di Nica FIORI
Secondo una consuetudine plurisecolare nella basilica di Sant’Agnese fuori le mura il 21 gennaio, in occasione della festa della santa, vengono benedetti sul suo altare due bianchi agnellini, allevati dai monaci trappisti delle Tre Fontane.
Trasportati nel Vaticano, gli agnelli sono poi offerti al pontefice, che a sua volta li affida alle monache del monastero di Santa Cecilia a Trastevere. Con la loro lana, le monache tessono i sacri pallii che saranno benedetti dal papa sulla tomba di San Pietro, la sera del 28 giugno, vigilia della festa dei santi patroni di Roma Pietro e Paolo.
I pallii sono quelle strisce di lana, decorate con croci, che il pontefice dona agli arcivescovi metropoliti in segno di onore e di giurisdizione, e si indossano sulle spalle a ricordare la pecorella smarrita che il Buon Pastore mette sulle spalle per ricondurla al gregge. Questi tessuti acquistano una sacralità in quanto la loro lana si è impregnata delle virtù di Sant’Agnese – fede, fortezza e purezza – che devono caratterizzare la vita dei pastori di anime.
La martire Agnese, il cui nome ricorda l’agnello, simbolo di purezza e di sacrificio, è una delle sante romane più amate e ha ispirato pittori, scultori e letterati (ricordiamo in particolare il cardinale inglese Nicholas P. S. Wiseman, che la inserì nel suo romanzo Fabiola, del 1854).
Anche se le notizie sulla sua vita sono talvolta contrastanti, probabilmente subì il martirio giovanissima, tanto che spesso è raffigurata bambina. Doveva avere solo 12-13 anni, quando la sua bellezza suscitò l’interesse del figlio del governatore di Roma, che voleva sposarla, ma la fanciulla voleva mantenersi pura e rifiutò il matrimonio, perché si riteneva sposa di Cristo. Come nel caso di Santa Lucia (la santa siracusana festeggiata il 13 dicembre), questo amore rifiutato provocò una terribile vendetta. Il governatore di Roma, Sofronio, la convocò e, poiché Agnese fu irremovibile nel voler mantenere la sua verginità, fu portata in un lupanare (situato in un fornice dello stadio di Domiziano) per farla violentare. Esposta nuda, sfuggì miracolosamente agli sguardi degli uomini, che non osarono toccarla, tranne uno che venne accecato (secondo un’altra versione cadde morto) da un angelo e riacquistò poi la vista per intercessione dalla stessa santa. Fu questo miracolo a suscitare nei pagani la convinzione che lei fosse dotata di poteri magici e di conseguenza Agnese venne condannata a essere bruciata: anche questa volta Agnese uscì indenne dalla tortura e i suoi capelli si allungarono per coprire la sua nudità. Alla fine fu colpita alla gola e morì, presumibilmente il 21 gennaio del 304, sotto l’imperatore Diocleziano.
La pudicizia della giovanissima vergine divenne proverbiale, tanto che Sant’Ambrogio, nell’inno che le dedicò (Agnes beatae virginis), scrisse:
“In morte vivebat pudor / vultumque texerat manu / terram genu flexo petit / lapsu verecundo cadens” (La pudicizia viveva anche nella morte / si coprì il volto con la mano / cadde a terra in ginocchio / e fu vereconda anche nel cadere”).
A Roma le sono dedicate due chiese, quella di Sant’Agnese in Agone, sorta sul luogo del martirio, il cui nome allude ai giochi agonistici che si svolgevano nello stadio di Domiziano (coincidente con piazza Navona), e la più periferica basilica di Sant’Agnese fuori le Mura, eretta presso il luogo della sua sepoltura, della quale propongo la visita in questo mio articolo.
Agnese era stata inumata nella galleria di un cimitero catacombale disposto almeno su tre piani, ai margini della via Nomentana. All’epoca di Costantino venne eretto un primo sacello seminterrato che aveva l’altare proprio sul sepolcro, come si usava fare all’epoca per non manomettere le tombe dei martiri, mentre nei pressi venne eretta una grande basilica “a deambulatorio”, o “circiforme”, perché la planimetria ricorda quella di un circo. Questa tipologia di basilica è tipica dell’età costantiniana (si conoscono a Roma sei esempi) ed è caratterizzata dal fatto che le navate avviluppano l’abside componendo un ambulatorio continuo.
