Alessandro ZUCCARI
1.Posto che per giudicare un dipinto occorre vederlo dal vivo (e quindi non ti chiedo un parere diretto ma solo una tua prima impressione), vorrei però sapere cosa ne pensi del fatto che questo sub judice possa essere attribuito al Merisi.
R: Sulla tua prima domanda occorre una premessa che credo sia valida per tutti gli studiosi che stai interpellando, cioè che per giudicare in modo appropriato il quadro dev’essere visto dal vivo e soprattutto pulito, perché dalle immagine appare piuttosto bisognoso di pulitura, e forse è questo uno dei motivi per cui non si è capito inizialmente quale capolavoro fosse. Detto questo, visto che ci chiedi quale sia almeno la prima impressione, ti rispondo che a mio avviso siamo di fronte ad un capolavoro che certamente giustifica l’attribuzione a Caravaggio che hanno fatto tanto Cristina Terzaghi su La Repubblica del 9 aprile quanto Massimo Pulini su About Art del giorno prima.
-Ecco, e al di là delle cose scritte dai due studiosi, cosa hai notato di particolare nelle immagini che hai potuto studiare fino ad ora che ti fanno pensare ad una mano tanto importante?
R: Innanzitutto una impaginazione strepitosa, frutto di una straordinaria invenzione che non poteva partorire un artista ‘qualunque’ e che suggerisce importanti implicazioni; innanzitutto, il personaggio in primo piano, cioè Pilato (faccio rispettosamente notare che non si tratta del sinedrio, ma del pretorio di Pilato) sembra voler dialogare con lo spettatore invitando, ma, per come la vedo io, in modo assai ambiguo, a guardare il Cristo; perché ambiguo? Perché non crede alla sua colpevolezza, perché vorrebbe essere neutrale ma non può, intuisce che la sua decisione è dirimente e che dovrà essere di colpevolezza verso l’Ecce Homo ma vorrebbe lasciarlo decidere allo spettatore, di qui la sua ambiguità.
-Da cosa lo capisci in particolare?
R: Osserva lo sguardo, a me colpisce molto perché sembra che voglia quasi giustificare il suo essere come imbelle, e poi nota bene quel volto solo per metà illuminato con un’espressione di compassione mista a paura. Invece la raffigurazione del Cristo è straordinariamente efficace e chiara nella sua valenza espressiva (una qualità rara che rafforza l’idea che solo un genio come Caravaggio possa averla concepita e creata) dove a un’espressione dolente del viso, che ne rivela la forza interiore, si contrappone l’ambiguità di Pilato : un vero chiasmo! Le mani poi mi appaiono tipiche del linguaggio merisiano del periodo napoletano, come pure quello scalare i volti accostando la testa del Cristo a quella del giovane sgherro. Ma c’è un dettaglio che mi pare nessuno finora abbia sottolineato.
-Qual è?
R: La piccola fiamma di luce che appare sulla testa dell’Ecce Homo, a destra di chi guarda, sulla parte alta della corona ma che pare distaccata dalle spine; è frutto di una pennellata veloce che sicuramente non è causale e che anzi apre a varie sottolineature; innanzitutto è la prima volta che la vedo comparire in una iconografia dell’Ecce Homo come simbolo di luce divina, ulteriore testimonianza di come Caravaggio –se accettiamo che sia lui l’autore del quadro- fosse del tutto partecipe al clima religioso del tempo e che assume nel repertorio dell’artista un valore paradigmatico, se consideriamo che il dipinto è concepito come opera per una collezione privata, non come pala d’altare, viste le dimensioni.
-Ecco, questo mi dà agio di chiederti se sia proprio questo –come sostiene Massimo Pulini, tra i primi che hanno scritto sull’opera (cfr https://www.aboutartonline.com/e-il-vero-ecce-homo-di-caravaggio/ pubblicato l’8 Aprile 2021) – se a tuo parere possa essere davvero il quadro realizzato dal Merisi per il famoso ‘concorso Massimo’, cioè se sia stato realizzato per questo committente privato.
