La Bibbia in arabo, “una lingua usata dalla guerra, una lingua necessaria alla pace”.

di Chiara GRAZIANI

Da quando la Bibbia ha iniziato a narrarsi al mondo in ebraico, tradurla perché viaggiasse fra le culture e fosse percorribile per mille vie fino all’unica radice della speranza umana, è stata parte del suo continuo riscriversi e narrarsi di nuovo a tempi nuovi. Un progetto del Sobicain (Società Biblica Cattolica Internazionale) strumento della famiglia paolina per la diffusione della Parola di Dio, aveva prodotto nel 2020 una traduzione italiana approfondita con centinaia di note, corredata di passi paralleli, introduzioni, mappe dei luoghi, senza trascurare le più recenti scoperte archeologiche che, da qualche tempo, sono tornate ad essere un punto nevralgico di confronto (o incontro, a seconda), fra i tre popoli del Libro.

Un attrezzo di “scavo” nel testo sacro che i Paolini, fedeli alla loro missione, hanno ora tradotto anche in arabo: una lingua usata dalla guerra, una lingua necessaria alla pace. Una delle due lingue che occorrono a cercare la pace nel buio della guerra. Perché, è la convinzione espressa il 26 novembre a Roma presentando la nuova Bibbia, sono le parole non più disumanizzanti, purgate dall’odio e rianimate al significato autentico, che mancano in un Medio Oriente in convulsione dove, per uccidere quotidianamente gli uomini è necessario pervertire le parole.

Nella chiesa della Regina degli Apostoli alla Montagnola, gremitissima, la Bibbia in arabo è stata distribuita gratis, come il pane di Isaia (“comprate e mangiate senza denaro”), a decine di cristiani di Terra Santa arrivati per l’occasione: chi c’era ha visto la gioia autentica di persone arrivate da Giaffa e Tel Aviv, membri della comunità neocatecumenale, assiepate attorno al grande tavolo carico di copie nella custodia verde con il simbolo del sicomoro.

Era presente il patriarca latino di Gerusalemme, cardinal Pierbattista Pizzaballa, arrivato a Roma per riceverla e riportarla con sé. Da Gerusalemme è partita, a Gerusalemme ritorna, in quella che è stata definita “una nuova evangelizzazione” ed una “missione speciale della Chiesa”.

Pizzaballa, uomo considerato con attenzione da ogni parte in conflitto, capace di ogni sfumatura come di gesti chiarissimi e inequivocabili quando necessario per amore del suo popolo, ha spiegato, in fondo, quella che è la strategia e la visione della Chiesa.

Si parla di cessate il fuoco in Libano, ma non sarà purtroppo, la pace. A Gaza le cose continueranno, probabilmente, allo stesso modo. Il rancore, il disprezzo, la disumanizzazione rendono difficile dare concretezza alla parola speranza. La missione principale della Chiesa è dire parole di riconciliazione, pace, ricostruzione, ricucitura. Le prospettive di pace non si materializzeranno presto. Però occorre prepararle, dobbiamo prepararle. Avremo bisogno di linguaggi di ricostruzione”.

La via, pur stretta, si intravede. Rivela Pizzaballa:

Musulmani ed ebrei non si parlano più. Ma sottobanco tutti e due ci dicono – sottobanco, però, siamo ben lontani da sentirlo dire pubblicamente –  se voi ci siete allora noi potremmo”.

La diplomazia della parola curata, dunque. Della mediazione tramite le relazioni dirette, da disintossicare nei tempi necessari. Potremmo, dicono dalle due parti, se anche voi cristiani avrete la volontà di esserci, stando nel mezzo. “Ma non possiamo parlare di noi – puntualizza Pizzaballa – dobbiamo parlare di Lui”. E la Bibbia in arabo è anche un formidabile mediatore culturale, oltre che uno strumento a disposizione dei cristiani del Medio Oriente, “il polmone orientale della Chiesa”. In lingua originale (l’arabo è quello classico della koinè araba e della umma)  il Libro dispiega tutte le sue potenzialità. Come ha spiegato ancora Pizzaballa:

In 35 anni in Medio Oriente ho visto che se ti esprimi in un’altra lingua passa il 30, il 40 per cento del messaggio. In lingua originale passa tutto”.
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, durante la funzionme religiosa

 A questo punto, parlando di cura  delle parole pervertite dalla guerra, si è materializzata la parola “speranza”. Parola che, però,  ha bisogno di un centro di gravità permanente per assumere concretezza, per farsi politica e soluzione. E’ la  tormentata comunità cristiana del Medio Oriente, interviene a questo punto monsignor Michel Jalakh, segretario del Dicastero delle Chiese orientali, il possibile baricentro di un nuovo equilibrio di faticosissima costruzione.

