di Isabelle ADRIANI
Pubblichiamo la seconda puntata della Storia del Cinema di Isabelle ADRIANI, attrice, giornalista, scrittrice, collaboratrice di About Art. Per rileggere la prima puntata pubblicata (https://www.aboutartonline.com/2018/09/10/parla-una-attrice-intellettuale-la-storia-del-cinema-raccontata-da-isabelle-adriani-prima-parte/)
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La CINEPRESA
La Storia del Cinema è legata a doppio filo alla storia degli strumenti che ‘fanno’ il cinema, come la macchina da presa cinematografica. Comincerò raccontandovi delle macchine cinematografiche a pellicola, poi parleremo del digitale che sta prendendo sempre più piede ormai.
La nascita del cinema come dicevamo nella prima puntata, viene fatta risalire al 28 dicembre 1895, data della storica serata dei fratelli Lumière al Gran Café di Boulevard des Capucines. I Lumière inventarono una macchina da presa, che poteva proiettare le immagini. All’inizio il filmato non aveva suoni, non aveva colore, era soltanto un puro succedersi di luci ed ombre che davano il movimento. Fino ad allora esisteva soltanto la fotografia, che fissava una immagine. Lo spettacolo cinematografico prese avvio anche in Italia nel 1896, quando a Torino venne aperta la prima sala di proiezione. Per fare il cinema erano necessari i proiettori e le macchine per riprendere le scene. Le cineprese erano pesanti, ingombranti, complicate. Era necessario inventare e costruire macchine semplici, leggere, trasportabili. Ed è così che nacque la cinepresa per amatori. All’inizio esistevano solo formati professionali: 28mm, 22mm, 17,5mm e 15mm. Secondo alcuni il primo inventore di piccolo formato fu Birt Acres che nel 1898 produsse un film con il formato 17,5mm e lo utilizzò con una cinepresa che chiamò Kineopticon, per altri invece, fu Léon Gaumont, che il 1° giugno del 1900, produsse un film largo 15mm, con le perforazioni al centro (per il trascinamento della pellicola). Ma è necessario arrivare al 1921 per vedere le vere prime cineprese, che anche un semplice amatore poteva utilizzare. E ciò si verificò con l’avvento del formato 9,5mm. Nel 1921 Charles Pathé (nato a Vincennes, Francia, nel 1863) iniziò la produzione di film nel formato 9,5mm, che aveva la particolarità di avere i fori nel centro; contemporaneamente la sua società mise in vendita l’apposito proiettore, denominato “Pathé Baby“. Pesava poco solo 0,650 kg. ed aveva misure contenute (42x105x100 mm), era munita di un obbiettivo Roussel Kynor 1:3,5/20mm. Fu disegnata da Ferdinand Zecca, disegnatore, ipiegato alla Pathe’. La macchina era costruita in Bachelite (dal nome del suo inventore belga Leo Hendrik Baekeland) e conteneva 8,5 metri di film e utilizzava il formato 9,5mm. Il formato 9,5mm ebbe uno straordinario successo, ed immediatamente altre aziende si misero a produrre cineprese adatte a questo formato: Argus, Campro, Coronet, Dekko, Midas, Midget, Miller, Pathéscope (la succursale inglese della Pathé) ed altre ancora, come le famose Eumig e Ditmar in Austria, Bolex in Svizzera, Lehmann e Nizo in Germania. Il formato 9,5mm fu ben presto affiancato dal 16mm nel 1923 e dall’8mm nel 1932, grazie a George Eastman, fondatore della Kodak. Nel 1923 infatti la Kodak introdusse il formato 16mm, che iniziò l’era della filmografia amatoriale. L’anno successivo le macchine Kodak furono dotate di un meccanismo che sostituì la vecchia manovella per l’avanzamento della pellicola. Nel 1929 la Kodak introdusse il primo film con il sonoro. Nel 1932 si verificò un’altra rivoluzione: la Kodak introdusse infatti il formato 8mm in bianco e nero, che permise a moltissimi di avvicinarsi a questo hobby. Nel 1935 venne prodotta per la prima volta una pellicola in formato 16mm a colori, la famosa “Kodachrome“. Bastò un solo anno perchè anche gli amanti dell’8mm fossero dotati di film a colori. Nello stesso anno la Kodak introdusse anche il sistema di caricamento delle cineprese: la cartuccia. Da allora fu un susseguirsi di miglioramenti, di introduzione di nuovi accorgimenti meccanici ed ottici, di nuovi formati (single 8mm, double8mm e super8mm).
