratelli Gustav ed Ernst Klimt fondarono con il loro compagno di studi Franz von Matsch la Künstler-Compagnie (Compagnia di artisti), specializzata in dipinti su pareti e sipari teatrali, l’architettura viennese era ancora ispirata al Rinascimento italiano, e anche loro si adeguarono a quello stile. La Compagnia ebbe successo, tanto da avere tra le sue commissioni anche la decorazione ad affresco della tromba delle scale nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. In seguito alla morte improvvisa di Ernst Klimt nel 1892, il gruppo si sciolse. Di questo primo periodo sono in mostra, tra le altre cose, un olio di von Matsch raffigurante il Teatro di Dioniso ad Atene (1886, Belvedere Vienna) e un’acquaforte del dipinto centrale del soffitto dello scalone nord del Burgtheater a Vienna realizzato da Gustav Klimt, raffigurante il Teatro di Taormina. È pure presente il Ritratto di Marie Kerner von Marilaun in abito da sposa (1891-92, Belvedere Vienna), dello stesso Gustav.

4 Allestimento sala prime opere della Compagnia degli artisti
5 Franz von Matsch, Il teatro di Dioniso ad Atene, 1886 Belvedere
6 Gustav Klimt, Marie Kerner von Marilaun in abito da sposa, 1891-92 Belvedere

La Secessione, fondata nel 1897 da 13 artisti austriaci, segnò l’abbandono dei precedenti modelli con il motto “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. La nascita del movimento di protesta viennese è documentato in mostra da alcuni manifesti e dallo schizzo di Klimt del Palazzo della Secessione (1897), progettato da Josef Maria Olbrich e ritenuto un capolavoro dello Jugendstil viennese.

7 Manifesto per la II mostra della Secessione

Nella Secessione si instaura un particolare legame tra le belle arti, l’architettura e il design: ne fanno parte architetti e designer innovativi come Otto Wagner, Josef Hoffmann, Koloman Moser e altri. Anche l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe si recò a visitare la prima mostra della Secessione, che ebbe circa 57000 visitatori.

Ben 23 mostre furono allestite nei primi otto anni dalla fondazione e dal 1898 al 1903 viene pure redatta la rivista d’arte Ver Sacrum (primavera sacra, il nome di un arcaico rito romano di consacrazione, che consisteva nell’allontanamento di giovani maschi per fondare nuove colonie), per la quale Klimt, Moser, Josef Maria Auchentaller realizzano numerosi disegni. Hoffmann e Moser realizzano anche numerosi oggetti in vetro, ceramica e altri materiali, che vediamo in mostra in una sezione dedicata al design.

8 Josef M. Auchentaller, Poster grande parata e festa di primavera, 1899, litografia a colori, coll. privata
9 Vetrina con design della Secessione

Una sezione è dedicata ai primi viaggi di Klimt in Italia, finalizzati alla conoscenza di alcune città d’arte. Klimt si recò in Italia nel 1899 e nel 1903, come è documentato in mostra da numerose cartoline autografe. In questi viaggi, che toccarono Trieste, Venezia, Ravenna, Firenze e Pisa, si lasciò ammaliare soprattutto dall’arte dei mosaici paleocristiani e medievali di Ravenna, dai vetri murrini e dagli smalti bizantini, che tanto avrebbero contribuito alla sua ricerca creativa.

Diversamente da altri artisti del suo gruppo, tra cui l’amico Carl Moll, Klimt non dipinse mai vedute di Venezia, preferendo immagini meno scontate dell’Italia, come le rive del lago di Garda, che attrassero anche Koloman Moser. I paesaggi, anche se non sono famosi come i ritratti, costituiscono un genere pittorico che Klimt esercitò sempre e per questo la mostra ha previsto anche una parte dedicata alla pittura paesaggistica.

