di Claudio LISTANTI
Lo scorso 28 maggio al Teatro Nazionale, inserita nella Stagione 2023-2024 del Teatro dell’Opera di Roma, è stata rappresentata Cenerentola di Pauline Viardot, eseguita e realizzata con la collaborazione dei giovani artisti di “Fabbrica”, lo Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma e con la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza dell’Opera di Roma diretta da Eleonora Abbagnato.
Questa nuova produzione del Teatro dell’Opera racchiudeva in sé diversi elementi di interesse non solo per il fatto che la realizzazione è stata interamente costruita con le risorse del teatro ma anche per il valore storico-musicale della proposta che ha permesso al pubblico di conoscere le peculiarità del genere teatrale al quale questa Cenerentola appartiene.
Infatti una composizione di questo genere segue quel segmento della storia del teatro per musica che si può definire ‘teatro da camera’ che nel periodo compreso tra le metà dell’800 e i primi del ‘900 aveva un certo rilievo nel mondo musicale. Il più delle volte i titoli ad esso appartenenti erano prodotti per l’uso domestico, vale a dire l’intrattenimento di carattere ‘salottiero’ caratteristico di un’epoca nella quale erano completamente assenti modi e sistemi di riproduzione tecnica che sostituissero le esecuzioni dal vivo. Quindi negli spazi limitati di una casa, seppur grazie a stanze di cospicue dimensioni, si praticava la produzione musicale domestica che comprendeva oltre alla musica da camera vera e propria con l’utilizzo di strumenti solisti e piccole formazioni strumentali ma, anche, come in questo caso, opere vere e proprie spesso con accompagnamento di pianoforte.
Per produzioni di questo tipo occorreva la partecipazione e l’impegno di artisti dallo spiccato senso della musicalità e l’esempio di questa Cenerentola rappresentata al Teatro Nazionale è particolarmente illuminante per comprenderne i contorni.
L’autrice è, infatti, Pauline Viardot una delle artiste più importanti di quasi tutto l’800. Nata nel 1821, figlia minore dello spagnolo Manuel Garcia, uno dei musicisti più completi della storia, fu infatti non solo tenore (suo il primo Almaviva rossianiano) ma anche compositore, impresario teatrale e maestro di canto. Inoltre Pauline fu anche sorella della grande Maria Malibran.
Fin da bambina ebbe lezioni di pianoforte con insegnanti come Maysenberg e occasionalmente anche Liszt e con Antonín Reicha studiò contrappunto e composizione. Ma fu il canto la sua vera specialità la cui arte fu appresa dal padre e dalla sorella divenendo una delle cantanti più famose della storia. Debuttò a diciotto anni, nel 1839, come cantante d’opera interpretando la Desdemona nell’Otello di Rossini a Londra. Da quel momento la sua carriera fu inarrestabile. Subito dopo infatti fu scritturata da Louis Viardot, impresario, scrittore e critico (che nel 1841 divenne suo marito) il quale le aprì le porte del Théâtre-Italien di Parigi dove ebbe modo di conoscere grandi cantanti dell’epoca come la Grisi, Lablanche, Persiani e Rubini ottenendo assieme a loro grandi successi soprattutto con Rossini, sempre con Otello, ma anche Barbiere e Cenerentola. Dopo le nozze, nel 1841, per Pauline si aprirono le porte dei più famosi teatri d’Italia, Spagna e Germania. La sua carriera di cantante durò fino al 1863 e le permise di avere un repertorio molto vasto che comprese tutti i grandi del tempo, Bellini, Donizetti, Verdi, arrivando anche ad interpretare Mayerbeer, Gounod, Gluck e perfino Fidelio. La sua voce era particolarmente estesa fatto che le consentì di affrontare con facilità il repertorio di soprano, mezzosoprano e contralto. Dotata di una grande agilità vocale al punto che, secondo quanto narrano le cronache, era in grado di interpretare con la voce brani strumentali come il Trillo del diavolo di Tartini e, inoltre, raggiungere un repertorio sterminato. Con il passar del tempo la sua voce si stabilizzò nel registro di mezzosoprano che frequentò fino al ritiro del 1863. Ma dopo il ritiro si dedicò, oltre alla composizione soprattutto all’insegnamento del canto. Morì nel 1910.
