La digitalizzazione del patrimonio artistico comincia da Monreale: Discover Museum 2.0. Arte e Tecnologia al Museo Diocesano .

di Lisa SCIORTINO

Lisa Sciortino è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Palermo, ed è Dottore di Ricerca in Storia dell’Arte Medievale, Moderna e Contemporanea in Sicilia. È autrice di diverse monografie, tra cui La cappella Roano nel Duomo di Monreale: un percorso di arte e fede (2006); Monreale: il Sacro e l’Arte. La committenza degli Arcivescovi ed Emilio Murdolo pittore (2011); Il Duomo di Monreale (2012); Il Museo Diocesano di Monreale (2016); La porcellana bianca della collezione Renda Pitti. Inediti d’arte al Museo Diocesano di Monreale (2019); Emilio Murdolo. Temi iconografici nell’arte popolare siciliana e Figurazioni. Tommaso Buttitta e l’arte di lavorare il legno (2022). Ha pubblicato vari saggi in cataloghi e atti di convegno. Ha redatto numerose schede scientifiche in diversi volumi e cataloghi d’arte e curato varie mostre. Con questo articolo inizia la sua collaboarazione con About Art.

Il Museo Diocesano di Monreale, che da sempre mostra particolare attenzione alle innovazioni tecnologiche al fine di rendere la fruizione dell’arte più fluida, veloce, inclusiva e globale possibile, è stato selezionato per realizzare la digitalizzazione di una parte del patrimonio artistico che custodisce.

Fig. 1 Locandina del progetto Discovery Museum al Museo Diocesano di Monreale.

Il progetto, nato in sinergia con gli ingegneri della Ecubing per la creazione di un sistema digitale all’avanguardia, ha visto la realizzazione del Museo Virtuale del Diocesano: il Discover Museum 2.0[1] (Fig. 1). Regista della connessione tra la complessa programmazione informatica e chi scrive è stato l’arch. Francesco Ferla[2].

Il primo passo per l’avvio del progetto è stato individuare le opere d’arte, tra quelle in esposizione permanente, che racchiudessero in sé storia, simbologia, fede, diversità di materiali e tecniche di realizzazione, ma soprattutto che rispondessero alle esigenze pratiche della scansione in 3D. Sono stati quindi esclusi tutti i manufatti bidimensionali, come dipinti e paramenti, e quelli di piccole dimensioni, come gioielli, medaglie e monete.

La scelta degli oggetti, compiuta di chi scrive, ha seguito criteri filologici connessi al periodo storico, all’Arcivescovo di riferimento e alla tipologia di utilizzo. Manufatti rari, preziosi e adatti ad una narrazione multimediale per il pubblico attratto dalla storia, dall’unicità, dalla peculiarità stilistica e liturgica. Ogni opera selezionata, infatti, racconta qualcosa di diverso al fine di dare al fruitore quante più informazioni possibili, diversificate nel loro genere.

Per realizzare quanto descritto, si è proceduto a predisporre gli opportuni accorgimenti finalizzati a tutelare l’integrità delle opere oggetto di scansione in 3D e di realizzare tali scansioni al massimo della qualità che lo stato della tecnologia odierna offre.

La cappella Neoclassica del Museo Diocesano è stata scelta quale set fotografico del progetto, inibita alla presenza del pubblico che in questo modo non ha interferito con i lavori. Sono state posizionate luci artificiali controllate, necessarie per la ripetibilità dei processi di scansione. È importante, infatti, consentire di riprendere l’operazione per eventuali modifiche.

Le procedure di scansione sono state portate a termine utilizzando uno scanner a luce strutturata che proietta sull’oggetto un’immagine, un pattern, e calcola (dalla deformazione del pattern) la volumetria con complessi algoritmi matematici (Fig. 2).

Fig. 2 Progetto di digitalizzazione al Museo Diocesano di Monreale (Foto di Francesco Ferla).

La luce solare e quella infrarossa condizionano il comportamento dello scanner alterando i risultati, per questo motivo sono state utilizzate attrezzature fotografiche che hanno consentito l’illuminazione non diretta delle opere.

Al fine di tutelare al meglio i manufatti e tuttavia di ruotare l’oggetto sul proprio asse evitandone la manovra tattile, è stato predisposto un supporto girevole in legno, poggiato su un tavolo, per il quale si è preventivamente assicurata la completa stabilità e l’assenza di vibrazioni.

La prima fase è consistita nella creazione di un setup fotografico di partenza, con individuazione del materiale del modello (lucido, riflettente, con texture). Successivamente è stata eseguita la taratura dello scanner in funzione della luce scelta. La prima scansione ha suggerito come agire sulle luci esterne in maniera progressiva fino alla sua gestione. La fase di scansione è avvenuta a mano, alla massima risoluzione, modificando progressivamente i parametri in funzione del colore delle sezioni e della loro opacità. Per garantire una corretta collocazione spaziale degli elementi 3D, sono stati utilizzati dei markers (marcatori) circolari applicati alla base girevole in legno. In questo modo lo scanner riconosce i markers alla base e integra il riconoscimento della texture e della forma (Fig. 3).