R: No, non sono d’accordo con la tesi di Pulini perché a mio parere, come già ti accennavo, il quadro risale per stile e tecnica al periodo napoletano di Caravaggio, ma farei meglio a dire che non sarei d’accordo e che risalirebbe, dato che certamente la pulitura può farci capire di più e magari smentirci; detto questo però al punto in cui siamo mi pare che le misure inferiori rispetto a quelle dell’opera del ‘concorso Massimo’ possano far ragionevolmente pensare ad altra versione e d’altra parte concordo invece con quanto affermato da Cristina Terzaghi, rifacendo la storia del dipinto a partire dalle prime intuizioni di Roberto Longhi a la Repubblica ( cfr Perché questo è Caravaggio, la Repubblica, Venerdì 9 aprile p. 30) ossia che non ne esista una sola versione,
-A questo punto ti anticipo la domanda che avevo lasciato per ultima perché viene bene chiederti ora se non sia possibile che ci sia un Ecce Homo ancora da trovare o, per paradosso, se Caravaggio NON ABBIA MAI DIRETTAMENTE DIPINTO un quadro del genere facendolo invece realizzare da qualche suo stretto sodale?
R: Che dire? Paradosso per paradosso il concorso Massimo non c’è mai stato, tanto è vero che lo splendido capolavoro del Cigoli data qualche anno dopo e in ogni caso quello che dici ci fa entrare nel campo delle possibilità e ce ne sarebbero una miriade per ogni dipinto che non sia assolutamente certo, né ci sono indizi tali da poterci far dire se qualcun altro, magari come dici tu un sodale del Merisi, possa aver per conto suo onorato la commissione; sarebbe un paradosso, appunto.
-Allora ritorniamo alla spiegazione iconografica che stavi facendo; cosa c’è da aggiungere a sostegno della tesi dell’autografia caravaggesca?
R: Farei notare ancora come abbia organizzato i volti e gli sguardi dei tre attori; il Cristo come si vede bene ha la bocca semiaperta, al contrario del giovane alle sue spalle che invece forse strilla e comunque parla, atteggiamento simile a quello che l’artista delinea in altri dipinti raffiguranti giovani come nel Ragazzo morso dal Ramarro, o nel Ragazzo con canestro di frutta, per non dire nel Bacchino malato e così via; nel nostro caso poi il giovane ha lo sguardo come perso nel vuoto, contrapponendosi alla mesta umanità dell’Ecce Homo; insomma è come se Caravaggio –sempre ammettendo che sia lui l’autore- abbia inteso impaginare una scena teatrale componendo comunque un’immagine assai eloquente dove non per caso avanza la figura del Pilato che sembra stia proprio per dire la fatidica frase Ecce Homo, nella logica sibillina cui facevo cenno prima. Insomma per riassumere, Cristo, che forse sta pronunciando lentamente un salmo, si trova da un lato Pilato simbolo del potere, dall’altro lo sgherro che del potere è strumento e in ogni caso anch’esso vittima.
-Dunque dici che Cristo è in uno spazio costruito a bella posta?
R: Evidentemente si, ed è un nuovo indizio della genialità dell’invenzione dato che lo spazio delinea una precisa condizione: quella di colui che sta tra l’ambiguo di chi sa bene cosa farebbe ma non può dirlo, da un lato, e chi dall’altro non conosce la realtà ma deve agevolarla per ignoranza, perché non ha alcun elemento per capire, come dimostra quel viso del giovane che non esprime neppure violenza o sopraffazione ma al massimo derisione.
-Scusa ma allora la fiammella cui facevi cenno? Innanzitutto siamo certi che non sia qualcosa che magari nel restauro si possa perdere?