Queste notizie di carattere storico-biografiche ci consentono di comprendere la valenza di questa proposta del Teatro dell’Opera che, con essa ha voluto riproporre un genere oggi ormai desueto. Pauline Viardot compose diverse ‘operette’ genere che con ogni probabilità le consentiva di utilizzare le sue specifiche conoscenze. Tra queste Cendrillon ispirata alla fiaba originale di Perrault una scelta forse condizionata anche dalle sue interpretazioni della Cenerentola di Rossini per la quale scrisse anche il libretto ripercorrendo anche alcune scelte teatrali di Rossini, come la cattiva matrigna sostituita dal disordinato patrigno così come il travestimento del conte in un personaggio più umile.
La parte musicale è stata scritta per pianoforte, cosa che ne esalta i contenuti ‘domestici’ della rappresentazione con una parte vocale molto impegnativa frutto delle sua non comune esperienza di cantante che si riverbera soprattutto verso le quattro parti principali femminili, Cendrillon, le sorelle Armelinde e Maguelonne assieme a La Fée. L’opera si presenta come una vera e propria ‘operetta’ con una cospicua parte recitata, diverse arie di bravura e pezzi d’insieme il tutto frutto di una non comune ‘leggerezza’ influenzata con evidenza dal variegato mondo musicale della Parigi dei primi del ‘900, città nella quale fu composta e rappresentata il 23 aprile 1904, nel salone della casa parigina della Viardot.
L’opera è stata eseguita nella versione ritmica italiana di Vincenzo De Vivo ed affidata ai giovani artisti di “Fabbrica”, lo Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma offrendo loro la possibilità di rafforzare la propria esperienza per ognuna delle loro specifiche professionalità.
La regia dello spettacolo è stata affidata ad Antonella Lo Bianco che ha concepito una messa in scena che ha voluto mettere in risalto, riuscendoci, le peculiarità domestiche di questa composizione superando anche alcune difficoltà oggettive dovute alle dimensioni della sala del Teatro Nazionale, ampie per una operazione del genere. L’impianto scenico era caratterizzato da una felice ‘semplicità’ e completamente dedicato alla comprensione dell’azione scenica quindi scevro da tutte le stranezze dei registi di oggi che con una certa regolarità pregiudicano i contenuti delle opere e le prescrizioni degli autori. Il tutto grazie ai movimenti scenici della regia della Lo Bianco, alle scene di Agnese Falcarin, ai costumi di Mario Celentano e alle luci di Giulia Bandera. Nel complesso una messa in scena piacevole anche se c’è da dire che (forse e spesso) era poco luminosa.
Cospicua anche la parte danzata con la coreografia creta da Giovanni Castelli ed interpretata dagli allievi della Scuola di Danza dell’Opera di Roma diretta da Eleonora Abbagnato con movimenti d’insieme bene in linea con i contenuti salottieri dell’opera. Nello specifico hanno partecipato i danzatori Carolina Beni, Damiano Felici, Flavia Fiume, Erika Melcarne, Rebecca Papi, Rosy Porta, Gabriel Sarullo, Michael Settanni e Federico Vitali.
Per quanto riguarda la parte cantata gli interpreti scelti sono riusciti a superare quelle difficoltà poco prima accennate. Nei ruoli femminili si sono distinte le due sorelle, il soprano Valentina Gargano Maguelonne e la georgiana Ekaterine Buachidze dalla calda voce di mezzosoprano, Armelinde. Di rilievo le altre due cantanti femminili, i soprani Margaux Frohlich La Fée e Mariam Suleiman Cendrillon entrambe salutate al termine della recita con cospicui applausi.
Nelle parti maschili convincente Mattia Rossi Le Baron de Pictordu così come Eduardo Niave Le Prince Charmant, Nicola Straniero Le Comte Barigoule e Spartak Sharikadze per il personaggio Le Portrait prevalentemente mimico. Nella parte pianistica, relativamente alla recita del 28 maggio alla quale abbiamo assistito, si è distinta la pianista Zenoviia-Anna Danchack. La direzione musicale dello spettacolo è stata affidata a Carlo Donadio che ha offerto, grazie alla sua comprovata esperienza, una esecuzione del tutto in linea con i contenuti e i valori musicali dell’opera.
Uno spettacolo che nel complesso, proprio per le sue caratteristiche di base, può servire da modello per un diverso modo di eseguire l’opera, quello di utilizzare le risorse interne del teatro per raggiungere così quel ‘teatro stabile’ adottato in molte piazze europee, soprattutto quelle di lingua tedesca, che produce buoni risultanti in termini di coinvolgimento del pubblico e di diffusione della musica e del teatro d’opera oltre a ben evidenti economie di gestione.
Al termine della recita lunghi e convinti applausi da parte del pubblico convenuto numeroso presso il Teatro Nazionale.
Claudio LISTANTI Roma 5 Giugno 2024