Fig. 3 Progetto di digitalizzazione al Museo Diocesano di Monreale (Foto di Francesco Ferla).

Si generano quindi una serie di punti, ognuno dei quali ha una triade di informazioni spaziali. A scopo precauzionale, non sono stati applicati markers sull’oggetto d’arte da scansionare ma si è sopperito a tale assenza con una scansione più lenta e ripetuta in modo da azzerare, ad ogni ciclo, i punti non individuati dallo scanner nella sequenza precedente (Fig. 4).

Fig. 4 Progetto di digitalizzazione al Museo Diocesano di Monreale (Foto di Francesco Ferla).

Completata la fase di scansione, è stata eseguita una prima fase di pulitura delle imperfezioni e si è passati alla generazione delle MESH, poligoni che costituiscono il modello che, a questo punto, è pronto per l’esportazione nei diversi formati necessari per gli utilizzi finali, ovvero software di reverse engineering per integrazione parti mancanti o modifiche; software di modellazione 3D con generazione file .obj; software di texturizzazione avanzata e settario luci; esportazione in software di restituzione virtuale; esportazione in codice HTML; integrazione nelle App  (Fig. 5).

Fig. 5 Progetto di digitalizzazione al Museo Diocesano di Monreale (Foto di Francesco Ferla).

Tre reliquiari, tutti provenienti dalla Cattedrale, sono stati scelti per la scansione: il Cofanetto del XII secolo realizzato dagli orafi di Limoges in rame dorato e smalti champlevé; la Cassetta in avorio e legno del XV secolo opera della bottega veneziana degli Embriachi; lo Scrigno in legno e mistura attribuito a maestranze catalane della prima metà del XV secolo. Ciascuna di queste opere è diversa per dimensione, materiale, tecnica esecutiva, luogo di produzione, epoca, storia.

Il Cofanetto limosino[3] (Fig. 6) è un reliquiario costituito da placche di rame smaltate ed è un prodotto della cosiddetta Œuvre de Limoges realizzato con l’antica tecnica di smaltatura nota come champlevé secondo la quale alveoli venivano scavati sulla superficie metallica e riempiti di smalto vitreo dai colori opachi. Il manufatto era poi cotto fino alla liquefazione dello smalto e, una volta raffreddato, era levigato e lucidato.

Fig. 6 Orafi di Limoges, Cofanetto reliquiario, rame dorato e smalto champlevé, XII secolo, Monreale, Museo Diocesano.

Le sezioni non scavate della superficie, generalmente dorate, rimanevano visibili come contorno delle raffigurazioni di smalto. Questa tecnica, comparsa nell’arte celtica, si sviluppò nel Romanico impiegata per la decorazione di scrigni, placche e vasi. Le scene raffigurate sull’opera del Diocesano sono di carattere religioso: sul recto tre angeli e sulla copertura a spiovente l’Agnello Mistico affiancato da due figure alate. Sul verso, è una serie ripetuta di piccoli riquadri segnati da una “x” blu con lo sportellino che si apre e lascia vedere l’involucro sigillato con le reliquie. Ai lati sono figure stanti di santi. La produzione dell’Œuvre de Limoges è vasta e standardizzata pertanto la datazione dei manufatti è approssimata, soprattutto in assenza di fonti scritte. Il cofanetto di Monreale fu donato dal re di Francia assieme ad altri reliquiari alla Cattedrale normanna quale segno di riconoscenza per aver accolto una parte delle spoglie mortali di Luigi IX, morto crociato nel 1270, verosimilmente consegnate alla Basilica da Carlo d’Angiò. L’Inventario del 1684[4] cita l’opera come

un baguletto di ramo dorato all’antica dove vi sono diverse reliquie dentro un taffità rosso di peso onze due.

La Cassetta in avorio e legno del XV secolo[5] (Fig. 7), è opera della bottega veneziana degli Embriachi, citata nell’Inventario del 1684[6] come una

cassetta d’avolio biancha con diverse figure d’avolio con la reliquia di San Saturnino in taffità rosso.
Fig. 7 Bottega veneziana degli Embriachi, Cassetta reliquiaria con lo stemma del Cardinale Ludovico II Torres, avorio e legno, seconda metà del XVI secolo, Monreale, Museo Diocesano.