10 Allestimento sala con paesaggi

Clou dell’esposizione è la Giuditta del 1901 (diversa dalla Giuditta del 1909 conservata a Venezia). Questo dipinto, proveniente dal Belvedere di Vienna, è il più noto tra i quadri in mostra, una vera icona di femme fatale, sensuale e perversa, che mostra la sua nudità illuminata da oro e pietre preziose. In questo dipinto, quello che è il più tipico attributo dell’eroina, ovvero la testa mozzata di Oloferne, sembra quasi scivolare fuori dal margine del quadro, tanto che spesso sfugge allo sguardo dell’osservatore, di norma concentrato sul volto della donna.

Questa Giuditta è una bella jourdame ebrea … che non perde l’occasione per sedurre lo sguardo degli uomini. Una donna sottile e flessuosa con occhi scuri dallo sguardo di fuoco, con una bocca crudele… In questa donna affascinante, sembrano sopite enigmatiche forze, energie, impulsi che non potrebbero essere placati, una volta che ciò che è costretto a rimanere borghesemente assopito, dovesse davvero prendere fuoco… Meravigliosamente dipinto è il corpo di questa Giuditta, questo corpo mascolino, quasi scarno, che sembra distendersi e allungarsi.”

Così l’ha descritta Felix Salten (in Gustav Klimt, Gelegentliche Anmerkungen, Vienna 1903), mentre Federico Zeri ha affermato che

I suoi lineamenti sono trasfigurati al fine di raggiungere il massimo grado di intensità, che Klimt ottiene respingendo la donna in una dimensione irraggiungibile”.
11 Gustav Klimt, Giuditta I, 1901, Belvedere Vienna
12 Giovanni Prini, Gli amanti, 1909, GAM Roma

Pensiamo in particolare al paesaggio stilizzato di alberi di fico e viti, tratto da un fregio assiro e ridipinto su una sottilissima foglia d’oro, “un materiale scintillante che conferisce al dipinto un’aura magica e misteriosa”, come scrive Franz Smola nel catalogo della mostra (Skira Editore).

Lo stesso oro viene ripreso nell’allestimento della mostra per fare da sfondo ad alcune opere, come Gli Amanti di Giovanni Prini, una grande scultura in marmo del 1909 (dalla GAM di Roma), raffigurante un uomo e una donna abbracciati e col volto unito in un bacio, che richiama Il bacio di Klimt, ovviamente assente dalla mostra romana, perché inamovibile dalla sua sede viennese. Nella stessa sala ci colpiscono altre sculture, come la Giuditta con la testa di Oloferne di Hermann Hahn (1898, Belvedere) e la Medea di Hugo Künhelt (1908, Belvedere), come pure il dipinto Alla fonte della vita di Karl Borschke (1930, Belvedere), che sottolineano come il ruolo della donna, con il suo erotismo e l’autodeterminazione, sia molto dibattuto nella Vienna degli inizi del XX secolo, che proprio in quegli anni vede la nascita della psicoanalisi di Sigmund Freud.

13 Hermann Hahn , Giuditta, 1898, Belvedere
14 Hugo Kunhelt, Medea, 1908, Belvedere

Un’altra sala è dedicata ai ritratti femminili, tra cui alcuni sono di Klimt, come gli oli La ragazza nel verde (1896 ca., Klimt Foundation), Amalie Zuckerkandl (1917-18, Belvedere), rimasto incompiuto, il Ritratto di Signora (1894, coll. privata), Ritratto di signora con fondo rosso (1897-98 Klimt Foundation), e il disegno raffigurante Anna Klimt, la madre dell’artista (1904 ca. Klimt Foundation).

15 Gustav Klimt, Ritratto di signora, 1894, collezione privata
16 Gustav Klimt, Ritratto di signora con fondo rosso, 1897-98, Klimt Foundation

Sono ritratti tutti diversi, che denotano un continuo cambiamento: si va dal realismo quasi fotografico all’impressionismo. Al di là della particolare abilità di Klimt, che veniva pagato tantissimo dall’aristocrazia e dalla ricca borghesia viennese, i ritratti femminili erano molto popolari all’epoca e molti esponenti della Secessione, tra cui Otto Friedrich e Josef Maria Auchentaller, eccellevano in questo campo.