Per il Cinema, la necessità di scattare più fotogrammi al secondo significava che il congegno tecnico doveva far scorrere velocemente la pellicola attraverso la macchina. Calcolando 24 fotogrammi al secondo, per un solo minuto di ripresa, ci volevano oltre 27 m di pellicola a 35 mm, le cineprese cinematografiche sono dunque equipaggiate con caricatori che possono contenere pellicole da ben 122 o 305 m. Perché scorrano agevolmente su rotoli così lunghi e per un riavvolgimento più agevole, le pellicole devono avanzare senza interruzioni, ma devono anche muoversi in sequenza per permettere l’esposizione di ciascun fotogramma e l’effettuazione dei singoli scatti. Il trascinamento della pellicola è permesso da uno o più rocchetti dentati attorno ai quali essa gira trattenuta nei denti da rulli pressori; i denti dei rocchetti si agganciano alla perforazione lungo uno o entrambi i lati della pellicola, facendo in modo che questa scorra a una velocità costante. Una finestra è una piastra metallica con un’apertura rettangolare, contro la quale la pellicola viene mantenuta piana da dietro con un’apposita flangia di pressione a molla. Davanti alla finestra, l’obiettivo mette a fuoco sulla pellicola, l’immagine capovolta del soggetto inquadrato attraverso l’apertura della finestra, che coincide con i contorni del fotogramma sulla pellicola. Nelle macchine da presa, la pellicola scorre in verticale, e l’altezza di ogni fotogramma, più lo spazio tra questo e il fotogramma successivo, corrisponde alla lunghezza di quattro fori.
Molte cineprese sono dotate anche di una piccola videocamera incorporata, che trasmette l’immagine sul vetrino smerigliato a un sistema televisivo a circuito chiuso che permette di controllare e rivedere le immagini. La qualità delle immagini proiettate dipende dalla superficie del fotogramma. Per uso professionale, in cinematografia si usa normalmente una pellicola a 35 mm; quella a 16 mm è destinata al documentario e alle riprese televisive. A volte viene usata anche una versione a 16 mm, la Super 16, utilizzando una maggiore superficie del fotogramma: l’immagine viene poi ingrandita a 35 mm per la distribuzione nel circuito cinematografico. In alcuni cinema specializzati vengono proiettate pellicole addirittura a 70 mm, per una resa migliore dell’ immagine. I molti metri di pellicola girati vengono poi trattati in grandi macchine a ciclo continuo che sviluppano i negativi, i quali verranno poi trasferiti su pellicola positiva da una stampatrice. La stampa viene fatta generalmente con dispositivi a contatto continuo: i negativi già sviluppati e le pellicole non impressionate vengono fatte scorrere a contatto sotto una sorgente luminosa. La luce passa attraverso le immagini negative che vengono esposte direttamente sulla pellicola di stampa che verrà poi sviluppata per produrre le immagini positive. Altri dispositivi per la stampa consistono di un proiettore dotato di lente, attraverso cui l’immagine negativa viene proiettata direttamente sulla pellicola di stampa nella finestra di una speciale macchina da presa. Questo tipo di stampatrice ottica, o ‘Truka’, può essere usata per numerosi scopi, ad esempio per l’ingrandimento da un negativo a 16 mm a una stampa a 35 mm o per gli effetti speciali. La luce usata per la stampa è prodotta da una speciale sorgente luminosa aggiuntiva, dove le quantità di luce blu, verde e rossa possono essere regolate singolarmente per controllare sia l’esposizione sia l’equilibrio tonale di ciascuna inquadratura. Attraverso la correzione di piccole differenze tra un’inquadratura e l’altra, si ottiene una precisa continuità fotografica. Tale tecnica di controllo della luce viene definita come “graduare e regolare la stampa”. La prima stampa dei fotogrammi viene sottoposta al regista appena possibile, affinché egli possa controllare che le scene siano state girate correttamente. Le stampe sono chiamate “giornalieri” e dopo essere state visionate vengono usate dai montatori per assemblare le inquadrature nelle cosiddette copie lavorazione, in cui esse vengono unite o “giuntate” nel giusto ordine, determinando nel contempo anche i punti esatti in cui tagliare tra un’inquadratura e l’altra.