Di forma rettangolare, è decorata ai lati da placchette arcuate applicate. Le scene raffigurate comprendono figure di donne, uomini, vegetazione ed alberi. Sul coperchio, tra motivi geometrici in tecnica certosina sono raffigurate figure alate che reggono uno scudo araldico, dove in un secondo momento il Cardinale Ludovico II Torres fece apporre il proprio stemma, trasformando il bauletto in reliquiario. Lo stile è ancora legato all’iconografia trecentesca, con figure lineari caratterizzate da gesti e posture rigide. Tale tipologia di custodia d’epoca medievale, adorna di scene intagliate, talvolta policrome, sul tema dell’amor cortese, della caccia e delle danze, fungeva da cofanetto per riporre la dote nuziale e veniva offerta in dono alla sposa dal suo amato. Gli angoli della cassetta sono segnati dalla figura di Ercole con lo scudo e la clava. Gli altri rilievi eburnei raffigurano coppie in conversazione in un paesaggio alberato. Queste scene alludono probabilmente a una cerimonia nuziale, accennano a storie d’amore colte sul nascere o ritraggono il seguito femminile della signora. La bottega degli Embriachi, attiva a Venezia tra la fine del Trecento e il Quattrocento, si annovera tra i più celebri produttori di questi cofanetti. Oltre a statuine e altari scolpiti in legno e avorio, produsse in serie oggetti d’uso comune, riccamente decorati ma realizzati in avorio di qualità inferiore, destinati a una più ampia clientela.

Lo Scrigno[7] in legno, pergamena, pastiglia dorata, punzonata e già policromata è attribuito a maestranze catalane della prima metà del XV secolo[8] (Fig. 8).

Fig. 8 Maestranze catalane, Cofanetto reliquiario, legno, pergamena, pastiglia dorata, punzonata e già policromata, prima metà del XV secolo, Monreale, Museo Diocesano (Foto di Francesco Ferla).

L’opera, citata nell’inventario del 4 agosto 1507 come vaso di lignami deorato et picto[9], è anche descritta nel 1843, in occasione di una delle diverse ricognizioni della tomba di Luigi IX in Cattedrale[10], come

“una cassa di legno […] indorata al di fuori, […] di dentro tapezzata di tela colore azzurro sparsa di grandi stelle bianche”[11],

tessuto rimosso durante il restauro del 2014 per ragioni conservative e qui presentato per la prima volta (Fig. 9).

Fig 9 Manifattura spagnola (?), Tessuto di rivestimento del cofanetto reliquiario, tela dipinta, XVI secolo (?), Monreale, Museo Diocesano.

Appartiene ad una diffusa tipologia di custodie di gioielli donati alle fanciulle quale pegno d’amore. È, infatti, decorata da figure muliebri e cavalieri, elementi vegetali e zoomorfi, mentre gli angoli sono marcati da sezioni metalliche in ottone dorato e sbalzato, ornate da motivi geometrici ripetuti e alternati. Solo in un successivo momento, dunque, l’opera venne adattata ad uso reliquiario.

Secondo quanto riferito dalle fonti, il cofanetto giunse a Monreale durante l’episcopato di Fra’ Paolo. Non è possibile stabilire con sicurezza il suo cognome né la sua data di nascita, avvenuta probabilmente non oltre i primi anni Quaranta del Trecento. Nella documentazione coeva, infatti, Lapi compare semplicemente come Paulus” e, in quella pontificia in particolare, come “Paulus Francisci” o “Paulus Francisci de Urbe“. Il cognome Lapi (o de’ Lapi), accertato dalla storiografia, non ricorre nelle testimonianze documentarie né è presente nella letteratura del XVI e del XVII secolo. Il Cardinale, che resse la Diocesi monrealese dal 1379 al 1407, parrebbe essere il tramite per cui l’opera giunse dalla Francia alla Basilica normanna. Annota infatti Gian Luigi Lello[12], dietro cui si cela il nome del Cardinale Ludovico II Torres:

Si giudica, che al tempo di questo Arcivescovo [Paolo de’ Lapi, appunto] successe il cambio di alcune nobilissime reliquie molto ben ornate (frà le quali è una spina della sacra corona di Christo Signor nostro) date dal Re Filippo di Francia per haver il corpo del Re San Luigi suo padre […] sepelito nella chiesa di Monreale. Si vede l’arme dell’Arcivescovo frà Paolo insieme con quella della Chiesa di Monreale dipinta nella cassetta, dove si conservano dette reliquie”.

Qualora l’opera citata coincidesse con quella in esposizione al Diocesano, il cofanetto avrebbe dovuto presentare gli stemmi indicati da Lello unicamente sul coperchio del manufatto, oggi assai lacunoso nella decorazione, giacché non ve n’è traccia sul resto del reliquario[13].

Le due pissidi scelte per il progetto Discover Museum propongono maestranze, provenienze, vicende e tecniche esecutive differenti. Oggetto liturgico usato per conservare le ostie consacrate, la pisside, generalmente munita di piede e coperchio, è spesso custodita nel tabernacolo.

Fig. 10 Vincenzo Papadopoli, Pisside, argento dorato, sbalzato, cesellato, inciso e con parti fuse, 1763, Monreale, Museo Diocesano.

