di Carla GUIDI
LA DIMENSIONE ETICA ED ERRATICA DELL’ARTE URBANA. Intervista di Carla Guidi a Maupal, lo Street Artist Mauro Pallotta
Come ho scritto più volte, il termine cultura deriva etimologicamente dal latino colere, “coltivare” mentre l’utilizzo di tale termine è stato poi esteso a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, da cui il termine “culto”.
Se togliamo alle persone il senso, il valore del rapporto d’amore e gli affetti, se togliamo loro anche la cognizione del tempo logico che serve per realizzare concretamente e con soddisfazione le cose, se togliamo loro il contatto con il luogo in cui vivono, togliamo loro il valore anche dell’appartenenza al mondo naturale e base della memoria, toglieremo anche loro la spiritualità e il desiderio di emancipazione.
Sembra così più giustificabile e idonea la funzione delle immagini “non a scopo pubblicitario” nelle città, per tentare di ripristinare un rapporto, attraverso una forma artisticamente compiuta, atto a rivitalizzare un’energia condivisa. In un mondo globalizzato, quando l’identità è messa in questione da migrazioni e pressioni di mentalità all’interno di una esasperata ipermodernità o modernità liquida, a maggior ragione è il territorio stesso a doverne portare le insegne, con le cicatrici di ciò di cui è stato testimone o protagonista, non per dimenticare il valore locale nell’accoglienza, ma per non omettere di onorare questa divinità minore, il Genius loci.
Tornando alla significazione di arte, oggi si può dire che il luogo ed il tempo dell’arte contemporanea non sia da tempo più soltanto la Galleria e il Museo. Certi percorsi storici delle Neoavanguardie l’hanno portata a trovare maggiore significazione a contatto con il pubblico attraverso l’azione, la performance, il linguaggio, la multimedialità, infine proprio passando attraverso questo contesto l’arte è diventata effimera, popolare, accessibile al momento della sua realizzazione come messaggio ma lasciata all’usura del tempo ed impossibile spesso da recuperare. Allora, se l’arte è necessaria, nella sua dimensione linguistica e strutturale, ludica ed immaginaria, ma rappresentativa di un momento storico, di una dimensione umana nel suo spazio simbolico, essa, come la vera libertà, non avrà altra scelta che essere erratica, dovendo sempre spostarsi per eludere i suoi persecutori.
Mauro Pallotta, in arte Maupal, è nato e vive a Roma, città alla quale è legato sentimentalmente, anche se le sue opere sono presenti in tutto il mondo. Noto come Street Artist e riconosciuto come uno degli esponenti di spicco del settore – hanno scritto di lui numerosi quotidiani e riviste internazionali e ARTNET l’ha inserito al ventunesimo posto della classifica dei primi trenta street artist più influenti al mondo – oltre a prendere parte ad opere a livello istituzionale ed internazionale, non disdegna fiere, musei e gallerie, esponendo anche lavori di “fine art” e tecniche diverse. E’ un pittore indubbiamente dotato di una grande sensibilità osservativa e fine ironia che esplode nelle sue creazioni, ma anche artista dalla mano felicissima, frutto di un lungo impegno di studio e passione che lo ha spinto a disegnare fin da bambino e poi a non smettere più, desiderando di non fare altro nella vita.
In questo articolo abbiamo inserito alcune sue creazioni visive limitandoci a quelle italiane più note, immagini che non hanno bisogno di ulteriori commenti, soprattutto come testimonianze di impegno civile e sociale.
D: La tua formazione umana e professionale al tempo stesso, si è scontrata con le difficoltà lavorative e sociali di una società dove la rivoluzione informatica e la globalizzazione hanno eccessivamente monopolizzato il flusso delle immagini e dell’informazione, svalutando altresì il lavoro manuale ed il contatto con la materia, ma causando (in certi casi) effetti ipnotici che narcotizzano il pubblico anziché educarlo, non solo a distinguere una gerarchia di importanza e veridicità tra le notizie, ma anche a leggere i linguaggi dell’arte. Che ne pensi di tutto questo?
