di Mario URSINO
A pochi passi da Largo Argentina, appena si svolta in via Monterone, ci si imbatte nella bella Galleria del Laocoonte, della storica dell’arte Monica Cardarelli, collezionista e infaticabile studiosa del Novecento italiano, di cui ha dato prova in diverse mostre di approfondimento di grandi maestri noti, come, per esempio, Sironi, Cambellotti (tra le più recenti), e di personalità artistiche più eccentriche e meno note, come la grande mostra e riscoperta dello scultore Andrea Spadini, di cui ho già riferito in un precedente articolo su questa rivista.
Devo dire, con certa sorpresa, che avvicinandosi alle scintillanti vetrine della elegante Galleria, si scorge il gigantesco Laocoonte dello scultore cinquecentesco Vincenzo de’ Rossi, noto allievo di Baccio Bandinelli, che ne ha dato una versione in una personale e libera interpretazione che si colloca tra il famoso prototipo ellenistico ai Vaticani, e quella realizzata dal suo maestro agli Uffizi [fig. 1].
L’esemplare del de’ Rossi è stato studiato in un libro del maggiore studioso delle collezioni medicee, il professor Detlef Heikamp (2017). La sculura appartiene ai collezionisti-galleristi Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, da qui l’onomastica della Galleria.
Questa premessa per dire dell’originalità di presentare la mostra, Il genere femminile nell’arte del ‘900 italiano, che si inaugura il 18 ottobre, intorno alla monumentale scultura, simbolo della galleria, con una variegata esposizione di opere raffiguranti solo immagini di donne che hanno posato per famosi maestri del Novecento Italiano, o si sono ritratte esse stesse artiste (in misura certamente minore, sottolinea la Cardarelli, non per difetto di talento, bensì per la storica mancanza di opportunità concesse alle donne aspiranti ad esercitare le arti). Mentre Monica mi comunicava questi innegabili pensieri, espressi anche nel suo saggio in catalogo, a me veniva in mente un episodio narratomi da una gentilissima signora agée, pittrice di notevole qualità, Marina Poggi d’Angelo, che da giovane era stata allieva di Roberto Melli; in occasione di una mia presentazione nel 1994, in uno dei suoi ultimi cataloghi, mi raccontò, divertita (aveva notevole senso di humour), di quando Giorgio de Chirico, visitando una sua mostra nel 1974 [fig. 2] si avvicinò alla pittrice, dicendole, come al solito tra il serio e il faceto “Ma lo sa che lei dipinge proprio bene, peccato che è un donna”.
La battuta però è significativa per sottolineare la riflessione di Monica Cardarelli, che sottende, in certo qual modo, il filo rosso di questa interessante carrellata di circa cento opere, fra dipinti, disegni, acquerelli, pastelli di grandi maestri del Novecento (bellissimi i tre intensi volti femminili eseguiti con tratti rapidissimi, involontariamente futuristi, da Antonio Mancini nel 1915, fig. 3), e sculture in diversi materiali, e oltre a una scelta delle splendide ceramiche del sunnominato Andrea Spadini, a rappresentare figure di donne nella consueta multiforme presenza nella società del XX secolo: modella, moglie, madre, amante, prostituta, figura simbolica della pubblicità (quest’ultima ancora di più ossessivamente presente nel Terzo Millennio).
Monica le definisce, queste donne, “pazienti” nell’essere in posa per i maestri, una pazienza come sofferenza di una condizione necessariamente subordinata per la riuscita dell’opera. Fino al 1870, ha scritto la studiosa, le donne non erano ammesse alla scuola di nudo nelle Accademie, non potevano ritrarre il nudo maschile; solo nel 1898 furono ammesse all’Ếcole de Beaux-Arts di Parigi. Oggi, naturalmente, non esistono più limiti alle possibilità femminili di esprimere la loro personalità, ma nel campo dell’arte:
“Il cammino è ancora lungo – scrive Monica – anche nell’ambito della ricerca storica volta a disseppellire i nomi di tante artiste del nostro Novecento, ignote o pochissimo conosciute”.
E questa mostra lo documenta molto bene. Difatti, sebbene nella maggioranza delle opere esposte ricorrono i grandi nomi del Novecento Italiano, ovvero gli artisti fioriti dopo, e talvolta in opposizione, alle avanguardie primo novecentesche di estrazione straniera (astrattismi, fauvismi, cubismi, espressionismi, surrealismi), si configura una linea italiana dell’arte intesa a declinare i valori della società soprattutto nel periodo tra le due guerre, consistenti nella esaltazione del lavoro e del rapporto con la terra (v. Sironi), degli affetti famigliari (Balla, Armando Spadini, Melli, Gaudenzi, Bocchi, con i ritratti delle loro mogli), del rapporto professionale delle modelle con gli artisti, nell’uso dell’immagine femminile simbolista o allegorica (A. Martini, Sartorio, Nomellini), pubblicitaria e figurinista (Enrico Sacchetti, Umberto Brunelleschi, Ernesto Michaelles). Lo Ziveri, pittore di bordelli, l’erotismo di Guttuso. E poi artisti fuoriclasse come Clerici e Savinio, personalità singolari e cerebrali. Menzione a parte merita il “Ritratto di Valentina, 1955 [fig. 4] pittura di eleganza neocubista, opera di Antonio Scordia, pittore oggi ingiustamente dimenticato, e che andrebbe riproposto alla attenzione del pubblico. Tra tutti questi artisi, la Cardarelli fa emergere personalità femminili a dir poco pressoché sconosciute, se si esclude la Edita Walterowna Broglio (v. il grande disegno fig. 5), moglie del più noto Mario Broglio (Valori Plastici).