La Pisside[14] in argento dorato, sbalzato, cesellato, inciso e con parti fuse, esposta al Museo Diocesano di Monreale e di frequente in uso in Cattedrale durante i pontificali, è opera di Vincenzo Papadopoli e proviene dalla collezione Renda Pitti, dunque dal mercato antiquario (Fig. 10). Sulla base, realizzate a fusione sono le scene del Martirio di Santo Stefano, di San Francesco dona la Regola a Santa Chiara, dell‘Immacolata. Sul coperchio, tripartito da aggettanti volute, sono raffigurati il Pellicano, il Buon Pastore e l’Agnello Mistico, simboliche iconografie riferite a Cristo. L’opera è punzonata con la sigla V*P* dell’argentiere, con l’aquila di Palermo ad ali spiegate e con il marchio NG63 da riferire a Nunzio Gino che ricoprì la carica di console delle maestranze degli argentieri di Palermo dal 1° ottobre 1763 al 10 luglio 1764[15].

L’altra Pisside[16] selezionata, in argento e argento dorato sbalzato, è invece riconducibile ad argentiere napoletano della seconda metà del XVIII secolo (Fig. 11).

Fig. 11 Argentiere napoletano, Pisside, argento e argento dorato sbalzato, seconda metà del XVIII secolo, Monreale, Museo Diocesano.

Giunse in Sicilia quale parte del corredo liturgico che il re Ferdinando di Borbone fece trasferire da Napoli alla residenza di Ficuzza, voluta dal sovrano appassionato di arte venatoria. Fuggito da Napoli, dove erano scoppiati tumulti popolari seguiti alla Rivoluzione francese, Ferdinando arrivò a Palermo nel dicembre del 1798, con il suo seguito di nobili e dignitari di corte. Nonostante non fosse particolarmente erudito, Ferdinando si spese non poco a favore dell’acculturazione di Napoli e, proprio grazie al suo impegno, il Regno si mise presto al pari degli altri d’Europa. Nel 1773 fondò la Real Fabbrica Ferdinandea per la produzione di porcellane, di cui diversi modelli, oggi custoditi a Palazzo Arcivescovile, furono donati all’Arcidiocesi di Monreale dal collezionista Salvatore Renda Pitti [17]. Nel 1778, il re ebbe la sensibilità di trasferire presso il Palazzo Reale la celebre fabbrica di arazzi napoletani, apprezzati per la loro qualità, e di cui peraltro il Museo Diocesano di Monreale ne conserva un esemplare[18], attribuito a Pietro Duranti e istoriato con il celebre tema del Sogno di Guglielmo. Nel  1779 Ferdinando fondò la manifattura di San Leucio la nota seteria riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, che divenne presto un polo di eccellenza della produzione tessile. Intanto a Palermo fece erigere la Palazzina Cinese nel parco della Favorita e la Casina di caccia nel bosco corleonese. Dunque, una speciale cura della produzione artistica da parte di un re non particolarmente acculturato che tuttavia riuscì ad impreziosire con gusto anche la cappella privata della Palazzina reale di Ficuzza.

Tornando alla pisside scelta per il progetto di digitalizzazione, sulla base mistilinea si innesta una struttura dagli ornati aggettanti. Il sottocoppa presenta tre santi realizzati a sbalzo: Ignazio di Loyola, Filippo Neri e Francesco Saverio che fu canonizzato il 12 marzo 1622, insieme agli altri due. Il coperchio presenta scene della Passione: Gesù Davanti a Caifa, la Flagellazione e l’Ecce Homo, che bene si legano al concetto di sacrificio eucaristico di Cristo, il cui Corpo è custodito sotto forma di particola consacrata nel prezioso contenitore.

La coppia di vasi liturgici per la consacrazione del vino durante la Messa, individuata per il progetto di digitalizzazione tra i tanti manufatti in esposizione al Museo, presenta ornati simbolici legati proprio al mistero della transustanziazione.

Fig. 12 Didaco Russo, Calice con simboli della Passione, argento sbalzato, cesellato e con parti fuse, 1722, Monreale, Museo Diocesano.

Il Calice [19] (Fig. 12) in argento sbalzato, cesellato e con parti fuse, proveniente dalla chiesa della Trinità di Monreale, presenta sulla base l’iscrizione M.D. VRSVLA NOTO ET M. DAPOLLONIA FAMA PRO DEVOTIONE FECERVNT ANNO DOMINI 1722, che ne indica l’anno di realizzazione e la committenza. Il calice, ancora legato ai motivi decorativi secenteschi, ospita sulla base tre figure angeliche, realizzate a fusione, che reggono alcuni simboli della Passione: la scala, la colonna, la lancia e il martello. Anche il sottocoppa è decorato con elementi che ricordano il Martirio di Cristo: i tre chiodi e la corona di spine, la lanterna usata da Giuda per condurre i soldati nel Getsemani per arrestare Gesù, il velo della Veronica. Sulla coppa si vede il marchio di Palermo con l’aquila ad ali spiegate e la sigla RVP (Regia Urbs Panormi), le iniziali dell’argentiere Didaco Russo e quelle del console della maestranza VL722 da riferire a Vincenzo Leone, console degli argentieri dal 5 luglio 1722 al 3 luglio 1723[20].