“Sono nato in Libano e da allora, ma anche da prima, il mio paese è sempre stato al centro delle tensioni del Medio Oriente. E posso dire che oggi è proprio la  comunità cristiana il fattore di coesione sociale in tutto il Medio Oriente”.

La Chiesa, le Chiese d’oriente arrivate a Roma con i loro rappresentanti per accogliere simbolicamente la Bibbia in arabo da riportare in Egitto, in Libano, in Palestina, Siria, Israele, Marocco, Sudan e nella diaspora in genere, fanno, a loro modo, un atto non solo di fede ma anche profondamente politico. Le minoritarie, ma non ininfluenti, comunità cristiane hanno il compito di interporsi, quasi zona cuscinetto, e farsi area di contatto, terreno ospitale fra le parti in conflitto, cercando anche nello strumento delle Scritture, i punti di contatto, le brecce nel muro. E’ l’immagine del muro di separazione, e della sua distruzione, quella che torna anche nelle parole del vescovo di Byblos, monsignor Michel Aoun. Immagine potente, sia biblica che evangelica –  il muro dei falsi profeti e la Croce che l’ha distrutto – ma anche affilata come una spada per la sensibilità dei popoli in conflitto fra Palestina ed Israele.

Se la diplomazia occidentale, nella sua apparente discontinuità a seconda dell’inquilino della Casa Bianca, ha partorito gli accordi di Abramo che promettevano normalizzazione in Medio Oriente, ma una normalità senza il popolo palestinese, l’orizzonte è quello di un patto nuovo ma basato sul riconoscimento reciproco. Li si potrebbe chiamare gli accordi, o il patto, di Ismaele ed Isacco, fra il figlio primogenito di Abramo ed il suo secondogenito considerati padri delle due nazioni semite.

Se l’edizione araba di “Scrutare le scritture” dei Paolini è per i credenti una formidabile via d’accesso alla Sacra Scrittura accettata dalla Chiesa cattolica, allo stesso modo si può porre come mediatore culturale – il mediatore culturale  principe per la fede – per comunicare anche ai non cristiani il senso della ripresa di un dialogo, per restituire alle parole – speranza, promessa, alleanza, patto, liberazione, pace e giustizia – la legittimità che occorre loro dopo anni di perversione di senso (detto più laicamente da decenni di doppio standard fra forti e deboli che hanno devastato e depotenziato il diritto internazionale con conseguenze drammatiche, prevedibili e ormai di difficilissima soluzione). Non è affatto secondario, è anzi parte del nerbo dell’impresa, che attorno al progetto, coordinato dai padri Francesco Voltaggio (curatore) e dal libanese Abuna Jean Azzam (direttore dell’edizione) , si siano strette comunità di traduttori e ricercatori nei luoghi stessi ai quali questa Bibbia è di nuovo inviata.

“Il mondo arabo – dice il vicario copto cattolico del Cairo Hani Bakhou Kiroulos – ha fame della Parola di Dio. Questo è un dono in tempo di buio”.

Per cogliere la dimensione geopolitica, o meglio,  per chiarire che anche di concreto passo politico si può trattare, sarà bene ascoltare quanto viene rivelato, per inequivocabile accenno, dai padri Paolini durante la presentazione: “Stiamo già pensando alla traduzione in cinese”. Padre Domenico Soliman, superiore generale della Società San Paolo, puntualizza in seguito che ci vorranno anni, che siamo agli inizi (e come non potrebbe essere così, del resto, vista la delicatezza estrema dell’impresa, in tutti i sensi). Ma la strada è tracciata.

La diplomazia della Sacra Scrittura, esprimersi in lingua originale per “passare” al cento per cento e parlare a tutti attraverso i mille luoghi della Chiesa universale, è avviata. Se la missione data ai Paolini da padre Alberione era di comunicare la Parola attraverso i media, l’operazione “Scrutare le scritture” ha la potenzialità di poter creare interlocuzione, anche laica, fra culture. Mediazione, come nel caso del Medio Oriente, nuovi ponti in quello della Cina.

Chiara GRAZIANI  Roma 1° Dicembre 2024