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Vediamo chi sono. Della pittrice praghese, ma naturalizzata italiana Felicita Frai (1909-2010), non vi sono opere in mostra, ma c’è lei quale modella, e poi amante, nei dipinti di Achille Funi, in uno dei quali è racchiusa la drammatica storia quattrocentesca di Ugo e Parisina, 1934, i giovanissimi amanti fatti decapitare da Niccolò III Malatesta, per adulterio.
Nel bellissimo pastello, che funge da copertina del catalogo [fig. 6], la giovane di profilo è lei, Felicita Frai. La storia è ben narrata dalla Cardarelli, ma ciò che tiene a sottolineare la studiosa, è che Felicita Frai riuscì a proseguire la sua carriera di pittrice, e godere di una discreta notorietà, anche quando fu abbandonata dal suo maestro-amante. Emblematico esempio di tenacia e ferrea volontà femminile. Si è affermata parimenti la lituana Antonietta Raphaël Mafai, pittrice e scultrice, moglie del più noto Mario Mafai, inclusa giustamente dalla critica (R. Longhi) tra gli artisti della Scuola di Via Cavour, eppure spesso dimenticata dagli studiosi, o considerata in margine tra costoro (va però ricordato che sue opere sono conservate nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, e in altre analoghe istituzioni).
Viceversa, di Marisa Mori (1900-1985), di cui confesso non avevo conoscenza di sue opere, in mostra sono allineati ben quattro dipinti, tra cui un suo Autoritratto [fig. 7], datati tra gli Anni Venti-Trenta, ricordata per essere stata allieva di Casorati ed anche per aver composto opere in linea col (secondo) futurismo; in questi ritratti, invece, la sua pittura (ancorché sentimentale), a mio avviso, si colloca pienamente nel gusto del Novecento sarfattiano. La Galleria del Laocoonte ha in corso di pubblicazione una monografia per portare alla ribalta l’opera di una artista tutt’altro che trascurabile.
Ancora per me è stata una sorpresa scoprire un’altra interessante personalità artistica: Fides Stagni (1904-2002): in mostra è esposto un fine acquerello, La pace, 1925-1930 [fig. 8], di evidente modiglianesca memoria, rivisitata in chiave decò, per cui è facile percepire la sua inclinazione ad occuparsi anche di moda e di arredo. Nel saggio si legge che costei ebbe una mostra personale, nel 1934, presso la famosa Casa d’Arte Bragaglia a Roma; frequentò anche ambienti cinematografici, interpretando il ruolo di un’anziana professoressa di storia dell’arte nel famoso film di Fellini Amarcord.
Molto curiosa, poi, l’opera di Margherita Vanarelli (1916-2005), Figura femminile con bambino nel seggiolone, 1963 [fig. 9], tecnica mista a rilievo, grottesca, satirica espressione di un humour femminile, come nelle opere del contemporaneo Enrico Baj, a me sembra. Autodidatta, la Vanarelli ha lavorato come disegnatrice per le sorelle Fontana, e tra gli Anni Cinquanta-Sessanta nella Galleria d’arte Antea, in via del Babuino del fratello maggiore Augusto, pittore e designer,dove poteva incontrare numerosi artisti, da de Chirico a Turcato. Una personalità ancora tutta da riscoprire.
Continuando il mio esame su queste donne artiste, ripeto a me sconosciute, scopro un’altra interessante pittrice: Liliana De Nobili (1916-2002), “una delle più dotate scenografe e costumiste del Novecento” (Cardarelli); in mostra vediamo un evanescente vaporoso piccolo disegno, china e acquerello, Bozzetto per costume di Maria Callas-Violetta per “La Traviata”, 1955 [fig. 10],
per la regia di Luchino Visconti. Ha lavorato per Vogue negli Anni Quaranta, e ha disegnato abiti per famose dive del suo tempo; negli ultimi anni della sua vita, ritiratosi a Parigi, si dedicò esclusivamente alla pittura. Piacerebbe vedere altre sue opere di questa raffinata signora dell’arte, come delle altre sunnominate versatili donne artiste “disseppellite” con tanta cura da Monica Cardarelli.
Mario URSINO Roma 18 ottobre 2019