Capolavoro dell’arte corallara trapanese è il Calice realizzato nel 1695 da Francesco (Lo) Iacono in argento sbalzato, filigrana d’argento, rame dorato e corallo[21] (Fig. 13).

Fig. 13 Francesco (Lo) Iacono, Calice, argento sbalzato, filigrana d’argento, rame dorato e corallo, 1695, Monreale, Museo Diocesano (Foto di Francesco Ferla).

Fu donato alla Cattedrale dal Cardinale Alvaro Cienfuegos, chiamato nel 1725 a reggere la Diocesi di Monreale che affidò al vicario generale Francesco Antonio Brù. Scrive, in proposito, Vincenzo Pensato:

“Il Cienfuegos splendido di onori e di ricchezze, se ne stava a Roma, lasciando ad altri, sebbene persone degnissime, la cura della sua Chiesa (…). Poco a dir vero operò quest’Arcivescovo per la sua Chiesa, e se ne togli il merito di aver eletto a suo Vicario Generale il canonico Brù, che il 29 Aprile 1730 tenne un sinodo diocesano, e molto curò il Seminario, null’altro fece degno di memoria, e Monreale certamente non si ricorderebbe più di lui, se in una lapide apposta in uno dei tre lati di un piedistallo, su cui posa una statua in marmo della Vergine Immacolata (…) non vi fosse scolpito il di lui nome”[22].

Nell’Inventario della Sacrestia del Duomo del 1734 dell’Archivio Storico Diocesano di Monreale è inserito un calice con coppa d’argento addorata con piede di rame addorato tempestato di corallo con alcune figurette del medesimo corallo senza patena mandato da Roma dall’E.mo e R.mo Sig.mo Cardinal Cienfuegos Arcivescovo Abbate di questa S. maggiore metropolitana chiesa. Il calice, esposto nel salone dei Vescovi del Museo Diocesano di Monreale, è ornato da delicati elementi in corallo e filigrana d’argento che impreziosiscono tutta la superficie del manufatto, dalla base al sottocoppa. Sul piede ottagonale sono quattro cammei che raffigurano l’Orazione nell’orto, Cristo davanti a Pilato, la Flagellazione e la Caduta durante l’ascesa al Golgota. Fanno da cornice, oltre ai cartigli in filigrana d’argento, testine di cherubini alate, rosette e baccelli, applicati sull’opera con la tecnica della cucitura.

Sulla coppa si rileva il punzone della maestranza degli argentieri trapanesi, la falce coronata DVI, il marchio GPC95 riferibile al console Giuseppe Porrata in carica nel 1695[23] e le iniziali dell’argentiere FI da riferire a Francesco (Lo) Iacono, attivo tra il 1687 e il 1726[24]. L’argentiere, che in un primo momento lavorò assieme al fratello minore Vincenzo, contribuì con Gabriele Bertolino alla rinascita dell’argenteria locale dopo un periodo di declino. Il calice di Monreale è raffrontabile con quello di Palazzo Abatellis, datato 1699 e realizzato dall’argentiere trapanese Giuseppe Caltagirone, su cui si rileva l’identica iconografia dei cammei[25].

Così Maria Accascina scriveva nel 1936 in un articolo del “Giornale di Sicilia” a proposito del corallo di Trapani:

“Ridotto in piccolissime rose cesellate con accorgimento trepido nello accarezzare i petali, ridotto in spighe, ciliegie, grappoli d’uva, testine di cherubini; o lasciato a grandi bottoni semplici e rasati; o scolpito a piccole figure; o incluso, a fregi, su lamine dorate, esso [il corallo] non cedette mai l’impero ad altra materia se non all’oro e, nel settecento, prevalendo il gusto per le perle, il corallo seppe, smorzando il suo vermiglio tono in pallido rosa, unirsi mirabilmente all’aristocratica compagna. (…) Gli scultori lo rubarono agli orafi, e scolpirono figure, alcune prodigiose per grandezza (…); le ricamatrici, infine, se ne servirono per ornare pianete, piviali, paliotti fermando sulla seta con i fili variopinti i granelli fiammanti”[26].

Il corallo, derivato secondo il mito pagano dal sangue sgorgato dal capo reciso di Medusa per mano di Perseo, nel mondo cristiano fu assimilato al Sangue salvifico di Cristo e divenne, dunque, simbolico elemento decorativo di suppellettili liturgiche come crocifissi, pissidi, ostensori e calici, contenitori del Corpo e Sangue di Cristo[27].

Fig. 14 Manifattura siciliana, Mitria del Cardinale Ludovico II Torres, teletta d’oro, perline e paste vitree, 1596-XVII secolo (teletta d’oro), Monreale, Museo Diocesano (Foto di Francesco Ferla).