Oggi però si usa soprattutto il Digitale, il termine deriva dall’inglese digit, che significa cifra, che in questo caso si tratta del codice binario, ovvero un sistema numerico che contiene solo i numeri 0 e 1, che a sua volta deriva dal latino digitus, che significa “dito”: con le dita infatti si contano i numeri. Le informazioni codificate secondo le cifre binarie sono elaborate dai computer. Le immagini o i suoni o un video possono essere digitalizzati in modo tale che, attraverso uno scanner, linee e colori divengono combinazioni di zero e uno. La codifica binaria, il bit, riguarda qualunque tipo di informazione: numeri, testo, immagini, suoni, video. Il digitale ha coinvolto anche il mondo del cinema: alla pellicola di poliestere per registrare il flusso audiovisivo si è sostituita la telecamera digitale o direttamente il computer. La digitalizzazione del film è un processo con cui un film che è stato girato su pellicola viene trasferito su un supporto digitale. È essenziale dotarsi di apparecchiature speciali che catturano le immagini fotogramma per fotogramma per impedire l’alterazione delle tonalità di colore delle riprese. Il negativo con le riprese viene inserito nel computer. Successivamente, quando l’intero film è stato trasferito su file, si procede per modificare il materiale in post produzione: fotoritocco, animazione bi e tridimensionale, effettistica. Un vantaggio della digitalizzazione è quello di poter effettuare correzioni su un’immagine; inoltre è possibile assistere alla modifica delle immagini in diretta e partecipare alla trasformazione.
Il passaggio al cinema digitale ha costituito una vera rivoluzione, infatti con il digitale si può dire addio alla pellicola che però ha sempre costituito il simbolo del cinema. Tale cambiamento è dipeso anche da un notevole risparmio sui costi, l’immagine digitale infatti presenta numerosi vantaggi economici. Le telecamere digitali costano meno e sono meno voluminose delle macchine da presa; gru e carrelli sono meno pesanti e anche la steadicam, (imbrigliatura che permette di legare la telecamera al corpo dell’operatore), realizza le riprese con più fluidità e scioltezza. Inoltre i prezzi dei supporti di registrazione sono meno alti rispetto a quelli della pellicola; per una piccola produzione indipendente, è più conveniente girare in digitale invece che in pellicola. Un film in digitale può essere effettuato in quattro mesi: sei settimane per prepararlo, sei per girarlo e sei di edizione e post produzione. Con il digitale inoltre è possibile usare il set a 360 gradi; essendo le necessità di illuminazione della scena molto più basse rispetto alla pellicola si possono usare molte camere contemporaneamente. Inoltre la preparazione del set è più veloce e meno rigida nei confronti di possibili errori di allestimento o illuminazione, ai quali è possibile rimediare in post produzione. Il video digitale è già pronto per la post produzione digitale, dove è possibile praticare la correzione del colore, modificare fondali, cancellare dettagli sbagliati e accedere alle tecniche del rendering, del morphing, del composing e agli effetti speciali. Nel cinema di consumo, il digitale permette con il copia-incolla di moltiplicare gli oggetti senza muovere le comparse, nel caso in cui serva una scena di massa non troppo definita. Inoltre è possibile risolvere la gestione di animali talvolta pericolosi. Il digitale ha avuto successo anche grazie alla possibilità in fase di produzione di dare riscontri anticipati sulla qualità del materiale girato. Mentre sono in corso le riprese, sul monitor di controllo del film è possibile vedere la scena e la resa finale del girato. Tutto ciò è un grande vantaggio per il regista, per il direttore della fotografia e per i tecnici della post produzione, i quali sono in grado di lavorare immediatamente sugli effetti speciali e sullo sfondo.
Per contro però, la pellicola di celluloide permette una miglior riproduzione dei colori (ed una maggior profondità degli stessi), oltre a garantire una profondità di campo nelle riprese, che il digitale, per motivi tecnici, non può riprodurre. In definitiva, la decisione sul formato da adottare dipende dal film maker o produttore del film in base a determinate scelte stilistiche, budget, abilità personali, attrezzatura disponibile, obiettivi distributivi.
Personalmente preferisco di gran lunga la cara vecchia pellicola, e mi trovo in buona compagnia: alcuni registi, tra cui J.J. Abrams e Refn, si sono schierati in prima linea per convincere i capi degli studios Warner Bros, Paramount, Universal e Disney, a trovare una soluzione per salvare un patrimonio artistico unico. Il loro impegno ha portato alla firma di un accordo fondamentale che getta le basi per contrastare una graduale estinzione della pellicola. Una lettera aperta di Martin Scorsese sottolinea che “La pellicola, ancora oggi, offre una tavolozza visuale più ricca di quella dell’Hd“; anche Tom Cruise preferisce girare con la pellicola, ma si sa la tecnologia progredisce e si va verso la miniaturizzazione di tutto e forse anche di tutti.