Decisamente spettacolare è la sala dedicata al Fregio di Beethoven, in una ricostruzione del 2019. Il fregio era stato eseguito per la XIV mostra della Secessione viennese nel 1902, che aveva come principale attrazione una scultura di Beethoven, realizzata in marmo colorato da Max Klinger e che a palazzo Braschi è esposta in una versione in bronzo. Parteciparono alla mostra venti artisti, tra cui Elena Luksch-Makowsky come unica artista donna della Secessione. Il fregio murale di Klimt era lungo più di 34 metri e si estendeva per un’altezza di circa due metri su tre pareti di una stanza laterale. In quest’opera ispirata alla nona sinfonia di Beethoven, Klimt raggiunse per la prima volta un monumentale isolamento delle figure, tra cui i tre nudi femminili con le braccia protese in avanti, che vogliono esprimere l’anelito alla felicità.

17 Fregio di Beethoven, particolare con il Cavaliere

Una coppia inginocchiata simboleggia le sofferenze del genere umano e si rivolge a un cavaliere, in armatura tardomedievale, che è mosso a intraprendere la lotta per la felicità.

Sulla parete più piccola sono raffigurate le forze ostili, tra cui la figura mitologica di Tifeo, mostruoso figlio di Gea, simile a un gigantesco scimmione. Alla sua sinistra lo affiancano le sue figlie, le tre Gorgoni, che simboleggiano Malattia, Follia, Morte. Questi tre personaggi in particolare, per la loro palese nudità e lascivia, suscitarono un’ondata di scandalo e indignazione. Fortunatamente il fregio di Klimt non è stato demolito dopo la mostra di Beethoven – come i murali di altri artisti – e, faticosamente rimosso dal muro, finì nelle mani di committenti privati. Negli anni ‘70 è stato venduto alla Repubblica d’Austria e, dopo un lungo restauro, ha trovano la sua definitiva sede nei sotterranei del palazzo della Secessione viennese.

18 Fregio di Beethoven, parete piccola con Tifeo e Gorgoni

Lo scandalo suscitato dai nudi di Klimt non era certo il primo, perché già nel 1894, quando il ministero dell’istruzione incaricò Klimt e Franz von Matsch di dipingere le allegorie per il soffitto del salone dell’Università di Vienna, la Giurisprudenza, la Filosofia e la Medicina, ovvero i cosiddetti Quadri delle Facoltà di Klimt, suscitarono critiche feroci, tanto da essere rifiutati. Di essi rimangono solo fotografie in bianco e nero, perché le opere andarono distrutte nel 1945 durante un incendio scoppiato al castello di Immendorf in Austria. Ora, grazie alla collaborazione tra Google Arts & Culture Lab Team e il Belvedere di Vienna, tornano in vita questi tre celebri dipinti in una ricostruzione digitale che propone anche i loro plausibili colori.

Grande risalto viene dato in mostra anche alle esposizioni italiane. Klimt partecipò due volte alla Biennale di Venezia, nel 1899 nella sala austriaca e nel 1910 con una straordinaria mostra personale. All’Esposizione internazionale di Roma del 1911 fu l’indiscusso protagonista del padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann (in quell’occasione venne esposto il celebre dipinto Il bacio e le Bisce d’acqua o Le sorelle) e nel 1914 inviò un’opera alla II edizione della Secessione romana, nata sull’esempio modernista di quella austriaca, dalla quale in realtà Klimt si era allontanato da un pezzo.

Avendo esposto in Italia la maggior parte dei suoi capolavori, Klimt esercitò in questo contesto artistico un influsso diretto su pittori come Felice Casorati (del quale è esposta La preghiera, un’opera a tempera del 1914, proveniente dalla Galleria d’arte moderna di Verona),

19 Felice Casorati, La preghiera, 1914, Verona

Camillo Innocenti (è sua La Sultana del 1913, dalla GAM di Roma), Enrico Lionne con la sua Violette (1913, GAM di Roma), Galileo Chini (autore della Danzatrice Monn del 1914, proveniente da una collezione privata) e soprattutto Vittorio Zecchin, forse il più fedele interprete della sua pittura a mosaico scintillante di oro, presente in mostra con due grandi quadri, Corteo delle principesse e Principesse in giardino, entrambi del 1914 e provenienti da Venezia (Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro).