Come accennato, per necessità pratiche e tecniche, in riferimento alle esigenze della scansione in 3D, sono stati esclusi i manufatti bidimensionali, quindi anche i tanti tessuti che fanno bella mostra di sé al Museo. Tra questi però poteva essere inserita la mitria, simbolo di quella dignità vescovile, copricapo alto e rigido formato da due pentagoni irregolari piatti con i lati superiori ricurvi e terminanti a punta, completato da fasce ricadenti sulla nuca. Pertanto, è stata selezionata la pregevole Mitria[28] appartenuta al Cardinale Ludovico II Torres (Fig. 14), il quale, tra i numerosi interventi negli ambiti più vari, dal liturgico all’economico, dall’amministrativo al sociale, volle imprimere il proprio prestigio anche in campo artistico, commissionando le tante opere che ancora si conservano tra Cattedrale e Museo Diocesano. La mitria è ornata da elementi floreali e nastriformi interamente realizzati con perline in cui la monotonia cromatica è interrotta da numerose pietre verdi che evidenziano il centro delle corolle dei fiori, il nodo dei fiocchi e porzioni delle foglie stilizzate. Il suo modulo decorativo dovette certamente influenzare quello scelto per la mitria di un altro Arcivescovo di Monreale, Giovanni Roano, pure impreziosita da simili elementi floreali, da perline e dalla presenza di luccicanti pietre verdi. L’opera manca di entrambe le infule, una delle quali recava la data MDXCVI, come si evince dalla campagna fotografica effettuata dalla Soprintendenza di Palermo alla fine degli anni Settanta del XX secolo.

A completare le principali suppellettili liturgiche in uso durante le celebrazioni è l’ostensorio impiegato per esporre l’ostia consacrata all’adorazione dei fedeli.

Fig. 15 Argentiere messinese, Ostensorio dell’Arcivescovo Giovanni Roano, filigrana d’argento, rame dorato, pietre policrome, 1692 ca., Monreale, Cattedrale, cappella del Crocifisso

Superbo nella sua fittissima decorazione in filigrana è l’Ostensorio[29] commissionato dall’Arcivescovo Giovanni Roano in occasione della solenne benedizione della Cappella del Crocifisso nel Duomo di Monreale avvenuta il 14 settembre 1692 (Fig. 15). È citato nell’Inventario delli giugali del 1755[30] come una sfera di filograna con pietre false. Il prezioso manufatto, montato su un’anima di rame dorato, mostra una fitta decorazione in filigrana d’argento tipica della produzione messinese. L’ostensorio, dall’impianto seicentesco, presenta la base ottagonale gradinata, il fusto interrotto dal grosso nodo centrale tra due elementi separatori, e la raggiera costituita dall’alternanza di lance e fiamme che terminano con ornati floreali. Sulla base trova posto lo stemma di Roano che ne indica la committenza. I medesimi motivi decorativi si riscontrano in ostensori di produzione messinese, come ad esempio quello della chiesa delle Giummarre di Sciacca, realizzato nel 1697 da Filippo Juvara[31]. Il confronto dell’ostensorio di Monreale con il calice di filigrana d’argento di Sebastiano Juvara dell’abbazia di Montecassino ha spinto ad ipotizzare un’attribuzione allo stesso argentiere della famiglia di artisti messinesi[32].

Fig. 16 Antonino Maddalena, Ostensorio, argento dorato sbalzato, cesellato e con parti fuse, 1776, Monreale, Museo Diocesano (Foto di Francesco Ferla).

Il secondo ostensorio selezionato per il progetto di digitalizzazione è quello realizzato da Antonino Maddalena nel 1776[33] (Fig. 16). L’opera, in argento dorato sbalzato, cesellato e con parti fuse, presenta una base mistilinea ornata da carnose volute dal movimento tortile che coinvolge anche il fusto, secondo la moda rocaille. Il raccordo con la raggiera è costituito da una figura angelica poggiata su una nuvola che con il gesto indica la teca. Eccellente è la sua resa anatomica, anche grazie all’alternanza di brillantezza tra il corpo opaco e il manto lucido. Una serie fittissima di raggi di varia lunghezza costituisce la raggiera mentre la teca è circondata testine di cherubini alate. Il punzone AMD dell’argentiere è impresso sia alla base che tra i raggi come quello del console della maestranza degli orafi di Palermo AB76 da riferire ad Antonino Lo Bianco[34].

A partire dal quest’anno, il Museo Diocesano di Monreale, il primo ad applicare una tecnologia così avanzata, verrà dotato di monitor e visori atti alla fruizione gratuita della digitalizzazione da parte dei visitatori. Le opere, selezionate sullo schermo, saranno accompagnate da un testo semplice e divulgativo con brevi note sul manufatto scelto, disponibili anche in LIS, la Lingua dei Segni Italiana, linguaggio visivo-gestuale che consente pari opportunità di accesso alla comunicazione, per un progetto più inclusivo possibile.

