di Francesco CARACCIOLO
La chiesa di San Zaccaria a Venezia
Venezia dal passato millenario, è stata da sempre una città cosmopolita e multiculturale, ponte tra Oriente e Occidente. Nel 1500, dopo una lunga attività milanese, si era fermato anche Leonardo da Vinci. Nel 1516 la Serenissima istituiva a Cannaregio il primo ghetto[1] ebraico della storia: era un modo per controllare una comunità notevolmente cresciuta di numero. Successivamente, col precipitare degli eventi storici, tra cui la caduta della Repubblica di Firenze ad opera dei Lanzichenecchi di Carlo V, la Serenissima riuscì a mantenere la propria autonomia politica: nel momento in cui i grandi Stati nazionali europei consolidavano il proprio prestigio internazionale,Venezia ribadì la sua diversità che le derivò sia dalla sua antica storia che dal rapporto privilegiato con il lontano Oriente bizantino.
Agli inizi del Cinquecento il ricco patriziato veneziano, formato in gran parte da mercanti, armatori e banchieri, conobbe uno dei momenti di maggior splendore economico. Assistiamo ad una intensa attività edilizia sia religiosa che civile, specchio di una società che amava circondarsi di una raffinatezza che si traduceva soprattutto nel collezionismo umanistico nonché in un maggior stimolo artistico accresciuto dall’importazione di stampe e di dipinti fiamminghi e tedeschi[2]. In questo clima di grande fermento culturale ed edilizio si colloca il progetto della chiesa di San Zaccaria, dalla storia molto singolare, che scopriremo insieme.
La decorazione scultorea della facciata
Ubicata nel campo omonimo, San Zaccaria, poco distante dalla riva degli Schiavoni, ha origini antiche : fondata nel IX secolo[3] fu completamente ricostruita tra il 1444 e il 1515. L’architetto Antonio Gambello iniziò la facciata portata a termine da Mauro Codussi. Nel corso dei secoli , il monastero benedettino delle monache di San Zaccaria divenne tra i più importanti della laguna tanto più che trovavano ospitalità le figlie dei nobili veneziani, le cui famiglie preferivano recluderle per evitare le spese della dote: da qui la leggenda che vedeva queste ragazze reagire in maniera ribelle e trasgressiva alla clausura forzata. Leggenda a parte, si sa che ogni anno il doge faceva visita al monastero durante la festività di Pasqua in segno di gratitudine poiché San Zaccaria aveva rinunciato ad un cospicuo spazio utilizzato come orto per far allargare Piazza San Marco. Un’altra leggenda sorta intorno a questo monastero narra di un incendio divampato nel 1106 in cui persero la vita cento monache rifugiatesi nei sotterranei della chiesa.
Ritornando all’aspetto decorativo della chiesa, come già accennato, assume grande rilevanza l’intervento architettonico dell’architetto bergamasco Mauro Codussi, proto di San Zaccaria dal 1483, a cui si deve il rinnovamento architettonico veneziano in direzione rinascimentale , a partire dal suo capolavoro, la chiesa di San Michele in Isola che faceva parte del complesso conventuale fondato dai Camaldolesi nel 1212. Invece, San Zaccaria mostra un impianto più monumentale attraverso una facciata a più ordini sovrapposti in cui si combinano elementi diversi ma coerenti quali pilastri, nicchie, colonnine e paraste binate. Il basamento esprime ancora uno stile gotico in quanto portato a termine dal Gambello, mentre il resto della facciata è mossa da una maggiore articolazione di pieni e di vuoti.
Descrizione
Primo registro:decorazione a tarsie marmoree a comporre una griglia decorativa mentre il resto della facciata è in pietra d’istria; agli angoli dei contrafforti si elevano delle eleganti colonne tortili, mentre al centro delle due campate sono incastonate coppie di profeti tra festoni e frutti sorretti da putti. Infine il portale centrale è inquadrato da due robuste paraste con decorazione a candelabre (grottesche);
secondo registro:teoria di archi a tutto sesto che accolgono nicchie tranne quattro aperture finestrate che corrispondono alle navate laterali; questo livello non è ancora da ascrivere al Codussi poiché la modulazione degli elementi architettonici risente dell’impostazione delle cornici dei polittici del Trecento e del Quattrocento ( possibile intervento da parte di Antonio Vivarini);
-si sovrappongono altri due stretti ordini conclusi ai lati da timpani curvilinei secondo lo stile del Codussi, mentre al centro si aprono tre finestre che si restringono in alto nell’ordine di due aperture ad arco a tutto sesto;
-un altro livello molto stretto con due finestre arcuate tra colonnine binate sopra il quale si erge il grande timpano ad arco, motivo presente nella Scuola Grande di San Marco dove lavorò il Codussi insieme a Pietro Lombardo. La facciata ,ingentilita da questi elementi rinascimentali di ascendenza albertiana, risulta tripartita da contrafforti in basso, mentre a partire dal terzo ordine si alternano coppie di colonnine binate,pilastri,e ancora coppie di colonne ma questa volta più esili.