R: Beh è chiaro che come dicevo stiamo parlando tenendo presente che il dipinto debba essere pulito, e tuttavia se si confermasse questa mia idea il valore della fiammella confermerebbe l’invenzione sul gioco dei volti che ho cercato di chiarire e sull’ intento esplicitato dall’artista di indicare cosa debba risaltare per lo spettatore, nel senso che Caravaggio –sempre se è lui il pittore – tende a non nobilitare l’intermediario, ragione per cui Pilato non è così in evidenza ed anzi, al contrario, in bella evidenza c’è chi, l’Ecce Homo, egli vuole che risalti per lo spettatore. In questo rientra anche il gioco, per così dire, delle mani; come accennavo poco fa a proposito del chiasmo, anche con le mani Caravaggio fa perno sui contrasti perché rientra nella simbolica dei testi caravaggeschi: non per caso l’idea delle mani aperte –quelle di Pilato- e chiuse, anzi strette al panno rosso, quelle del giovane sgherro, è molto frequente.
-Facciamo un piccolo passo indietro per cercare di precisare, se si può, quella che tu ritieni sia la possibile datazione del dipinto.
R: Per me, ripeto, non può essere il quadro realizzato per i Massimo dato che, sempre da quello che posso leggere dalla immagine ad alta risoluzione e dallo screenshot preparato dal tuo grafico, mi pare appartenere alla fase successiva alla morte del Tomassoni, tecnicamente affine al primo periodo napoletano, anche se non mi impiccherei se sia il primo o l’altro periodo in verità, tanto più che poi, restauri, puliture indagini diagnostiche e quant’altro ci daranno l’opportunità di chiarire meglio.
-A questo punto mi viene da chiederti (e la stessa domanda l’ho posta agli altri studiosi) se il fatto che questo Ecce Homo sia autenticamente del genio lombardo possa comportare la derubricazione ad anonimo caravaggesco del dipinto oggi a Genova nei Musei di Strada Nuova.
R: La domanda con tutto il rispetto mi sembra mal posta; cosa vuol dire che se l’Ecce Homo ‘spagnolo’ –chiamiamolo così per comodità- è autentico di Caravaggio l’altro dev’essere per forza derubricato? Personalmente l’autografia caravaggesca del quadro genovese non l’ho mai condivisa com’è noto, e non sono il solo com’è altrettanto noto, anche se riconosco che sia di alta qualità, dico però che si tratta di due concezioni del tutto differenti alla base di due iconografie peraltro assai distanti l’una dall’altra, laddove la versione genovese mi appare tecnicamente più impegnativa, diciamo così, con elementi costitutivi di tipo tardo manierista se posso dire, che Caravaggio a quell’epoca non ha più; insomma un linguaggio del tutto differente che però non mi porta a declassare la valenza artistica del quadro di Genova.
-Finirei questa serie di domande con un’ultima di altro genere ma altrettanto importante dal mio punto di vista, cioè preso atto che ogni volta che si parla di un’opera nuova o anche solo attribuita al Merisi c’è sempre molto clamore ed altrettanto disordine nelle informazioni, oltre all’apparire davvero deprimente di pseudo esperti e mediocrissimi personaggi che non si peritano di dire comunque la loro sciocchezza, ti chiedo: non sarebbe bene che le varie posizioni dei veri studiosi fossero espresse nelle sedi opportune, cioè nelle riviste d’arte o in appositi convegni o conferenze ?
R: Certo, hai ragione, ma c’è da tener presente che quando emerge una novità di questo tipo un certo clamore mediatico è inevitabile, il nome di Caravaggio attira sempre attenzione mediatica e anche attenzione popolare starei per dire.
–E’ vero anche noi di About Art abbiamo registrato un numero eccezionale di lettori l’8 aprile pubblicando il saggio di Massimo Pulini; e certo Caravaggio è Caravaggio, si trattasse che so ? di Sisto Badalocchio forse tutta questa attenzione non ci sarebbe …
R: Perché? Badalocchio è un gran bell’artista; comunque fuori dai paradossi, sicuramente come dici tu una cernita tra il grano e il loglio sarebbe sempre molto opportuna e tuttavia credo proprio che ci sarà occasione per organizzare un dibattito scientifico serio ed appropriato una volta che avremo a disposizione tutti gli elementi scientifici che possono aiutare, perché il confronto tra studiosi –studiosi ‘veri’, certamente- è, in casi come questo che abbiamo discusso, assolutamente necessario.
Alessandro ZUCCARI Roma 10 aprile 2021