Lisa SCIORTINO  Palermo 21 Gennaio 2024

NOTE

[1] Progetto “DISCOVER MUSEUM 2.0”, Azione 6.7.2 PO FESR SICILIA 2014-2020 (CUP G39J20002690006-CIG 9549634F43).
[2] Ringrazio l’arch. Francesco Ferla per la fattiva disponibilità, l’alta professionalità e competenza mostrate.
[3] C. Guastella, scheda n. 58, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, catalogo della mostra a cura M. Andaloro, Palermo 1995, pp. 235-237; M.C. Di Natale, Dallo scriptorium al tesoro in S. Maria La Nuova, in L’anno di Guglielmo 1189-1989. Monreale: percorsi tra arte e cultura, Palermo 1989, p. 198; L. Sciortino, I tesori perduti del Duomo di Monreale nell’inedito Inventario della Maramma della Cattedrale del 1838, in OADI, a. I, n. II, dicembre 2010, p. 150; L. Sciortino, Il Museo Diocesano di Monreale, Palermo 2016, p. 27.
[4] Inventario delli mobili e delle suppellettili del Duomo dell’anno 1684, ms., Archivio Storico Diocesano di Monreale (ASDMo). Si ringrazia per la cortese disponibilità sempre mostrata durante le fasi di ricerca.
[5] G. Schirò, Il Duomo di Monreale. “Città dal Tempio d’Oro”, Palermo 1998, p.118; L. Sciortino, I tesori…, in OADI, a. I, n. 2, dicembre 2010, p. 149; L. Sciortino, Monreale: il Sacro e l’Arte. La committenza degli Arcivescovi, Palermo 2011, p. 68; L. Sciortino, Le “Eccezionali eccellenze” nelle collezioni del Museo Diocesano di Monreale, in Sogni d’oro. Criticità ed eccellenze nella Sicilia postindustriale, a cura di G. Santoro, Palermo 2014, p. 84; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 51.
[6] Inventario…, ms., ASDMo.
[7] L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 27.
[8] G. Travagliato, Trecento gotico doloroso e cortese in Sicilia: le opere in mostra, in Chiaromonte. Lusso, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, M.R. Nobile, G. Travagliato, Palermo 2020, pp. 265-268.
[9] G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca, il Tabulario della chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale, in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. XXVIII, Palermo, 1903, pp. 1-72, pp. 295-371.
[10] Ricognizioni avvenute nel 1507, nel 1843, nel 1975 e l’ultima nel 2001.
[11] J.J. Bourassé, Monreale, in Dictionnaire d’épigraphie chrétienne, Parigi 1852, tomo I, ad vocem.
[12] G.L. Lello, Historia di Monreale, 1596, p. 67. Cfr. pure M. Del Giudice, Descrizione del Real Tempio e Monasterio di Santa Maria Nuova di Monreale. Vite degli Arcivescovi, Abbati e Signori, Palermo 1702, p. 43.
[13] G. Travagliato, Trecento…, in Chiaromonte…, 2020, p. 267.
[14] M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno…, 1989, pp. 199-202; V. Chiaromonte, scheda n. I,62 in Gloria Patri. L’Arte come Linguaggio del Sacro, catalogo della mostra a cura di G. Mendola, Palermo 2001, p. 145; R. Bernini, scheda n. 49, in Argenti e Cultura Rococò nella Sicilia Occidentale 1735-1789, catalogo della mostra a cura di S. Grasso e M.C. Gulisano, Palermo 2008, pp. 353-354; L. Sciortino, scheda n. 20, in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, p. 191; L. Sciortino, Salvatore Renda Pitti collezionista, in Itinerari d’arte in Sicilia, a cura di G. Barbera e M.C. Di Natale, Centro Studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Previtali”, Milano 2012, pp. 434-438; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 36.
[15] S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, Palermo 1996, p. 78.
[16] L. Sciortino, scheda n. 23, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 194.
[17] Cfr. L. Sciortino, La porcellana bianca della collezione Renda Pitti. Inediti d’arte al Museo Diocesano di Monreale, Palermo 2019; L. Sciortino, Opere d’arte negli inediti scritti del collezionista Salvatore Renda Pitti, Rivista OADI a cura di M.C. Di Natale, a. II, n. 22, dicembre 2010, pp. 91-112.
[18] E. D’Amico-R. Civiletto, scheda I.21, in Mirabile artificio. Pittura religiosa in Sicilia dal XV al XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M. Guttilla, Palermo 2006, pp. 132-135; L. Sciortino, I tesori perduti…, Rivista OADI a cura di M.C. Di Natale, a. I, n. 2, dicembre 2010, pp. 169-170; L. Sciortino, Monreale…, 2011, pp. 134-135; L. Sciortino, La sala San Placido nel Museo Diocesano di Monreale: sede della Mostra, in Sicilia Ritrovata. Arti decorative dai Musei Vaticani e dalla Santa Casa di Loreto, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, G. Cornini, U. Utro, Palermo 2012, p. 196; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 16; L. Sciortino, La devozione degli Arcivescovi di Monreale alla Vergine Maria, in Rivista OADI a cura di M.C. Di Natale, a. X, n. 21, giugno 2020, p. 106.
