di Nica FIORI
Miracolosamente sopravvissuta quasi integra alle violenze del tempo e degli uomini, la Colonna Traiana si eleva superba nella sua marmorea bellezza sul limitare nord-occidentale del Foro di Traiano, come simbolo perenne di gloria militare, di propaganda politica, di grandezza artistica e ingegneristica.
A distanza di 1910 anni dalla sua inaugurazione, avvenuta il 12 maggio del 113 d.C., quest’iconica opera viene celebrata nella mostra “La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo”, che si tiene nel II ordine del Colosseo fino al 30 aprile 2024.
L’esposizione, organizzata e promossa dal Parco archeologico del Colosseo e dal Museo Galileo – Istituto e Museo di Storia della Scienza con la curatela di Alfonsina Russo, Federica Rinaldi, Angelica Pujia e Giovanni Di Pasquale, dà avvio a un percorso condiviso di tutela e valorizzazione, che prevede progetti di ricerca da allargare a istituzioni nazionali e internazionali, tenendo conto che questo monumento è stato al centro, in età moderna, dell’interesse di diverse nazioni europee.
Pensiamo, in particolare, ai calchi che per primo Francesco I di Francia fece eseguire nel 1540-45, emulato in seguito da Luigi XIV nel 1665-70 e ancora da Napoleone III, che tra il 1861 e il 1862 promosse l’esecuzione integrale del calco, operazione affidata ai formatori vaticani messi a disposizione da Pio IX. E in seguito i calchi “invasero” pacificamente le collezioni dei grandi musei europei, salvo poi essere dimenticati nei magazzini (e talvolta divenuti non visibili da anni, come è successo a Roma per quelli del Museo della Civiltà Romana, chiuso al pubblico dal 2014). L’intento delle riproduzioni in gesso, alcune delle quali sono esposte nella mostra, era quello di fare propri i valori rappresentati nel monumento e allo stesso tempo di rendere più leggibile il fregio.
È proprio grazie ai calchi, cui è dedicata un’interessante sezione, ai disegni accurati di artisti quali Jacopo da Ripanda (I metà XVI secolo) e Pietro Santi Bartoli (XVII secolo), e in epoca più recente ai cataloghi fotografici, che possiamo studiare con attenzione le scene suggestive che un anonimo Maestro delle imprese di Traiano (con i suoi aiutanti) ha fissato nel marmo, in un incredibile rilievo spiraliforme che si estende lungo il fusto per una lunghezza lineare di 200 metri, facendoci conoscere, immagine dopo immagine, le vicende di una storia incancellabile.
Ben 155 quadri descrivono le due campagne belliche condotte da Traiano contro i Daci (nel 101-102 e nel 105-106 d.C.), separate da un’alata Vittoria che annota sullo scudo il racconto degli avvenimenti. Sono ricorrenti le scene di battaglia, di sacrificio, di allocuzione alle truppe, di costruzione di accampamenti; frequente è la figura di Traiano, presenza rassicurante per le sue truppe. La narrazione scultorea tocca punte altamente drammatiche nella raffigurazione del suicidio dei Daci e del loro re Decebalo, colto nell’atto di tagliarsi la gola con un pugnale ricurvo, proprio mentre sta per giungere l’ufficiale romano incaricato della sua cattura.
Non possiamo non accennare a questo punto che, in contemporanea con l’esposizione del Colosseo, è possibile approfondire la conoscenza della Dacia (corrispondente all’attuale Romania e Moldavia), prima e dopo la conquista romana, in una bella mostra che si tiene nel Museo Nazionale Romano (Cfr. https://www.aboutartonline.com/dacia-lultima-frontiera-della-romanita-i-tesori-archeologici-della-romania-in-mostra-nel-museo-nazionale-romano-terme-di-diocleziano/) e ci piace, inoltre, ricordare che, a due passi dallo stesso Colosseo, possiamo ammirare grandi statue di prigionieri Daci nell’Arco di Costantino (statue che un tempo ornavano il Foro di Traiano).