Le sculture di Alessandro Vittoria
L’immagine riportata in alto mostra un giovane Alessandro Vittoria (1525-1608), personalità di spicco nell’ambito del Manierismo veneziano, qui ritratto da G.B. Moroni, grande ritrattista della scuola lombarda del pieno Cinquecento. Il Vittoria, scultore, decoratore e medaglista, di origini trentine, approda a Venezia a soli 18 anni nel 1543, in un milieu artistico dominato dalla personalità di Jacopo Sansovino, presso la cui bottega il giovane Vittoria lavorerà a partire dal rinnovamento del coro della Basilica di San Marco e successivamente nel cantiere della Libreria Marciana. Alessandro lavorerà anche a Vicenza , nella fabbrica palladiana di Palazzo Thiene, essendo stato impegnato nella decorazione di alcune sale al pianterreno del palazzo del facoltoso Marcantonio Thiene a partire dal 1551[4]: la cosiddetta sala dei Cesari, recante un soffitto ottagonale, è caratterizzata da un imponente apparato decorativo in cui si inseriscono i busti degli imperatori eccezion fatta per il ritratto contemporaneo di Enrico II di Francia. Tuttavia il capolavoro di Alessandro Vittoria è il San Sebastiano della chiesa di San Francesco della Vigna, dalle forme serpentinate e contorte, memore della michelangiolesca scultura dello schiavo morente. Per ragioni di tempo non si riesce ad analizzare la grande mole di opere del Vittoria ma intendo riassumere i caratteri precipui dell’arte sua: virtuosismo di matrice manieristica; licenza dalla regola (Vasari); apparato decorativo ispirato dal repertorio delle grottesche; nella scultura predominano figure allungate, serpentinate, avvitate e sinuose.
Statuetta di San Zaccaria
Fa da pendant ad un’altra statuetta di San Giovanni Battista, entrambe poste sopra delle acquasantiere all’interno della chiesa di San Zaccaria. Il San Giovanni Battista del 1551 denota un linguaggio ormai autonomo e maturo del giovane Vittoria, il quale tenne per sé quest’opera fino alla morte lasciandola per testamento alle monache di San Zaccaria, con la raccomandazione di prestare grande attenzione alla fragilità della statuetta, attualmente danneggiata in più punti. Il volto del santo appare concentrato ed assorto mentre le membra sono allungate secondi gli stilemi del Parmigianino, da cui il Vittoria trarrà ispirazione: altre fonti d’ispirazione per il Vittoria sono il Sansovino, Michelangelo e Paolo Veronese. Con il lascito testamentario di Alessandro, giunse anche la statuetta di San Zaccaria[5] , non più rintracciabile : nell’inventario post mortem si specifica che la statua fosse in terracotta. Molto probabilmente la statua in terracotta venne modellata dall’artista agli inizi del 1600, in concomitanza con la decisione di destinare il Battista alle monache di San Zaccaria. La figura in marmo che sovrasta l’altro fonte battesimale in chiesa, a pendant di quello con l’immagine del Precursore,si deve ritenere di conseguenza una derivazione posteriore: Lorenzo Finocchi Ghersi, cui si deve la ricostruzione della vicenda ha avanzato una datazione tardo settecentesca.
Cenotafio di Alessandro Vittoria
Lo scultore morì il 27 marzo 1608 all’età di ottantatre anni e venne seppellito all’interno della chiesa di San Zaccaria dove fu eretta la tomba con lapide e un cenotafio riccamente scolpito, progettato dallo stesso Vittoria intorno al 1576. Al centro dell’edicola-cenotafio si erge il busto ritratto dello scultore, eseguito da lui stesso e di cui esiste anche un modelletto in terracotta al Victoria and Albert Museum di Londra; in basso, si legge un’iscrizione in latino che recita: ALEXANDER VICTORIA QUI VIVENS VIVOS DUXIT E MARMORE VULTUS . Ai lati, due eleganti figure femminili ,allegorie della pittura e dell’architettura reggono un timpano mistilineo al centro del quale si incunea una terza figura allegorica, la scultura. Ai lati del cornicione del timpano siedono due putti, mentre sotto l’iscrizione compare uno stemma con una volpe rampante e ai lati , in basso, due teste di angeli alati. Il busto del Vittoria, risalente all’ottavo decennio del Cinquecento, mostra notevoli affinità, sia nella postura di tre quarti che nell’impostazione classica, con i coevi ritratti di Alessandro Maganza, pittore vicentino di cui propongo l’immagine di Giovanni Battista Imperiali, medico e filosofo vicentino del ‘500.
Francesco CARACCIOLO Vicenza 11 settembre 2022
NOTE
[1] Ghetto è una parola veneziana entrata nell’uso comune. Significava fonderia o getto,da cui il riferimento all’area in cui furono insediati gli ebrei nel 1516,dopo che le funzioni produttive si spostarono all’Arsenale.
[2] Nel 1506 il pittore A. Durer aveva dipinto la pala raffigurante la Festa del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo in Rialto,ora alla Narodni Galerie di Praga.
[3] Le prime notizie certe riguardanti l’esistenza di una comunità monastica sono fornite dal testamento del doge Giustiniano Partecipazio,redatto nel 829.
[4] AA. VV. Palazzo Thiene, sede storica della Banca Popolare di Vicenza , Skira Editore , Ginevra-Milano, 2007,pag. 195
[5] L. Finocchi Ghersi, Catalogo di Alessandro Vittoria, decoratore e scultore (1525-1608), Scripta Edizioni,2020,pag.6
Bibliografia essenziale