R: Ho avuto una educazione artistica accademica, sono legato alla “figura” e, l’esser nato e l’aver vissuto a Roma, mi ha vincolato verso un codice estetico ricco e vario. Tutto questo è stato per me un enorme privilegio e, considerando l’epoca densa di cambiamenti che stiamo vivendo, ho la sensazione di sentirmi come una sorta di filtro tra il mondo del secolo scorso e la realtà tecnologica dei giovani contemporanei. L’adattamento è stato necessario in tutte le sfere della nostra vita, compresa quella dell’Arte. Ho per necessità assunto e ideato alcune tecniche e modalità di progettazione mescolando le conoscenze accademiche e, con spirito empirico, le nozioni e le potenzialità tecnologiche. Fino a qualche anno fa per creare un’opera d’arte servivano tre “colonne”: la conoscenza tecnica, l’espressione di un concetto e una spiccata sensibilità estetica; ora oltre a queste prerogative, un artista necessita anche di nozioni tecnologiche, potenzialità comunicative grazie ai social network e un’impronta che definisca l’immagine dell’artista stesso. Fare arte in questo periodo è più semplice, si può produrre tantissimo ma c’è un problema nella scrematura che determina la qualità.
D: Art Street è la definizione comunemente utilizzata per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici che, a differenza del vecchio graffitismo, non viene imposta aggredendo la comunità coi propri Tag, ma creando un’opera che si contestualizzi nello spazio prescelto, come messaggio per interagire con un pubblico che a volte ha sottoscritto o finanziato l’opera stessa. Queste odierne pitture di strada sembrano essere fiorite da una reazione comune, da una vitalità che appartiene dunque a tutti, ma passando attraverso la capacità di sintesi linguistica del singolo artista, mentre qualcuno le ha già definite testimonianze, paragonandole al valore di documento delle pitture rupestri. Come ti poni rispetto a questa definizione?
R: Il “graffitismo” è il padre della Street Art contemporanea e in quanto tale non può in alcun modo essere rinnegato, anzi, io credo che l’intellighenzia relativa al mondo dell’arte, abbia in un certo qual modo commesso un forte errore di valutazione verso questo genere artistico. Il graffitismo a mio parere non ha avuto la giusta divulgazione per una mancata educazione che riguarda i suoi obiettivi, la sua cultura, la sua estetica … insomma, non è stato spiegato per come si doveva. Nasce negli Stati Uniti negli anni ’60 in contesti estremamente disagiati, dove si poteva intervenire nella totale libertà su qualsiasi edificio, dove tutto era più o meno fatiscente e il graffito era un vero e proprio atto rivoluzionario con l’intento di cambiare panorami inguardabili e più ancora per sottolineare questioni di disagio sociale avanzato. Anche dal punto di vista tecnico ci fu una veloce evoluzione che portò addirittura alcuni grandi Brand a prendere spunto da alcuni virtuosismi grafici nati dai graffiti.
Arrivando in Europa il graffitismo ha trovato una realtà sociale diversa. Anche nelle nostre città europee esistono periferie estremamente degradate ma possiamo anche ammirare ovunque edifici di pregio, opere d’arte, templi, chiese, monumenti … L’interazione del grafitismo su molti edifici anche antichi, considerati opere d’arte o sacri, ha fatto si che l’opinione generale verso questa forma d’arte sia divenuta fortemente negativa, bisogna però sottolineare che molti artisti hanno un codice etico in comune che prevede di non operare su opere di altri artisti o su edifici sacri, monumenti, statue, di non copiare da altri artisti, ecc.
Ora al centro della scena c’è quella che in modalità generica viene definita Street Art, che contiene l’immagine e un’estetica verso la quale il mondo era già preparato da secoli. La Street Art o, come preferisco chiamarla, l’Arte Urbana figurativa si divide ormai in tanti rivoli: muralismo, sticker Art, stencil, graffiti, tags, writing ecc … L’unico vero bivio o meglio, l’unica vera distinzione netta va al di là della tecnica: esiste la Street Art legale e quella illegale. C’è chi pratica solo l’una o solo l’altra, c’è chi le pratica entrambe tipo me, ma non faccio fatica nell’ammettere di preferire il mio operato quando è privo di permessi.
D: Nel mio libro Città reali, città immaginarie – dove tra l’altro sei citato con la tua opera sulla Lupa, simbolo dell’origine di Roma in via dei Quintili, al Quadraro – parlo proprio di questa “complessa e sofferta vivibilità” di luoghi cittadini che non sono semplici contenitori, ma organismi atti alla funzione di intermediari, di collegamento tra dentro e fuori, tra individualità e socialità. Non secondariamente, oltre ad avere una circolazione sanguigna di “servizi” che dovrebbero essere funzionali per tutti, sono dotati di una pelle comune, protettiva, spazio di identificazione e di proiezione di un immaginario collettivo. Spazio quindi, non utilizzabile solo a fini commerciali e manipolativi, ma piuttosto spazio etico e luogo del simbolico dove l’Arte, già uscita come sappiamo dalle Gallerie e dai Musei, possa esprimersi liberamente per interpretarne lo spirito del tempo. Uno spazio quindi dove porre interrogativi, o semplicemente dare sollievo a chi li produce come a chi li guarda, interpretando le emozioni, dando loro una forma attraverso il segno che, oltre alla terza dimensione, ne preveda anche una quarta, il tempo, riferita all’identità storica del Luogo, inserita nel rapporto con la condizione umana di transitorietà, ma anche stimolante riflessione sugli eventi epocali e le narrazioni politiche.