20 Vittorio Zecchin, Principesse nel giardino, 1914, Ca’ Pesaro Venezia

Quando Klimt nel gennaio 1918 venne inaspettatamente colpito da un ictus, per le cui conseguenze sarebbe morto un mese dopo, diversi erano i dipinti ancora in lavorazione, tra cui l’opera di grande formato La sposa (1917 – 1918), che viene prestata per la prima volta dalla Klimt Foundation. In alcune parti del quadro, come quella a sinistra, l’immagine è in gran parte completa, mentre sulla destra altre parti mostrano ancora uno schema di colori approssimativo. Al centro è raffigurata la sposa, addormentata e avvolta in un abito blu. La testa di un uomo è accanto a lei, con il corpo in gran parte nascosto da un gruppo di donne che, strette l’una all’altra, sembrano fluttuare in posizioni diverse. In parte nude, in parte vestite, illustrano le sfaccettature delle esperienze erotiche di felicità, a cui la sposa sembra abbandonarsi nel suo sonno. Il dinamismo del tratto (evidente anche nei disegni di nudi femminili che accompagnano l’esposizione del dipinto) e gli audaci contrasti di colore sono tipici della tarda fase creativa di Klimt. Considerato che in quegli anni si viveva l’amara realtà della Grande Guerra,

una simile fantasia amorosa immersa in una sorta di realtà onirica appare del tutto anacronistica”,

secondo quanto scrive Franz Smola.

21 Gustav Klimt, La sposa, 1917-18, Klimt Foundation, Vienna

Ma è pur vero che la passione per le donne e per il loro erotismo doveva essere per Klimt una forma di voluttà irrinunciabile, come la sua ricerca edonistica del bello, anche se continuamente adombrata dal presentimento della morte.

22. Gustav Klimt, Ritartto di Signora, 1916 – 17 Galleria Ricci Oddi di Piacenza.

L’ultimo focus espositivo è dedicato al Ritratto di signora della Galleria Ricci Oddi di Piacenza, un quadro che appartiene anch’esso all’ultima fase di attività dell’artista (1916 – 1917). In questo caso la sua pittura si fa meno preziosa e sorvegliata, abbandonandosi a pennellate quasi sbrigative, che tradiscono un approccio aperto alle atmosfere espressioniste. La tela salì alla ribalta della cronaca il 22 febbraio 1997, quando venne rubata dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza con modalità che le indagini non sono riuscite a chiarire. Altrettanto misteriosamente la tela venne ritrovata il 10 dicembre 2019, nel corso di alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo piacentino, in un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura. Un altro mistero legato al quadro è il fatto che Klimt lo abbia dipinto su un precedente ritratto, già ritenuto perduto, raffigurante una giovane donna identica nel volto e nella posa, ma diversa nell’abbigliamento e nell’acconciatura, come intuito nel 1996 dall’allora studentessa liceale Claudia Maga: una vera maga per riuscire a capire a occhio nudo ciò che sarebbe stato poi confermato dalle analisi cui venne sottoposto il dipinto.

Nica FIORI  Roma  14 novembre 2021

“Klimt. La Secessione e l’Italia”

Museo di Roma a Palazzo Braschi, Piazza San Pantaleo, 10 – Roma

 27 ottobre 2021- 27 marzo 2022; Orario : da lunedì a venerdì ore 10-20; sabato e domenica ore 10-22. La biglietteria chiude un’ora prima

Informazioni e prenotazioni  +39 060608 tutti i giorni ore 9.00 – 21.00

https://museiincomuneroma.vivaticket.it/it/tour/ klimt-e-italia/2847