di Nica FIORI
Tra le tante donne che hanno influenzato l’arte di Pablo Picasso (1881-1973), la prima fu Fernande Olivier (pseudonimo di Amélie Lang, 1881-1966), che ebbe con lui una relazione di quasi otto anni, quando il pittore non era ancora famoso. La giovane si era recata a Parigi per sfuggire a un marito tirannico e conobbe l’artista spagnolo a Montmartre nel 1904. Era una ragazza alta e robusta dalle forme belle e arrotondate e, ovviamente, posò per molte figure femminili dei primi anni del cubismo (tra cui anche per una delle Damoiselles d’Avignon), che non possiamo definire veri e propri ritratti, perché le sfaccettature delle figure fanno pensare a idoli africani e i volti spigolosi a misteriose maschere rituali, più che a donne reali.
È lei la modella nuda della Giovane donna di Picasso, un dipinto del 1909 proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo e finora mai esposto in Italia, che è in mostra a Roma fino al 15 maggio 2022 nel palazzo Rhinoceros, progettato da Jean Nouvel per Alda Fendi come sede di innovative esperienze culturali e di eventi d’arte.
Come già era accaduto per l’Adolescente di Michelangelo e per i Santi Pietro e Paolo di El Greco, la Fondazione Alda Fendi – Esperimenti ha ottenuto in prestito capolavori dell’Ermitage, per ricreare atmosfere di grande fascino in un ambiente espositivo molto particolare, generosamente aperto a tutti (l’ingresso alla mostra è gratuito) e proposto questa volta dal curatore Raffaele Curi in chiave musicale.
Non è privo di contrasto l’accostamento tra i fasti dell’antica Roma e in particolare l’Arco di Giano, sul quale si affaccia il palazzo, e la Parigi dell’epoca di Picasso rievocata nella mostra con le canzoni di Edith Piaf e Charles Trenet, le danze spagnole e i balletti russi.
Per la padrona di casa “la grande arte è senza tempo, sempre contemporanea, qualunque sia la stagione dalla quale emerge” e lo stesso palazzo Rhinoceros ce lo dimostra. Il suo strano nome allude alla presenza del grande rinoceronte bianco realizzato in resina, che ammiriamo all’interno del palazzo, e che è nato come installazione di Raffaele Curi davanti all’Arco di Giano.
Rhinoceros AT Saepta – questo è il nome dell’installazione che ricorda nel nome la gigantesca piazza dei Saepta nel Campo Marzio, una serie di recinti utilizzati per le votazioni – rimanda a un’idea di forza e di non convenzionalità, che la Fondazione intende portare avanti nella programmazione artistica e nella vita del palazzo. Quella non convenzionalità che Svetonio attribuisce ad Augusto (nelle Vite di dodici Cesari, XLIII), scrivendo:
“Egli era solito, anche fuori dei giorni degli spettacoli, se qualche volta veniva inviato qualche animale strano e degno di venir visto, a presentarlo al pubblico, in via straordinaria, in qualsiasi luogo, per esempio un rinoceronte nel recinto di Campo Marzio …”.
Così come il rinoceronte al tempo di Augusto, anche le prime opere cubiste di Picasso dovevano apparire una stranezza nel primo Novecento, tant’è che il collezionista russo Sergei Ivánovich Shchukin, pur amante del modernismo francese, quando nel 1909 viene accompagnato da Matisse nell’atelier di Picasso, inizialmente non capisce quelle immagini scomposte del cubismo, ma si lascia a poco a poco ammaliare dalla forza misteriosa che sprigionano, al punto da voler acquistare, dopo un anno di titubanza, la Dama con ventaglio del 1909 e in seguito tutta la serie di tele di Picasso del 1908.
E pensare che l’artista spagnolo, che dal punto di vista umano non era certo un esempio di sensibilità, aveva disegnato un’immagine caricaturale del collezionista russo con delle orecchie da maiale e vi aveva trascritto il nome del personaggio raffigurato con una grafia nervosa, che voleva riprodurre il suono incerto della sua voce. Fu proprio basandosi su quel ricordo che in seguito Fernande Olivier nel suo libro di memorie Picasso e i suoi amici lo descrisse così:
“Era basso, con una testa grande, una carnagione pallida e giallastra e lineamenti da maiale. Aveva una balbuzie terribile e riusciva a spiegarsi solo lentamente e con grande difficoltà, il che non solo era imbarazzante, ma sembrava sminuire ulteriormente la sua presenza fisica”.
Fu proprio Shchukin a dare il titolo “Giovane donna” al dipinto del 1909, come pure ad altri dipinti di Picasso appartenuti sempre alla sua collezione: un titolo che rispecchia la prudenza con cui, nell’ambiente dei mercanti di Mosca dell’inizio del XX secolo, veniva trattata la nudità.
In mostra è presente una fotografia della sala del palazzo moscovita di Shchukin, dedicata a Pablo Picasso nel 1914, nella quale si affollavano in un ambiente a cupola di 25 metri quadrati cinquantuno opere, disposte su più file, appartenenti ai periodi blu, rosa e cubista del pittore: vi si vede anche la Giovane donna in basso a sinistra.
A partire dal 1909 Sergej Shchukin, iniziò ad aprire la sua residenza ogni domenica all’élite intellettuale e artistica russa, per dar modo anche ai giovani pittori di conoscere le tele della sua collezione, che sarebbero state fondamentali per la nascita dell’avanguardia russa.