Si può dire che l’attuale Street art si ponga come arte pubblica, eclettica, etica e stimolante ma sottoposta all’usura degli eventi climatici, così come alle preferenze ed alle aggressioni? Cosa ti senti di aggiungere a quanto detto?
R: Sono affascinato da questa definizione che dona alla Street Art la quarta dimensione, il “tempo”. Purtroppo è una dimensione che svanisce (assieme alle altre dimensioni) con il deterioramento e la scomparsa definitiva. L’unico genere artistico che ci guadagna è la fotografia, perché rimane l’unica testimone e l’unica prova di un tempo e di un’Arte che in pochi anni svanisce.
Comunque va anche sottolineato che la Street Art è il genere più contemporaneo in assoluto: va in parallelo con la democraticità del “sapere” dataci da Internet ed anche la Street Art è per tutti, è nella strada e chiunque può accederci; è effimera e la sua degradazione è veloce quanto la sua esplosione iniziale, proprio come la velocità e i rapporti professionali, sociali, interpersonali dei nostri giorni.
D: Vuoi fare un elenco descrittivo di tue opere che esprimono meglio, secondo te, questo spirito?
R: Le mie opere più rappresentative sono e resteranno sempre quelle dove raffiguro Papa Francesco (Super Pope è stata la mia prima e probabilmente più famosa opera che ho fatto in strada), ma l’opera che secondo me fotografa al meglio quello di cui abbiamo parlato fino ad ora, è Wake Up.
D: Saremmo in grado di combattere più efficacemente degrado e anomia nelle città se all’artista fosse permesso il pieno possesso della sua funzione di interprete-catalizzatore di energie, per migliorare se stesso e gli altri mediate il suo linguaggio simbolico che, come ben sappiamo, quando raggiunge un alto grado di complessità spirituale, si trasmette immediatamente attraverso le forme, suscitando interesse, empatia, trasmettendo significati. Tutto ciò potrebbe permettere anche un rilancio sociale attraverso le istituzioni, ma in questo caso secondo te, questo garantirebbe all’artista la sua autonomia ed integrità creativa come invece potrebbe garantirla la committenza privata?
R: Ho sempre creduto che la Street Art non possa assolutamente combattere e/o risolvere in alcun modo l’avanzamento del degrado in quartieri spesso periferici. Per combattere il degrado servono le politiche amministrative, servono i marciapiedi e le strade percorribili senza pericoli, sistemazione delle fognature, l’illuminazione stradale, un Pronto Soccorso a 5 minuti, uno spazio comune per fare sport liberamente in strada, un posto di Polizia, un teatro o almeno un cinema … La Street Art può soltanto conferire una dignità estetica e a volte può accendere i riflettori verso le importanti mancanze che ho elencato sopra … Sono convinto che gli artisti possano diventare importanti a livello sociale solo quando verranno concesse Residenze Artistiche medio-lunghe nelle zone periferiche delle città dove 5/10 artisti avrebbero la possibilità di integrarsi tra loro, con la comunità del quartiere e con l’architettura dello stesso. A quel punto può succedere che qualcosa in meglio cambi davvero …
D: I tuoi prossimi progetti?
R: La mia prossima avrà la modalità che spesso uso nelle mie opere in strada: dipinto su carta che incollo al muro. In questo caso sarà un lavoro davvero particolare: il 14 dicembre scorso ho avuto il privilegio di poter incontrare Papa Francesco al quale ho donato una raccolta di tante opere che ho dedicato alla sua figura. Tra queste opere c’era anche un’opera inedita che ho titolato “Spinta per la Pace”. Ho chiesto al Santo Padre di poter donare questa opera all’ospedale Pediadrico Bambino Gesù di Roma e ho ricevuto il suo benestare. Quindi la mia prossima opera sarà sul colle Gianicolo, all’interno dell’ Ospedale Bambino Gesù.
Mauro Pallotta – www.maupal.net
Carla GUIDI Roma 15 Gennaio 2023