di Claudio LISTANTI
Lo scorso 16 luglio ha preso il via la 47^ edizione del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano.
La rassegna poliziana, una delle più celebrate e seguite dell’estate culturale italiana, è oggi guidata da Mauro Montalbetti che ne ha approntato il programma generale puntando molto sull’innovazione e sulla presenza di giovani musicisti e interpreti rafforzando quelle prerogative donate al Cantiere dal suo fondatore, il grande Hans Werner Henze, che è riuscito a dare alla sua creatura una impronta indelebile che ha condotto la manifestazione, a poco meno di mezzo secolo dalla fondazione, a conservare completamente intatto il suo spirito fondativo.
La prima delle tre settimane di programmazione del Cantiere è stata caratterizzata dal ritorno alla grande di uno degli elementi strutturali più significativi del festival, l’opera lirica, uno dei generi musicali più importanti della Storia della Musica, portando in palcoscenico lavori provenienti dalla storia e dalla tradizione dell’opera italiana per giungere fino al contemporaneo, e alla contemporaneità, orientando il punto di osservazione non solo verso i compositori di oggi ma, anche, commissionando a musicisti partiture da portare a battesimo proprio nell’ambito del Cantiere con rappresentazioni ospitate nella deliziosa sala del Teatro Poliziano che, assieme a Piazza Grande, sono veri e propri centri gravitazionali del Cantiere, senza dimenticare che al loro fianco vanno doverosamente ricordate le altre manifestazioni teatrali e musicali che si volgono in diverse località del territorio.
Le tre opere rappresentate questa settimana sono state Rita di Gaetano Donizetti e un dittico composto da due opere in un atto, entrambe commissionate dal Cantiere, entrambe in prima esecuzione assoluta ed entrambe affidate a giovani musiciste: Between mirrors: memories blundering merge su musiche e libretto di Sara Stevanovic e L’ombra di un meriggio lontano su musiche di Virginia Guastella.
La Rita di Gaetano Donizetti è stata inserita nella giornata inaugurale del Cantiere 2022 rivelatasi evidente ‘baricentro’ di un momento speciale, anche piuttosto delicato, per ogni manifestazione culturale, che è appunto l’avvio, con il quale si stabilisce il rapporto con il pubblico e la cui riuscita può essere considerata fondamentale per il proseguo di tutto il programma.
E l’esecuzione di Rita di Donizetti ha dimostrato di essere un brillante avvio per il Cantiere per una serie di motivi. Innanzi tutto la scelta del titolo che ha consentito al pubblico di conoscere un’opera che, nonostante le piccole dimensioni, possiede pagine senz’altro valide per consentirle di uscire dal quel ‘torpore’ nel quale è stata relegata dalle scelte artistiche dei teatri di tutto il mondo. Nonostante questo piccolo gioiello può contare su diverse incisioni, sia in studio che dal vivo, il Cantiere ne ha consentito una adeguata conoscenza.
Rita fu composta da Donizetti nel 1841 e fa parte di quel genere denominato opéra-comique, nato in Francia avente come particolarità il fatto che le parti cantate si alternano a dialoghi parlati, una struttura nata per essere in contrasto con l’opera di origine italiana. Il titolo originale è Rita, ou Le mari battu ed ebbe anche il titolo alternativo di Deux hommes et une femme. La biografia di Donizetti ci dice che l’opera fu composta in un periodo nel quale il musicista bergamasco aveva già dato alla luce molti dei grandi capolavori per i quali è conosciuto in tutto il mondo (Anna Bolena, Lucia di Lammermoor, Lucrezia Borgia, Elisir d’amore, Maria Stuarda solo per fare qualche esempio) ed era a Parigi in momentanea inattività. La composizione di Rita fu intrapresa quasi per divertimento e per tenersi in esercizio; la partitura finì in un cassetto dal quale uscì solamente dopo la sua morte quando fu rappresenta, in lingua originale francese, nel 1860 al teatro dell’Opéra-Comique.
Rita, il cui libretto fu scritto da Gustave Vaëz, è un atto unico dall’azione molto stringata ma avvincente, che possiede nella trama degli elementi contrastanti con le consuetudini operistiche dell’epoca che ha come elemento principale la visione di un personaggio femminile diverso, Rita, donna non ‘dominata’ dal personaggio maschile ma, al contrario, assume una funzione ‘dominante’ verso l’altro sesso.