Nella storia romana sono ben poche le personalità che hanno lasciato di sé un ricordo positivo come Traiano. Tutte le doti che si richiedevano all’uomo di stato, dall’esercizio autorevole della sovranità alla moderazione dell’agire, dalla gloria militare alla saggezza legislativa, dal mecenatismo al rispetto dei valori civili, erano concentrate in questo imperatore, tanto da essere idealizzato nei secoli come l’optimus princeps per eccellenza. Associato al trono dall’anziano Nerva con un calcolato disegno politico nel 96, due anni dopo, alla morte del collega, egli divenne il primo imperatore originario di una terra di provincia (era nato nella Betica, una regione della Spagna), frutto maturo di un processo che aveva portato le aristocrazie locali nel Senato di Roma, e quindi al potere, indirizzando così l’impero verso una dimensione universale. Anche la sorte fu benevola con lui, perché la morte lo colse, nel 117, subito dopo aver realizzato il sogno di intere generazioni: la sconfitta dei Parti e l’espansione in Oriente sulle orme di Alessandro Magno. Si trattò, in realtà, di un successo effimero, perché già il suo successore Adriano abbandonò l’area appena conquistata della Mesopotamia, preferendo il consolidamento della situazione preesistente.
Il principato di Traiano coincise con la massima espansione dell’Impero, eppure la tradizione medievale ha visto in lui soprattutto l’uomo capace di rendere giustizia. Dante, pur così esigente nei riguardi delle personalità pagane, non esita a collocarlo nel Paradiso, facendo sua la leggenda per la quale, grazie alle preghiere di papa Gregorio Magno, l’imperatore sarebbe stato richiamato in vita per uno speciale volere della Provvidenza divina, in modo da poter abbracciare la fede cristiana. E già nel Purgatorio accenna a lui, immaginando che nella parete della cornice della montagna del Purgatorio vi sia un fregio marmoreo che ricorda proprio quello della Colonna Traiana:
“Quiv’era storiata l’alta gloria, / del roman principato, il cui valore / mosse Gregorio alla sua gran vittoria; / i’ dico di Traiano imperadore …” (Purgatorio X, vv.73-76).
Sin dalla sua progettazione e costruzione la Colonna rappresentò una sfida per l’ingegno umano, a partire dall’estrazione del marmo dalla cava di Carrara, quindi il trasporto via terra, via mare e via fiume, e infine la lavorazione e posa in opera. I blocchi di marmo bianco che costituiscono il monumento sono stati scavati internamente in modo da ricavarvi una scala a chiocciola, illuminata da feritoie, che consente di salire sulla sommità. L’alto basamento, decorato con trofei di armi, aveva pure la funzione di cella funeraria: vi erano riposte, entro un’urna d’oro, le ceneri dell’imperatore.
Incastonata tra le due biblioteche che sorgevano ai lati della Basilica Ulpia, la colonna coclide era coronata sul capitello da una statua bronzea dell’imperatore, mentre ora è San Pietro con le sue chiavi che ci guarda da lassù. La trasformazione attuale in chiave cristiana è dovuta a Domenico Fontana e risale all’epoca di Sisto V, insieme a quella della Colonna Antonina, a essa stilisticamente simile, che è stata “cristianizzata” con la statua di San Paolo. Ricordiamo che il Bernini aveva accarezzato l’idea di riunire la Colonna con la sua gemella, mentre Napoleone voleva portarla a Parigi, ma per fortuna rinunciò e si limitò a riprendere il modello nella colonna di Place Vendôme.
La figura di Apollodoro di Damasco, che progettò questa meraviglia nell’ambito del Foro di Traiano, realizzato tra il 107 e il 113 d.C. con i proventi delle guerre daciche, è ampiamente ricordata nella seconda sezione della mostra, intitolata “Apollodoro e Traiano”.
Pur trattandosi di un’architettura celebrativa, il complesso del Foro traianeo è sicuramente tra i più suggestivi dell’età imperiale e si distingue nettamente dagli altri fori per l’originalità delle concezioni artistiche del suo costruttore. Già artefice del grande ponte sul Danubio che aveva dato il via alla II campagna di Traiano contro i Daci (ponte del quale è esposto il plastico di un’arcata, dal Museo della Civiltà Romana), l’architetto siriano rivoluzionò l’assetto urbanistico dell’area tra il Campidoglio e il Quirinale, eliminando la sella che univa i due colli e un tratto delle mura serviane che sorgevano su di essa. L’altezza complessiva della collinetta rasa al suolo era di 40 metri, la stessa della Colonna Traiana, come ci fa sapere l’iscrizione sulla sua base.