[19] L. Sciortino, Il Museo …, 2016, p. 59.
[20] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 73.
[21] C.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis Siciliam, Palermo 1836; G. Millunzi, Il Tesoro…, in ASS, n.s., a. XXVIII, Palermo 1903, cap. XIV, p. 31; E. Tartamella, Corallo. Storia ed Arte dal XV al XIX secolo, Palermo, 1985; V. Abbate, scheda n. 125, L’Arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra a cura di C. Maltese e M.C. Di Natale, Palermo 1986, p. 299; M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno…, 1989, p. 196; M. Vitella, scheda n. 44, Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 502; M.C. Di Natale, scheda 7.40, in Gesù. Il corpo, il volto nell’arte, catalogo della mostra a cura di T. Verdon, Cinisello Balsamo 2010, pp. 321-322. L. Sciortino, I tesori…, in OADI, a. I, n. II, dicembre 2010, p. 159; L. Sciortino, Monreale…, 2011, p. 119; L. Sciortino, scheda n. 100, in I grandi capolavori del corallo. I coralli di trapani del XVII- XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, V. Li Vigni, V. Abbate, Palermo 2013, pp. 174-175; L. Sciortino, Le “Eccezionali eccellenze”…, in Sogni d’oro…, 2014, pp. 85-86; L. Sciortino, Gemme, ori e ricami. Le arti decorative al Museo Diocesano di Monreale, in C. Dell’Utri, La didattica museale per le arti decorative. Il progetto “La Torre Narrante” al Museo Diocesano di Monreale, “Quaderni Museo Diocesano di Monreale” collana di studi diretta da M.C. Di Natale, didattica 1, Palermo 2014, p. 18; L. Sciortino, Coralli trapanesi al Museo Diocesano di Monreale, in Platimiro Fiorenza RossoCorallo Arte sacra, opuscolo della mostra al Museo Diocesano di Monreale (6/12/2014-18/1/2015), Trapani 2014, p. 9; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 53.
[22] V. Pensato, Vite degli Arcivescovi di Monreale, ms. del 1896, ASDMo.
[23] A. Precopi Lombardo, Cariche sociali degli orafi e argentieri trapanesi, in Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di A. Precopi Lombardo e L. Novara, Trapani 2010, p. 70.
[24] L. Novara, Marchi di argentieri e consoli della maestranza di Trapani, in Argenti e ori…, 2010, p. 85; A. Precopi Lombardo, Profili di argentieri e orafi trapanesi, in Argenti e ori…, 2010, pp. 124-125.
[25] V. Abbate, scheda n. 46, in Splendori…, 2001, pp. 503-504.
[26] M. Accascina, Antico artigianato siciliano. Coralli e corallari trapanesi, in “Giornale di Sicilia”, 14 novembre 1936; Cfr. pure Maria Accascina e il Giornale di Sicilia 1934-1937. Cultura tra critica e cronache, I, a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2006, pp. 319-320.
[27] M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2009, p. 12.
[28] L. Sciortino, Monreale…, 2011, p. 70; L. Sciortino, Gemme, ori…, in C. Dell’Utri, La didattica…, 2014, p. 18; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 49.
[29] S. Giordano, Lo splendore di Monreale, Palermo 1988, p. 90; M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno…, 1989, p. 194; M.C. Di Natale, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori…, 2001, pp. 249-251, pp. 433-434; L. Sciortino, La Cappella Roano nel Duomo di Monreale: un percorso tra arte e fede, Caltanissetta 2006, pp. 96-98; L. Sciortino, scheda 4, Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 174-175; L. Sciortino, Monreale…, 2011, p. 106; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 76; L. Sciortino, Documenti e tesori d’arte degli Arcivescovi di Monreale al Museo Diocesano, in Salutem et Apostolicam Benedictionem. La memoria salvata: pergamene e opere d’arte dei Signori Abati e Arcivescovi di Monreale, opuscolo della mostra al Museo Diocesano di Monreale (10/6/2016-5/11/2016), Palermo 2016, p. 18.
[30] Inventario delli giugali, suppellettili, (vasi sagri), ed altri della venerabile Cappella del Santissimo Crocifisso, fondata dentro la Madrice Real Metropolitana Chiesa della città di Monreale del quondam Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Don Giovanni Roano olim Arcivescovo e Abate della predetta città, ms. del 1755, ASDMo.
[31] M.C. Di Natale, scheda II.106, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 257.
[32] M.C. Di Natale, scheda n. 114, in Splendori…, 2001, pp. 433-434.
[33] L. Sciortino, scheda 21, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 192; L. Sciortino, Il Museo…, 2016, p. 55.
[34] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 79.