di Claudio LISTANTI
Trionfo di pubblico per capolavoro verdiano diretto da Roberto Abbado con la regia di Yannis Kokkos. Gregory Kunde efficace e straordinario Alvaro in una compagnia di canto di rilievo. Contestazioni per le scelte di utilizzare per l’esecuzione i complessi artistici del Comunale di Bologna.
Una nuova produzione de La forza del destino realizzata dal Regio di Parma in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Massimo di Palermo, l’Opéra Orchestre National Montpellier Occitaine, ha inaugurato con un notevole successo la XXII Edizione del Festival Verdi di Parma, confermando anche, per questa occasione, l’importante ruolo che colloca la manifestazione in un ruolo di primaria importanza nell’ambito del mondo culturale italiano, soprattutto per la riproposta dei capolavori del nostro grande Giuseppe Verdi, finalizzando la sua attività alla produzione e all’esecuzione delle composizioni verdiane rivolgendo loro una attenta analisi musicologica. Si avvale di un comitato scientifico presieduto da Anna Maria Meo, direttore generale del Regio di Parma, con la direzione scientifica affidata al musicologo Francesco Izzo e alla direzione musicale di Roberto Abbado.
Riteniamo che la scelta di aprire il Festival Vedi 2022 con La forza del destino sia del tutto felice perché rivolta a rendere giustizia ad un’opera immeritatamente trascurata nel corso degli anni dalla critica, nonostante abbia sempre dimostrato di possedere una diffusa popolarità presso i pubblici, non solo italiani, ma di tutto il mondo. Molti la giudicano ancor oggi, incostante e frammentaria, mentre possiede le caratteristiche di opera di non comune unitarietà di base e di grande inventiva scenico-drammatica.
Nell’arco compositivo di Verdi si colloca in un momento molto importante della produzione del musicista, il 1862, un anno intermedio tra due grandi capolavori, Un ballo in maschera del 1859 e Don Carlos del 1867, due opere, queste, delle quali nella Forza del destino si percepisce la presenza e, in un certo senso, il richiamo a quello stile costantemente rivolto alla ricerca di una rappresentazione teatrale in musica coinvolgente e rivolta alla completa percezione del dramma rappresentato. Tale particolarità esce anche con forza nell’edizione variata che Verdi approntò nel 1869 (utilizzata per questa recita parmense) alla quale giovarono, senza dubbio, le esperienze del Don Carlos.
La forza del destino di Giuseppe Verdi, melodramma in quattro atti, si basa su libretto di Francesco Maria Piave tratto dal dramma Don Álvaro o La fuerza del sino di Ángel Perez de Saavedra, Duca di Rivas scrittore, poeta drammaturgo e politico spagnolo. Ad integrare la drammaturgia di quest’opera concorse anche il Wallensteins Lager dramma facente parte della Trilogia Wallenstein di Friedrich von Schiller, utilizzata per la scena dell’accampamento del terzo atto. L’ispirazione tratta dalla letteratura spagnola è parte del filo rosso, sottile ma resistente, comune denominatore del Festival Verdi 2022 che ha in programma altre opere che Verdi trasse da drammi spagnoli dell’800, Il Trovatore e Simon Boccanegra (nella versione 1857) entrambe di Antonio García Gutiérrez.
La prima assoluta ebbe luogo al Teatro Imperiale di San Pietroburgo il 10 novembre 1862 ed ebbe un indiscutibile successo che però non riuscì a scongiurare l’insoddisfazione di Verdi che a suo giudizio nell’opera c’era qualcosa da rivedere. La prima italiana avvenne al Teatro Apollo di Roma nel febbraio del 1863 sempre con un discreto successo. Ma Verdi rimase sempre dell’idea di migliorare questa sua nuova creatura. Nel 1869 ne predispose una seconda versione che andò in scena al Teatro alla Scala il 27 febbraio dello stesso anno con ottimo successo di pubblico per un evento che ebbe anche il significato secondario di una sorta di riavvicinamento tra Verdi ed il teatro milanese dopo i noti dissapori che duravano da anni. L’edizione 1869, in grandi linee, differiva dalla precedente del 1862 per l’introduzione della Sinfonia come è conosciuta oggi universalmente e per l’adozione in un differente finale che mitigava il bagno di sangue dei tre morti dell’edizione russa optando per un finale meno forte. Altre sono le operazioni adottate per la revisione, anche quella di una modifica del libretto affidata ad Antonio Ghislanzoni, il futuro librettista di Aida (1871). La nuova edizione accontentò Verdi e divenne quella ovunque adottata per rappresentare questa opera. L’edizione 1862 è caduta in disuso anche se si sono registrate, soprattutto sul finire del ‘900, alcune esecuzioni e, forse, una rappresentazione ad essa dedicata potrebbe essere un buon suggerimento per lo stesso Festival Verdi vista la sua missione di approfondire l’arte musicale e drammaturgica del nostro grande musicista.
