di Claudio LISTANTI
La Bayadère, uno dei balletti più conosciuti ed apprezzati, è tornato in questi giorni sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma ottenendo un vistoso successo.
Il balletto è stato presentato in un nuovo allestimento di Ignasi Monreal con la coreografia di Benjamin Pech, la direzione d’orchestra di Kevin Rodhes ed interpreti nell’insieme molto applauditi.
La Baydère è senza dubbio uno dei balletti più affascinanti della Storia della Danza e questa edizione realizzata dal Teatro dell’Opera ne ha confermato tutti i presupposti.
A dimostrazione di ciò è necessario partire da alcuni cenni storici che ci fanno comprendere tale aspetto con più incisività soprattutto nell’ambio dell’evoluzione della concezione coreografica moderna. Base di partenza sono senza dubbio l’esotismo del soggetto, un tema che nella musica, ma anche nell’Arte, è sempre stato intrigante; in questo caso il tema si riverbera nella figura della protagonista, danzatrice sacra consacrata a un tempio, in India conosciuta con la parola sanscrita di Devadâsi.
Il primo a parlarne fu Marco Polo quando narrò a Rustichello da Pisa quello che sarebbe poi diventato il Milione, nei secoli in cui nacquero le varie Compagnie delle Indie, quando mercanti e viaggiatori descrivevano il fascino di queste danzatrici sacre. Il termine bayadère si deve ai Portoghesi, primi a spingersi in India via mare, che nella loro lingua utilizzavano il termine baylhadeira per descrivere una danzatrice.
Tra le nazioni che intrapresero attività commerciali con l’oriente c’è, anche se arrivò più tardi, la Francia; nel 1664 Jean Baptiste Colbert creò la Compagnie des Indes Orientales, un fatto che riuscì a influenzare molti artisti, sedotti dai resoconti di viaggio. Dopo qualche anno le danzatrici indiane comparvero, come personaggi reinventati nella rappresentazione a corte del balletto Le Triomphe de l’Amour (1681). La musica fu composta dal fiorentino Giovanni Battista Lulli, poi naturalizzato francese in Lully, le coreografie di Beauchamps e le liriche di Quinault. I bozzetti dei costumi rimasti seguono la moda del tempo solo il velo ricorda l’abbigliamento delle Devadâsi.
Anche Goethe fu affascinato dai racconti di viaggio su queste danzatrici e scrisse la ballata Der Got und die Bajadere, Indische Legende (Il Dio e la Bajadere, una legenda indiana), che ebbe un grande successo e fu messa in musica anche da Schubert nel 1815. La Bajadère approderà sulle scene teatrali con grande successo grazie al librettista Etienne de Jouy, autore del libretto de La Vestale (1807) su musica di Gaspare Spontini e Les Bayaderes (1810) su musica di Charles-Simon Catel. Jouy, che aveva soggiornato in India e visto le danze delle Devadâsi, ritenne che La Vestale, nonostante fosse una sacerdotessa romana, poteva essere considerata una figura affine a Devadâsi, in quanto entrambe personaggi religiosi, divenendo così il modello per lo straordinario personaggio di Giulia, protagonista de La Vestale.
Poi ci fu L’ opéra –ballet Le dieu et La bayadèreou la courtisane amoureuse del 1830 su musica di Auber e testi di Scribe, importante perché Filippo Taglioni creò le coreografie in modo da far brillare la figlia Maria attraverso il personaggio dell’esotica danzatrice che ottenne un grande successo che la fece divenire inteprete carismatica per questo personaggio.Nel 1838 arrivò a Parigi per esibirsi un complesso indiano composto da cinque Devadâsi, due musicisti e il maestro di ballo suscitando una grande impressione nel pubblico in particolare la danzatrice Amany.
Théophile Gautier ne rimase folgorato e, basandosi sul grande classico della letteratura indiana Il riconoscimento di Sakùntala del poeta Kālidāsa che nel 1789 fu tradotto da sir William Johnes creò il libretto per il balletto Sacountalâ, che andò in scena nel1858 con la coreografia di Lucien Petipa. Già prima di questa esperienza Amany fu evocata nel libretto di Gautier per Giselle ou les Willis del 1841 uno dei pochi balletti del periodo romantico rimasto in repertorio.
Marius Petipa celeberrimo coreografo, il cui nome è legato maggiormente alle coreografie dei balletti su musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, raccolse e compendiò in Bayadère le precedenti esperienze. È uno dei primi balletti e la prima grande coreografia pervenuta ai nostri giorni. Aveva visto il fratello maggiore Lucien, più dotato di lui come ballerino, ma molto meno come coreografo, ballare insieme a Carlotta Grisi alla prima di Giselle e conosceva sia Le dieu et La bayadèreou la courtisane amoureuse e che Sacountalâ. Di Bayadère fece tre versioni la prima del 1877 su libretto di Chudekov dava più spazio alle scene pantomimiche e rituali, nel 1884 e l’ultima del 1900 per celebrare i quaranta anni di carriera di Pavel Gerdt, Primo danzatore nobile del Balletto Imperiale di Russia.