Di Apollodoro non esistono ritratti ufficiali, ma è in mostra una copia in gesso (dal Museo della Civiltà Romana) di un suo presunto ritratto conservato alla Glyptothek di Monaco di Baviera.
Insieme alle riproduzioni dei rocchi cilindrici con le immagini fotografiche del fregio che si avvolgono intorno ai pilastri del Colosseo, sono in mostra i principali strumenti antichi utilizzati per l’estrazione dei blocchi di marmo, per il trasporto sulle navi lapidarie e per la messa in opera, assieme ai modelli ricostruttivi delle macchine da cantiere dell’epoca (gru, torri, ruote), realizzati da Claudio Capotondi, definito come il “novello Maestro delle Imprese di Traiano”. È suo anche un modello della Colonna sezionata, che rende perfettamente l’idea dell’interno dei 17 rocchi del fusto, in ciascuno dei quali sono scavati 8 gradini, avvolti come un’elica attorno all’asse centrale. Giustamente questo modello è accostato a quello della “vite idraulica” (una macchina utilizzata per sollevare l’acqua, attribuita dagli antichi ad Archimede), cui dovrebbe essersi ispirato Apollodoro.
Sono pure in mostra alcuni oggetti che alludono alla navigazione nel mondo antico, tra cui un anemoscopio in marmo, ovvero uno strumento per individuare la direzione del vento, risalente al II -III secolo d.C. (Musei Vaticani), un ceppo d’ancora in piombo e perfino un calco del celebre Rilievo del Porto di Traiano della Collezione Torlonia. Questo porto, nella località di Portus, costituiva la seconda fase di quello voluto da Claudio per sostituire l’approdo più antico di Ostia alla foce del Tevere, soggetto a continue insabbiature.
I rilievi esposti sono per lo più dei calchi in gesso, con qualche eccezione, tra cui quello in marmo del I-II secolo d.C. con “scena di costruzione”, rinvenuto a Terracina e prestato dal Museo Nazionale Romano, e il rilievo sepolcrale in marmo lunense del III sec d.C., raffigurante “scalpellini al lavoro”, proveniente dal Parco archeologico di Ostia antica.
Video e proiezioni su schermo realizzati dal Museo Galileo assieme a una grafica e a testi coinvolgenti, con molte citazioni delle fonti antiche, contribuiscono alla narrazione di una storia affascinante e a una maggiore comprensione degli oggetti esposti. A contribuire al racconto permanente della Colonna è stata anche realizzata una webAPP in italiano e in inglese e, grazie al coinvolgimento e alla collaborazione dell’Ambasciata di Romania, anche in lingua romena. Conclude il percorso di visita una camera immersiva, concepita e realizzata da Sergio Fontana, che permette ai visitatori di immergersi nei paesaggi della Dacia del II secolo d.C. e di ammirare il fregio della Colonna a grandezza naturale, con una qualità delle immagini in 3D mai raggiunta in precedenza.
La mostra ha un taglio indubbiamente didattico, che dà molto risalto alle macchine e alle tecniche messe in atto per creare una titanica opera d’arte, ma dà anche un certo spazio ai rilievi scultorei, che sono, come già detto, soprattutto calchi. Ovviamente per poter ammirare dal vero la Colonna, non rimane che percorrere la via dei Fori Imperiali e arrivare al Foro di Traiano, dove proprio di recente la Sovrintendenza Capitolina ha realizzato un’anastilosi della Basilica Ulpia, per far vedere un breve tratto di alzato del II ordine, le cui colonne prima giacevano in pezzi a terra.
Nica FIORI Roma 7 Gennaio 2024
Orari: tutti i giorni 8.30 – 16.30 fino al fino al 28 febbraio 2024; 8.30 – 17.30 dal 1° al 25 marzo; 8.30 – 19.15 fino al 30 aprile