Non è nostra intenzione procedere ad un’analisi approfondita di questo capolavoro ma si può senza dubbio dire che è un lavoro teatrale e musicale di grande spessore. In esso l’azione è lineare, nonostante il contenuto specificatamente ‘romantico’, con il pubblico che percepisce sempre con chiarezza cosa succede sul palcoscenico, dove e come agiscono i personaggi. Alcune scene di carattere popolare e comiche si intercalano al procedere del dramma, quasi a descriverci le condizioni di vita all’epoca dell’azione ma anche a stemperare il clima di eccessivo dramma che avvolge i personaggi principali. Una buona parte della critica è unanime nel ritenere che la prima assoluta pietroburghese del 1862 possa aver influenzato non poco Musorgskij che solo alcuni anni dopo (1869) scrisse Boris Godunov traendo spunto dal capolavoro verdiano nelle scene dell’osteria del secondo atto e nel personaggio di Trabuco, chiaro antenato dell’Innocente del Boris.
Nella Forza del destino ci sono, inoltre, chiari riferimenti al Grand Opéra, genere più volte frequentato da Verdi con opere prodotte appositamente o adattate da altre sue opere. All’epoca, per questa forma di teatro in musica, aveva già prodotto nel 1847 Jérusalem, rifacimento de I Lombardi alla Prima Crociata e composto Les vêpres siciliennes (1855) e, qualche anno più tardi, nel 1867, avrebbe prodotto uno dei suoi capolavori assoluti, Don Carlos.
Nella Forza del destino, certo, non si possono riscontrare tutti gli elementi propri del grand opéra parigino, ma ci sono momenti nei quali non si può non pensare a questa forma come nella scena finale del secondo atto con l’entrata di Leonora al convento e la strepitosa preghiera che suggella questa meravigliosa pagina di tutta la Storia della Musica. Poi anche le due scene di colore, la già citata osteria e la scena dell’accampamento del terzo atto, con citazioni alla vita popolare e con accenni a danza collettive. Poi l’introduzione del personaggio comico di Melitone che si inserisce bene nello svolgimento del dramma.
La messa in scena di questa edizione parmense de La forza del destino è stata affidata all’artista di origine greca ma francese di adozione, lo scenografo e regista teatrale Yannis Kokkos, uomo di teatro tra i più apprezzati di oggi che è stato autore di tutta la parte visiva, regia scene e costumi.
Ha concepito uno spettacolo del tutto omogeno nell’insieme, curando capillarmente tutti i movimenti scenici per uno spettacolo che nel complesso non presentava stranezze e situazioni sceniche paradossali come accade oggi spesso sui palcoscenici lirici di tutto il mondo. Kokkos ha rispettato il testo presentando una scena semplice nell’insieme ma efficace per la rappresentazione. I costumi presentavano personaggi legati ad un’epoca indefinita, non di cattivo gusto (tute mimetiche o smoking che in quest’opera sicuramente qualcuno avrebbe inserito) ma concepite per rispettare l’evoluzione del dramma, sia quello intimo amoroso di Alvaro e Leonora, sia quello più passionale e vendicativo di Carlo. Ci è piaciuta molto la realizzazione del terzo atto realizzato per mettere in risalto tutte le brutture della guerra che ha portato con sé, nei millenni, milioni di vittime, distruzioni e brutalità senza fine. Nel campo militare è stato aggiunto anche un locale a luci rosse che evidenziava il degrado nel quale i soldati di ogni parte del mondo sono obbligati a vivere nei periodi di guerra, utilizzando per le parti coreutiche anche delle maschere quasi a dare un senso ‘espressionista’ alla sua messa in scena. Alla realizzazione della parte scenica hanno contribuito in maniera molto importante Giuseppe Di Iorio luci, Sergio Metalli proiezioni e Marta Bevilacqua movimenti coreografici ai quali si aggiunge la drammaturgia (carica forse inutile visto che parliamo di una autore teatrale della statura di Giuseppe Verdi) di Anne Blancard.
Per quanto riguarda la parte musicale c’è da dire, e ricordare ancora una volta, che per eseguire La forza dl destino ci vuole una compagnia di canto numerosa e di grande livello individuale, cosa che qui a Parma, è stato rispettato seppur con qualche eccezione.
Gregory Kunde ha offerto al pubblico un Don Alvaro di grande spessore dimostrando ancora una volta di essere un fenomeno vocale di insolita portata. Anche in questa occasione, dopo le recentissime prove che ha fornito in Otello, Les Troyens e Luisa Miller alle quali abbiamo assistito, ha esibito una vocalità di gran classe, dagli acuti raggiunti senza sforzi palesi, sempre attento alle raffinatezze della linea vocale; una prova che si giova anche della buona pronuncia italiana che aiuta nella realizzazione delle parti più declamate, senza mostrare, a dispetto dell’età, segni di stanchezza anche in parti come quella di Alvaro considerata da tutti massacrante per i tenori. Per Kunde uno strepitoso, e meritato, successo personale, sia a scena aperta sia al termine della recita con ovazioni a lui personalmente dedicate.