La basilica circiforme fu fatta costruire da Costantina, figlia dell’imperatore Costantino, che era guarita da una terribile malattia dopo aver invocato Sant’Agnese. Costantina si era unita una prima volta in matrimonio con Annibaliano e, alla sua morte, il fratello Costanzo II l’aveva fatta sposare con il cesare Costanzo Gallo, l’unico sopravvissuto, insieme a Giuliano (il futuro imperatore che sarebbe passato alla storia come l’Apostata), alla strage dei membri della famiglia. La donna, che secondo Ammiano Marcellino era una “megera” per la sua crudeltà, morì in Bitinia nel 354, poco prima che Costanzo II facesse decapitare il marito, e venne sepolta nel mausoleo costruito accanto alla basilica.
Al tempo del papa Onorio I (625-638), la grande basilica circiforme doveva essere probabilmente in rovina e il primitivo sacello, anche se trasformato in chiesetta, era troppo piccolo in rapporto alla diffusione del culto: fu per questo che il pontefice decise di sostituire il tutto con un nuovo magnifico edificio semiinterrato, che si inserì nell’antico cimitero, non senza distruggerne una parte. L’edificio fu poi isolato nel 1600 con grandi lavori di sterro fatti fare dal cardinale Alessandro Ottaviano de’ Medici, cui si deve l’apertura delle tre porte nella facciata in laterizio.
Si accede alla basilica da via di Sant’Agnese, o anche da via Nomentana, passando per un cortile e discendendo per un grande scalone coperto, che sostituisce quello che conduceva alla basilica di Onorio I. Nello scalone sono conservate, affisse alle pareti, delle lastre marmoree, relative al primitivo sacello: in particolare i plutei dell’altare di papa Liberio (352-366), una lapide con un carme di papa Damaso (366-384) e altri reperti lapidei.
Nonostante i numerosi interventi che si sono succeduti nel tempo, la basilica onoriana si è in gran parte conservata. Suddivisa in tre navate, ci colpisce subito per la presenza di un matroneo (una rarità nelle chiese romane) e per il grandioso mosaico absidale a fondo oro che ritrae al centro Sant’Agnese, vestita come una principessa bizantina, con ai piedi la spada e i globi di fuoco, simboli del suo martirio e nelle mani il rotolo delle Sacre Scritture. Ai lati sono raffigurati Onorio I con in mano il modellino della chiesa e un altro papa, probabilmente Simmaco (498-514), che restaurò la basilica costantiniana prima della realizzazione della chiesa onoriana.
In basso è una lunga scritta che sembra descrivere l’effetto della luce del sole sui mosaici. Ai margini del sottarco è un festone vegetale con al centro la croce; alla sommità del catino la mano divina tende una corona alla giovane martire. Il mosaico si differenzia dagli altri esempi paleocristiani, che prevedono normalmente al centro Cristo, proprio per questa centralità data alla santa.
La parte inferiore dell’abside è impreziosita da lastre di porfido e pavonazzetto. Vi si addossano la cattedra episcopale e i seggi per il clero. La statua di Sant’Agnese dietro l’altare è opera di Nicolas Cordier (1605), che riutilizzò un torso antico di alabastro orientale agatizzato. Sotto l’altare inizialmente vi era il corpo di Sant’Agnese, ma nel IX secolo vi venne aggiunto quello di Santa Emerenziana (sorella di latte di Agnese, che morì lapidata), trasportato dal vicino Coemeterium Maius. La testa di Sant’Agnese venne prima portata da Pasquale I nel Sancta sanctorum lateranenese (la cappella delle reliquie presso la Scala Santa) e dal 1908 nella chiesa di Sant’Agnese in Agone.
Quattro colonne di porfido sono collocate nel ciborio sopra l’altare, mentre le 18 colonne che separano la navata centrale dalle due navatelle minori e dal nartece sono di marmi vari (bigio pezzato, pavonazzetto, portasanta e granito nero) e probabilmente sono state recuperate dalla basilica costantiniana circiforme.