Requisite dallo Stato a seguito della Rivoluzione del 1917, tutte le opere della straordinaria collezione furono nazionalizzate e tenute per oltre trenta anni nei depositi, in quanto ritenute non idonee all’esposizione. Nel 1948 una parte di esse venne destinata all’Ermitage e solo negli anni Cinquanta iniziò finalmente a essere esposta. Attualmente il grandioso museo di San Pietroburgo vanta trentotto opere di Picasso: indubbiamente si tratta di una delle più importanti collezioni al mondo per la quantità e per la qualità dei dipinti picassiani.
La mostra a palazzo Rhinoceros è concepita come un teatro, che ha come protagonista Picasso con la sua Giovane donna, seduta e scomposta secondo le regole della sua geniale invenzione artistica. Il quadro emerge dal nero delle pareti e sembra illuminato da una luce interna. Prima di accedere alla sala espositiva si attraversa un ambiente dove sono proiettate sul pavimento le immagini in movimento di ballerini spagnoli.
Il motivo conduttore della mostra è proprio quello della danza, perché, secondo Raffaele Curi, Picasso è
“un artista legato fortemente alla musica. E le sue rivoluzioni pittoriche dal figurativismo al cubismo analitico seguono il classico quasi jazz di Satie, le pavane di Ravel, l’acciaio dorato di Stravinskij. Per me è musica da sempre: PI-CAS-SO”.
Dopo il Ballet Nacional de España, in cui il pubblico si trova immerso nella coreografia di Miguel Angel Berna, tra ritmi di nacchere e vivaci indicazioni impartite ai danzatori, in una sala al primo piano si può assistere comodamente seduti alla proiezione di Parade, il celebre balletto in un atto del 1917 della compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev, con musica di Erik Satie, soggetto di Jean Cocteau, coreografia di Léonide Massine, programma di Guillaume Apollinaire e con la direzione artistica di Pablo Picasso, che disegnò il gigantesco sipario, le scene e i costumi.
Ricordiamo che Picasso ideò le scene e i costumi di Parade proprio a Roma, dove giunse nel febbraio 1917, lontano dai campi di battaglia della prima guerra mondiale.
Se Parade rievoca l’atmosfera di un teatro di fiera, con un linguaggio estremamente moderno, molto stilizzato, il suo grandissimo sipario (realizzato a tempera su tela), al contrario, ha uno stile naturalistico, con una cavalla alata su cui volteggia una ballerina (la russo-ucraina Ol’ga Chochlova, che divenne sua moglie l’anno successivo e gli diede il figlio Paulo nel 1921) sulla sinistra e sulla destra i personaggi della Commedia dell’arte che fanno uno spuntino.
Furono proprio i Balletti russi nei primi decenni del Novecento a dare inizio a una grande tradizione di ampliamento dei linguaggi artistici tradizionali grazie all’unione del linguaggio espressivo della danza con le arti figurative, in una sorta di laboratorio pluridisciplinare cui aderirono i più importanti artisti del momento.
Nella mostra è ricordata anche la figura di Gertrude Stein (1874-1946), la poetessa e scrittrice americana alla cui figura di mecenate Alda Fendi idealmente si avvicina. La Stein è stata immortalata da Picasso in un dipinto del 1905-1906, che è evocato in mostra su una parete, quasi ad accogliere i visitatori. Dichiara a questo proposito Alda Fendi:
“Gertrude Stein con il suo gesto accogliente sceglie il talento di Picasso, ne è musa e talvolta consigliera, e tra le numerosissime donne amate dal pittore, forse la preferita…”.
Un altro focus espositivo è dedicato al rapporto tra Picasso e l’attore Raf Vallone (1916-2002), uno dei pochi italiani di cui l’artista fu amico, attraverso le fotografie provenienti dall’archivio del figlio Saverio Vallone. Non solo attore ma anche partigiano, calciatore del Torino e giornalista con ben due lauree, Raf Vallone fu un vero intellettuale dal profilo molto interessante. Una foto lo ritrae a casa di Picasso a Parigi. In un’altra del 1958, Vallone è raffigurato nel suo camerino, con Picasso, Jean-Paul Sartre e Jacques Prévert, dopo il suo debutto parigino nell’opera teatrale Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con la regia di Peter Brook: un vero successo che ebbe ben seicento repliche.
Completano la mostra molte altre immagini fotografiche, sistemate volutamente in modo disordinato, riguardanti la vita privata di Picasso: scatti che lo vedono al fianco di tante personalità dell’epoca, appartenenti al mondo dell’arte, del cinema, della letteratura, della politica e che raccontano la varietà delle sue amicizie e dei suoi amori.
Nica FIORI Roma 20 febbraio 2022
“Pablo Picasso. Giovane donna 1909. Dal Museo Statale dell’Ermitage di San Pietroburgo in mostra a Roma”
15 febbraio – 15 maggio 2022
Palazzo Rhinoceros, Roma, via del Velabro 9A
La mostra è aperta dal martedì alla domenica dalle 11.00 alle 24.00. Ingresso gratuito. È necessaria la prenotazione a http://rhinocerosroma.com
Per informazioni: (+39) 340.6430435 gallery@rhinocerosroma.com