Rita ha sposato un marinaio di nome Gasparo che, il giorno delle nozze, dopo averla picchiata, l’ha abbandonata ed è fuggito. Resta convinta che suo marito è morto in un naufragio e, quindi, si risposa. Ma questa volta non farà l’errore del primo matrimonio. Prenderà un ragazzo timido e di lei più giovane, Beppe, che tiene sotto scacco minacciandolo e picchiandolo ad ogni sbaglio. Gasparo però non era morto e ritorna per cancellare le prove del precedente matrimonio per poter sposare la sua nuova fidanzata canadese. Beppe narra a Gasparo le angherie subite e vorrebbe restituirgli la moglie così manesca. Gasparo non ci pensa proprio: si procura l’atto di matrimonio e lo distrugge per riprendere il mare e raggiungere la sua nuova ‘fiamma’ canadese ed istruendo Beppe per non farsi sovrastare dalla moglie.
Per parlare della realizzazione dello spettacolo iniziamo dalla parte visiva, affidata al regista francese Vincent Boussard che ha concepito uno spettacolo del tutto semplice nell’insieme. Pochi elementi scenici contenuti all’interno delle mura perimetrali del palcoscenico del Teatro Poliziano tutte completamente a vista quasi a sottolineare quello status di ‘lavori in corso’ che è una delle prerogative del Cantiere con il completamento dei bei costumi per una parte visiva la cui cura è stata affidata agli allievi Accademia di Belle Arti di Macerata che con il coordinamento di Domenico Franchi hanno realizzato una messa in scena elegante ed incisiva alla quale si abbinavano i movimenti scenici concepiti da Boussard, il tutto in funzione dell’intelligibilità di tutto lo spettacolo. Per questa edizione di Rita è stato deciso di cambiarne il finale.
Dopo l’accordo tra Beppe e Gasparo si ode uno rumore. I due pensano ad uno sparo e preoccupati prendono una pistola e si sparano a vincendo morendo sul colpo. Non ce ne voglia chi ha deciso per questa soluzione ma dobbiamo dire che si è rivelata del tutto inutile in quanto non aggiunge nulla all’originale che di per sé risulta efficace e del tutto in linea con questo genere di opera.
Per quanto riguarda la parte musicale è stata scelta la via dell’utilizzo di una trascrizione per una orchestra di tipo cameristico più adatta ad un luogo teatrale come il Teatro Poliziano e la sua sontuosa acustica. Il compito è stato commissionato al musicista Paolo Cognetti: citiamo le sue stesse parole per comprenderne la sostanza:
“La trascrizione che ho realizzato su commissione del 47° Cantiere Internazionale d’Arte vede una drastica riduzione dell’organico rispetto alla partitura originale. Dal punto di vista sonoro questo comporta una maggiore differenziazione dei timbri e un diverso bilanciamento tra le sezioni, in particolare quelle dei legni e degli archi e, più complessivamente, tra l’intero gruppo strumentale e le voci. Sebbene, in accordo con il Maestro Mauro Montalbetti, io abbia sempre seguito il principio di maggiore fedeltà possibile all’originale, l’effetto andrà nella direzione di un suono più scarno, ruvido e, in un certo qual modo, contemporaneo.”
All’ascolto, però, l’esecuzione ci è parsa del tutto in linea con lo spirito originale dell’opera dove ‘verve’, eleganza e leggerezza son ben presenti permettendoci di appezzare la freschezza della partitura.
Strutturata con la consueta alternanza tra parlati e parti musicali propria del genere opéra-comique, la partitura prevede otto numeri musicali con una aria per ognuno dei tre personaggi, diversi pezzi a due e un terzetto. In essi sono ben evidenti gli stilemi del Donizetti buffo che all’epoca aveva già dato apprezzabili risultati e che rimandano direttamente all’Elisir d’amore e ai duetti Belcore/Nemorino (qui Beppe/Gasparo) e Adina/Nemorino (qui Beppe/Rita) o il terzetto della parte finale. In alcuni momenti sono evidenti nella parte femminile, alcuni richiami a quei recitativi delle grandi regine donizettiane (Borgia, Stuarda) ma, nell’insieme, ci sono anche i prodromi di quello che sarà il Don Pasquale che un anno e mezzo dopo, nel 1843, irromperà sulle scene per divenire poi il capolavoro, forse, più importante del Donizetti buffo.
Par quanto riguarda gli interpreti vocali il ruolo del titolo è stato affidato a Patrizia Ciofi, soprano tra i più apprezzati del nostro teatro lirico, che ha messo a disposizione della serata non solo la sua voce e la sua valida tecnica vocale ma anche la sua presenza scenica, tutti elementi che nella sua carriera le hanno consentito di emergere nei ruoli di carattere buffo/leggero soprattutto in quelli donizettiani. Altra piacevole sorpresa è stata la prova del tenore Matteo Tavini, giovane cantante al debutto assoluto, in possesso di una voce molto chiara e duttile che ci ha offerto un Beppe del tutto convincente mostrandosi, nonostante la giovanissima età, pronto per una carriera che, se condotta con giudizio e saggezza, si potrà rivelare luminosa.