Il ruolo di Leonora è stato affidato al soprano ucraino Liudmyla Monastyrska, tra i più acclamati di oggi, ma che in questa occasione ha mostrato qualche difficoltà con la vocalità verdiana che caratterizza questa opera. A parte qualche problema con l’italiano circa il corretto significato delle parole, ci sembra soffra molto il passaggio tra le note centrali (che possiede splendide) al registro più acuto che purtroppo non le ha consentito (almeno per questa sera) di offrirci una Leonora di grande fascino. In una occasione del secondo atto è stata anche beccata dall’esigente loggione del Regio ma nel complesso il pubblico l’ha applaudita, soprattutto alla fine, con convinzione.
Don Carlo era il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat che le cronache ci dicono essere attratto dal repertorio verdiano anche grazie ad una voce potente e rotonda che abbina anche ad una certa grazia nelle emissioni. Anche qui al Regio di Parma ha fornito una prova del tutto valida mostrando però di giungere al finale un po’ provato risultando vocalmente un tantino appannato. Un cantante di indubbio valore al quale consigliamo però una attività meno frenetica, così come appare dalla sua agenda, nella quale hanno ruolo predominante i grandi ruoli verdiani e di gestire la sua bella e corposa voce in modo più saggio. Anche per lui un buon successo personale al termine della recita.
Padre Guardiano è una parte di basso che si considera vicina ai grandi ruoli verdiani (Filippo II, Procida, Fiesco, Attila) e Marko Mimica, seppur ancora giovane, ha dimostrato di avere le qualità per affrontare ruoli del genere in quanto ci ha dato un Padre Guardiano del tutto credibile vocalmente e scenicamente al quale, per ora, manca forse un po’ di potenza che con il tempo potrà migliorare.
Roberto De Candia, mettendo a disposizione la sua enorme esperienza nel repertorio comino/buffo ci ha dato un Melitone di grande spessore grazie alla sua ineccepibile vocalità ed alle sue conosciute ed apprezzate doti di attore realizzando un personaggio divertente e trascinante molto applaudito dal pubblico. Il mezzosoprano Annalisa Stroppa è stata una Preziosilla godibile sotto ogni aspetto, in possesso di una voce fresca ed espressiva, si giova anche della sua grande esperienza nei ruoli comici che nella sua carriera ha frequentemente interpretato. Ha dimostrato di essere ben inserita nella visione teatrale di Kokkos, lontana dal cattivo gusto che spesso si registra per questo personaggio risultando simpatica e vivace, caratteristiche proprie del personaggio interpretato.
Per quanto riguarda gli altri personaggi il tenore Andrea Giovannini è stato un efficace Mastro Trabuco, il basso Marco Spotti era il Marchese di Calatrava, il mezzosoprano Natalia Gavrilan Curra, il baritono Jacobo Ochoa Un Alcade e il basso Andrea Pellegrini Un Chirurgo. Tutti molto bravi nell’integrare l’esecuzione.
Roberto Abbado ha guidato l’Orchestra dl Teatro Comunale di Bologna ed il Coro del Teatro Comunale di Bologna diretto Gea Garatti Ansini offrendo una direzione certo efficace ma, a nostro avviso, in certi punti, mancante di quella necessaria cantabilità verdiana e di quel ‘fuoco’ di stampo romantico che spesso traspare in questo capolavoro.
Per dovere di cronaca dobbiamo riferire che Roberto Abbado è stato oggetto, fin dal suo apparire in sala, di una rumorosa contestazione che nulla aveva a che vedere con la sua interpretazione che, comunque, è risultata del tutto valida. Da quanto abbiamo potuto capire la contestazione è nata dalla decisione della dirigenza del Festival di utilizzare una orchestra diversa da quella solita, decisione che dalla nostra ottica appare percorribile per il fatto che il Regio di Parma non possiede un’orchestra stabile. Considerando che i contestatori sono giunti in teatro muniti di fischietto ci è sembrato che questa manifestazione di dissenso sia da attribuire più alla politica, soprattutto in vista delle prossime elezioni, che a fattori artistici veri e propri.
La recita alla quale ci riferiamo è quella di giovedì 22 settembre ed era l’inaugurazione del Festival Verdi 2022. Al termine lo spettacolo è stato salutato dal pubblico che gremiva al limite della capienza la bella sala del Teatro Regio di Parma di Nicola Bettoli, con sonore e reiterate ovazioni rivolte a tutti i partecipanti.
Claudio LISTANTI Parma 24 Settembre 2022