Il soffitto in legno lavorato, che ha sostituito quello primitivo a capriate, è intagliato in legno con le figure della sante Agnese, Cecilia e Costanza: è stato voluto nel 1606 dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati (fu lui a riesumare il corpo di Sant’Agnese, così come aveva fatto per quello di Santa Cecilia e di altri martiri nella basilica trasteverina) e venne restaurato da Pio IX nel 1855.
Tra le cappelle laterali, tutte successive all’intervento del card. Medici e ridecorate nell’Ottocento, è degna di nota la seconda a destra con un pluteo cosmatesco del XIII secolo e il dittico marmoreo di Andrea Bregno con Santo Stefano e San Lorenzo. La terza cappella a destra ricorda Sant’Emerenziana.
Dalla basilica di Sant’Agnese si può accedere, volendo, al cimitero preesistente alla deposizione della santa e in parte distrutto. Rispetto ad altre catacombe romane, celebri per gli affreschi, questa appare priva di decorazioni e presenta solo piccoli cubicoli. Tra i ritrovamenti si ricorda un bellissimo cristogramma lapideo con smalti e iscrizione che rievoca il motto costantiniano, attualmente conservato nella Biblioteca Storica Vaticana.
La basilica costituisce uno dei monumenti più significativi di via Nomentana insieme al vicino mausoleo di Costantina e ai ruderi della basilica circiforme.
Ilmausoleo del IV secolo, che accoglieva il sarcofago di porfido di Costantina, venne trasformato nella chiesa di Santa Costanza
(Costantina venne venerata come santa nel medioevo: evidentemente il miracolo della guarigione per merito di Sant’Agnese le aveva fatto cambiare vita).
È uno degli edifici più belli dell’arte paleocristiana per la forma circolare e per la presenza di mosaici che si rifanno a repertori romani classici.
Il mausoleo, in laterizio, era circondato da un portico ora scomparso. All’interno dodici coppie di colonne in granito unite da una trabeazione delimitano l’anello centrale dal deambulatorio anulare con volta a botte mosaicata, che presenta nella parete esterna nicchie centinate alternativamente rettangolari e semicircolari, due absidiole contrapposte ai lati e una grande nicchia sul fondo.
L’anello centrale è sormontato da un tamburo con dodici finestre terminante con una cupola, che ha perso la meravigliosa decorazione musiva che la caratterizzava, mentre i mosaici si sono conservati nella volta del deambulatorio, nonostante i pesanti restauri eseguiti negli anni 1834-40.
Mentre i mosaici dello scomparto iniziale, corrispondente alla porta d’ingresso, sono abbastanza semplici, essi diventano via via più complessi negli altri scomparti della volta con vari motivi vegetali e con scene di vendemmia, tanto che nel Rinascimento il mausoleo venne chiamato per via di queste decorazioni di tipo dionisiaco “Tempio di Bacco”.
Tra i mosaici della volta troviamo anche due busti, uno femminile e uno maschile, che potrebbero essere i ritratti di Costantina e del primo marito Annibaliano.
I mosaici delle nicchie sono in gran parte scomparsi, tranne quelli dei catini delle due absidiole con Cristo e i Santi Pietro e Paolo (forse della fine del IV secolo ma molto restaurati).
Pochi resti di un mosaico a stelle azzurre su fondo bianco rimangono nella volta della nicchia rettangolare centrale, al cui interno è collocata la copia del bel sarcofago di porfido, attualmente conservato nei Musei Vaticani.
Il porfido era il marmo imperiale per eccellenza, per via del colore che richiamava la porpora, e venne particolarmente usato in epoca costantiniana (lo ritroviamo anche nel sarcofago di porfido che ospitò il corpo di Sant’Elena, madre di Costantino).
Nel coperchio del sarcofago di Costantina è presente una testina femminile tra festoni, che potrebbe essere identificata con quella della defunta. Nella vasca è raffigurata una scena di vendemmia, che evidentemente faceva parte del repertorio dell’epoca, ancora non prettamente cristiano.
Nica FIORI Roma 24 gennaio 2021