La musica de La Bayadère è di Ludwig Minkus e la divisione originale è in quattro atti e sette quadri, il primo si svolge davanti al tempio il bramino offre il suo amore a Nikija la più bella tra le bayadere, ma viene respinto perché ama ricambiata Solor, che le giura fedeltà. Il bramino scopre il fatto e chiede vendetta agli dei. Il Rajah annuncia le nozze tra la figlia Gamzatti e Solor al Bramino, che gli rivela il legame tra Nikija e Solor, il Rajah decide che Nikija morirà. Sempre nel palazzo del Rajah Gamzatti incontra Nikija che danzerà a Palazzo all’annuncio delle sue nozze con Solor; le due donne si affrontano ma Nikija non può opporsi.
Nel secondo atto nel palazzo del Rajah durante i festeggiamenti Nikija danza, le viene porto un cesto con i fiori che lei lancia verso Solor ma c’è anche un serpente che la morde. Poiché Solor non rinuncia al legame con Gamzatti, Nikija rifiuta l’antidoto che il bramino disperato le porge e muore. Nel terzo Solor è nella sua stanza e fuma l’oppio e vede le ombre delle bayadere morte, la scena iconica del balletto e danza con l’ombra di Nikija. Nel quarto atto il giorno delle nozze nel tempio nel momento in cui c’è il giuramento nunziale gli dei irati fanno crollare il tempio uccidendo i presenti.
Petipa pensò a danze di ispirazione indiana: la danza džampé delle bayadere nel palazzo del Rajah, la spettacolare danza con i tamburi e la danza manù in cui una danzatrice con la brocca sul capo da l’acqua a due giovani ragazze, in genere allieve della scuola di danza. La grande innovazione è nella scena delle Ombre, l’atto bianco nel quale, utilizzando le parole dello storico e esperto di Danza Sergio Trombetta:
“32 ballerine alla luce fioca della luna, in una radura sul cui sfondo si intravede il profilo dell’Himalaya, entrano in scena una dopo l’altra, scendendo lungo un praticabile, con un ipnotico, interminabile succedersi di arabesque penchée e port de bras. La sequenza viene ripetuta lentamente e all’infinito da ogni bayadera che esce dall’alto della montagna”.
Questa è l’ultima versione immaginata da Petipa nel 1900 e la coreografia della scena delle ombre insieme al pas de deux di Solor e l’ombra di Nikija è quella più intatta giunta a noi. Durante la rivoluzione russa e la guerra civile il quarto atto non fu più rappresentato e alcune delle danze come il pas d’action di Solor e Gamzatti, la danza con i tamburi e l’Idolo d’oro furono spostati al secondo atto. Nel 1941 in URSS Vachtang Čabukiani, uno dei più grandi ballerini russi del ‘900, ampliò la parte di Solor ma non restaurò il quarto atto creando così la versione tramite la quale il balletto fu conosciuto in occidente.
Questa edizione fu ripresa da Makarova e Nurejev per l’Opéra di Parigi, ma senza il quarto atto forse perché Nurejev seriamente malato non poté completarlo; morì infatti nel novembre 1992 due mesi dopo la rappresentazione. La versione del 1900 con il quarto atto fu data al Marijinskij con tutta la musica originale basata sul manoscritto di Minkus, custodito dal teatro. La coreografia del 1900 è stata ricostituita basandosi sulle trascrizioni di Nicolas Grigoreevič Sergeev redatte con il sistema di notazione di Vladimir Stepanov lo stesso usato per le altre coreografie di Petipa, allo scoppio della rivoluzione nel 1917 Sergeev le portò via con sé e ora sono custodite nella Harvard Theatre Collection.
Qui a Roma, nel 2011, Il Teatro dell’Opera mise in scena La Bayadère basata sulla coreografia di Petipa ricostruita da Rafael Avnikjan inserendo anche la ricostruzione del quarto atto. Per le rappresentazioni di questa stagione Il teatro romano ha scelto di affidare lo spettacolo al coreografo Benjamin Pech, artista di lunga esperienza nel campo della Danza sia come interprete solista sia come Maître de ballet, personalità senza dubbio indicata per un compito delicato e difficile come quella di mettere in scena La Bayadère.
