di Alessandra IMBELLONE
Il 1 dicembre si conclude la mostra Luigi Billi Flashback opere 1992-2015, inaugurata il 19 ottobre nella Sala della Fontana del Palazzo delle Esposizioni. Curata da Patrizia Mania e Nicoletta Billi, la mostra propone per flashback le tappe più significative del percorso artistico di questo grande creativo, morto prematuramente otto anni fa e coincide con l’apertura del suo archivio online: https://archivioluigibilli.it/.
Protagonista di 30 mostre personali e partecipe a più di 40 collettive (fra queste la XII Quadriennale di Roma nel 1996, la VIII Biennale del Cairo nel 2001 e la LIV Biennale di Venezia nel 2011), Billi si è spento improvvisamente a Milano il 2 febbraio 2016. Mente originale e illuminata, è stato uno straordinario creatore di immagini e ha indagato con un linguaggio popolare e accessibile a tutti, basato sull’uso e il riuso della fotografia, nelle pieghe più riposte del contemporaneo.
Diplomatosi al Liceo Artistico di Genova, Luigi Billi si è poi iscritto alla facoltà di Psicologia dell’Università di Firenze, sua città natale, per trasferirsi a Roma nei primi anni Novanta ed entrare in contatto con il gruppo della rivista “Opening”, composto da Alberto Vannetti, Patrizia Mania, Lucilla Meloni, Domenico Scudero e Natalia Gozzano, gruppo che rimane suo punto di riferimento fino al decennio successivo.
Fotografie, fotoromanzi e pubblicità sono le fonti del linguaggio pop dei suoi primi lavori, come ad esempio la serie Inconsci collettivi. Dal 1992 sua tecnica prediletta è quella dello “stropicciamento” o “accartocciamento”: immagini ingrandite e rielaborate vengono in un secondo momento accartocciate e ri-distese in una poetica di “rifiuto e recupero” che diventa la sua cifra distintiva. Si tratta di una vera e propria strategia visiva così descritta dallo stesso artista:
“Stampate in bianco e nero le immagini vengono colorate e incerate, quindi fisicamente accartocciate come un foglio da gettare via. Riaperte su tela, conservano quell’ambiguità di segno caratteristica di chi e di cosa abbia subito un rifiuto a cui sia seguito un recupero: mantengono in sé la memoria di un danno e di un riscatto. Quindi, vita”.
Billi rielabora il concetto del ready-made, scavando nei repertori di immagini per svelarne significati inaspettati e ambivalenze al fine di indagare la complessa natura delle relazioni umane e l’inconscio collettivo. I lavori si strutturano in gran parte per serie o cicli: Untitled Kisses (1992-1993); Donne (1993–1995; 1998); Ho proibito a mio padre di chiamarmi figlio (1996); Hombres (1998); Cara mamma stiamo tutti bene. Caro babbo siamo tutti morti (2000); Eroi (2012–2013). Altro oggetto d’indagine è il concetto di “natura”, articolato in serie che indagano le diverse forme del reale e il concetto stesso di naturale: Paesaggi umani (1990); Naturae (2004); Cieli di bosco (2008–2012); Domestic Jungle (2012–2013).
Una delle serie prime serie è Untitled Kisses (1992-1993), i bigliettini/involucro dei Baci Perugina riprodotti ingranditi su stampa fotografica e presentati accartocciati.
“La serie dei Baci […] spiega bene alcuni aspetti della mia arte – dichiarava -: per esempio il tentativo di trasformare aspetti della cultura di serie B in cultura di serie A […] Mi interessava poi mantenere la carta stropicciata, per creare un dubbio: si trattava di un bigliettino buttato via o recuperato?”
Dopo l’indagine sul corpo femminile con la serie Donne (“1993, 1995, 1998), nel 1998 decide di misurarsi “con delle immagini del sesso a cui appartengo e protendo” e la sua attenzione si sposta così su un repertorio di immagini maschili proiettate come ombre (si noti l’ambiguità linguistica tra il castigliano e l’italiano, tra l’Uomo e l’Ombra) in messinscene dal tono teatrale. Sono gli Hombres, i suoi uomini/ombra interpretati dalle silhouettes di amici e sodali che impugnano “oggetti di cultura maschile. Armi per il corteggiamento, per la difesa, per l’aggressione. Strumenti utili alle arti e ai mestieri. Simboli ideologici e patriottici”.
9 Hombres Bevitore 1998 e Uomo con cappello-2011; 10 Hombres Coltello e Scala-1998
La serie Ho proibito a mio padre di chiamarmi figlio, presentata alla Quadriennale di Roma nel 1996, “aveva in origine un titolo diverso e più esplicito – confessa Billi -: divieti deformanti […] Ho vietato a mio figlio di credere in se stesso è l’esempio estremo di una manipolazione dell’altro che giunge al suo annichilimento. In questo caso la sola libertà concessa è quella di reiterare il genitore o di incarnarne i desideri”.
La consueta ironia e il capovolgimento di stereotipi lasciano qui il passo a un contenuto più drammatico e certamente autobiografico, quello della negazione dei diritti, delle identità violate e calpestate, del rifiuto e della non accettazione. E non si può non ricordare la lettera che Billi scrisse a Natalia Aspesi nel 1998 nella quale auspicava che
“la parte laica della nostra società non lasci soli gli omosessuali con il loro orgoglio, ma lo partecipino e lo condividano perchè togliere diritto di cittadinanza oggi ai gay può significare domani togliere lo stesso diritto ad altre minoranze sessuali, religiose, politiche”.
“Personalmente sono attratto dal senso democratico insito nella fotografia e dai suoi risultati”, sosteneva a proposito del suo punto di partenza per la creazione di immagini, insistendo sulla sua popolarità:
“per scattare una corretta istantanea non occorrono speciali preparazioni tecniche, specifici studi. E questo, se confrontato alla pittura (strumento classico delle arti figurative) rende il mezzo fotografico un’arte popolare, ad ampio spettro di utilizzo”.
“I fotografi professionisti mi considerano un dilettante. I pittori, un fotografo” dichiarava in un’intervista un anno prima della morte.
Alessandra IMBELLONE Roma 1 dicembre 2024