Pech, infatti, ha svolto buona parte della sua carriera presso l’Operà di Parigi ed ha partecipato a diverse rappresentazioni della versione creata da Nurejev interpretando, negli anni, diversi personaggi maschili del balletto, non solo il protagonista Solor ma, anche, altri come il fachiro e l’idolo d’oro. Per quanto riguarda la sua visione di Bayadère, molto illuminante è l’intervista all’artista curata dallo storico del balletto Lorenzo Tozzi inserita nel programma di sala della rappresentazione, nella quale dichiara che il suo intento era quello di creare uno spettacolo che, pur rimanendo nel solco della tradizione e della storia, si spinge alla ricerca di una ‘modernizzazione’ più attinente all’attualità.
Innanzi tutto affidando la parte scenica ad Ignasi Monreal che ha creato ambienti particolarmente colorati evocanti paesaggi e architetture di stampo orientale, intendendo però un oriente non specificatamente indiano ma piuttosto generico, rivolto alle altre culture orientali come quella pakistana, cinese o iraniana; una modalità più consona alla visione odierna del mondo orientale. A completare la parte visiva ha scelto i costumi di Anna Biagiotti, alcuni prodotti ex-novo e altri ricavati dall’immenso e prezioso magazzino scenico del teatro, in linea con l’impostazione dello spettacolo definito scenicamente anche dalle luci di Vinicio Chieli.
Per proseguire l’innovazione Pech ha cercato, riuscendoci, di orientare i movimenti più verso le parti ballate che su quelle mimiche, un intervento che a suo giudizio ha arricchito il primo atto da lui considerato il più debole.
L’altro problema per Bayadère è il quarto atto. Infatti Pech sostiene che realizzare il crollo del tempio è particolarmente difficoltoso in quanto sarebbero necessarie cospicue risorse visto la scena ‘colossal’ prevista. Ha dovuto cercare una via di mezzo. Così ha dichiarato:
“Musicalmente non c’è un vero finale. In Nureyev Solor ha ritrovato Nikiya nei suoi sogni. Anche l’idea di portare in scena un quarto atto col crollo del tempio richiede una tecnica scenica importante ed è stata abbandonata. Dovevo trovare un compromesso. Solor è bloccato tra desiderio di potere e amore per Nikiya. È debole, non può dire di no all’offerta matrimoniale del Rajah, quindi è giusto che sia lui a soffrire (non il personaggio femminile come per Giselle, Bella addormentata o Manon). Dopo la sfilata delle ombre torniamo nella casa di Solor che al suo risveglio trova Gamzatti vestita per la cerimonia nuziale, mente Nikiya svanisce pian piano dietro un fiore. Il potere vince sull’amore: un finale triste. Anche per Gamzatti ho ampliato il ruolo, in origine un po’ sacrificato rispetto a Nikiya e le ho regalato una variazione nel primo atto”.
Tutte queste scelte ci sono sembrate efficaci utili a rappresentare un dramma umano come quello previsto dal libretto.
Per quanto riguarda la parte coreutica (ci riferiamo alla recita del 1° marzo) nella parte di Nikiya c’era la georgiana Maia Makhateli che ha interpretato la parte con sicurezza ed espressività sostenuta da una buona tecnica di danza ottenendo diversi applausi a scena aperta. Mancava, però, nella scena delle ombre di un po’ di quella ‘impalpabilità’ necessaria. Al suo fianco un convincente Solor, quello del brasiliano Victor Caixeta, parso a suo agio nella parte che Pech ha modellato per il personaggio.
Efficace anche la Gamzatti di Susanna Salvi, Étoile dell’Opera di Roma, che ci ha regalato un personaggio incisivo, spesso anche sensuale, disegnando bene scenicamente il ruolo. Tutte le altre parti sono state affidate a danzatori della compagnia del teatro. Tra questi si sono distinti il Rajah di Michele Morrone, l’Idolo d’oro di Simone Agrò, le tre ombre di Marta Marigliano, Marianna Suriano e Federica Maine e la Ballerina con la brocca di Eugenia Brezzi con Daniela Creciun e Sofia Cerri Bambine con la brocca. A completare la parte coreutica determinante è stato l’apporto di tutti gli altri Primi Ballerini e Solisti del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera assieme all’indispensabile partecipazione degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera.
Infine la direzione d’orchestra dello statunitense Kevin Rhodes, direttore molto esperto nel campo del teatro per musica che ha offerto una direzione attenta a tutte le esigenze dei danzatori, brillante ed intensa nell’insieme. Per lui molti applausi alla fine della recita, così come a tutti gli interpreti della serata dedicati da un pubblico convenuto numeroso in teatro che ha dimostrato un alto gradimento per quanto visto ed ascoltato.
Claudio LISTANTI Roma 5 Marzo 2023