Nella parte di Gasparo il baritono tedesco Dietrich Henschel, pur corretto nelle emissioni è risultato un po’ opaco togliendo al personaggio un po’ di quel ‘brio’ necessario alla sua caratterizzazione. Marc Niemann, quest’anno direttore musicale del Cantiere, grazie anche all’importante contributo dell’Orchestra Filharmonie, ha diretto in modo da dare all’esecuzione i giusti impulsi musicali necessari per rendere evidenti tutti i preziosismi della partitura per essere, così, parte integrante anche della realizzazione scenica.
Il 16 luglio un pubblico particolarmente numeroso ha assistito alla recita sottolineando al termine il totale gradimento per quanto ascoltato con convinti e sonori applausi rivolti non solo ad ogni singolo interprete ma anche a tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questa bella serata d’opera.
Due nuove commissioni per un dittico di opere sul tema della memoria e del ricordo
La relazione tra il Cantiere Internazionale d’Arte e l’Opera lirica è proseguita il 21 luglio con un altro intenso spettacolo affidato a due commissioni dello stesso Cantiere per due brevi opere da rappresentare in dittico e in prima assoluta. Ad ottenere l’incarico sono state due musiciste, un fatto che ha rafforzato ancora una volta questa ‘rivoluzione’ in campo musicale dove alla donna, per anni incomprensibilmente considerata non idonea alla composizione, viene offerta la possibilità di esprimersi con una delle forme artistiche più coinvolgenti e dimostrando così anche in questo caso, di avere tutti i numeri necessari per ottenere successo.
Sono state scelte la giovane serba Sara Stevanovic e la già affermata siciliana Virginia Guastella. Le due prescelte hanno in comune il fatto di possedere un evidente talento letterario che le ha consentito di redigere anche il libretto e di produrre, secondo l’impronta artistica voluta da Mauro Montalbetti direttore artistico del Cantiere, uno spettacolo certamente rispettoso della diversità dello stile di ognuna delle musiciste ma anche coeso, quasi ad essere considerato come due facce della stessa moneta.
Le due brevi opere sono state costruite su elementi comuni. Hanno lo stesso organico strumentale utilizzato dalle autrici con la loro personale tecnica compositiva e soprattutto l’ispirazione di fondo dove la memoria e il ricordo sono gli elementi drammaturgici fondamentali trattati, ognuno, con la sensibilità e l’emotività di ognuna di esse.
L’opera composta da Sara Stevanovic ha per titolo Between mirrors: memories blundering merge (Tradotto: Tra gli specchi: ricordi che si fondono in modo confuso) mentre, per Virginia Guastella, L’ombra di un meriggio lontano. Due opere in un certo senso ‘speculari’ dove la memoria ed il ricordo ha ispirato alla Stevanovic un’opera basata su sensazioni astratte più che su fatti e drammi interiori personali come nel caso di quella di Virginia Guastella.
Con Between mirrors la musicista Sara Stevanovic, che la classifica come opera per voce, ensemble, elettronica e video, ha posto all’attenzione dello spettatore il travaglio interiore di una donna ed il suo dramma della perdita della memoria, una condizione che la porta a chiedere aiuto ad un analista per uscire da questo tunnel. Il terapeuta tenta il recupero della memoria tramite lo stimolo dei ricordi e di quelle sensazioni che possono scaturire dal passato. La parte musicale, a nostro avviso, ha descritto con efficacia questo stato d’animo grazie ad una linea di canto praticamente indefinita, poco incline alla melodia ma piuttosto rivolta ad un declamato molto espressivo accompagnato da diverse parti parlate. Al testo inglese di base si alternavano alcune parti in italiano elemento che ha favorito la percezione di questo senso di squilibrio del personaggio così come la strumentazione del tutto rivolta a sottolinearne lo stato d’animo e l’interiorità, molto ben interpretato da Laura Zecchini. Alla realizzazione ha contribuito in maniera determinante una parte virtuale alla quale è stata affidato il personaggio dell’analista, Francesco Demichelis, ed una importante parte video della quale ci ha colpito la realizzazione della protagonista da vecchia, ottenuta con un procedimento (lasciatecelo dire con un termine antiquato) ‘computerizzato’. Ad essa ha partecipato anche Barbara Di Lieto che ha curato anche tutta la parte registica.
L’ombra di un meriggio lontano di Virginia Guastella, opera in un atto unico per due voci ed ensemble, entrava in felice contrasto con l’opera precedente. Virginia Guastella ha voluto rendere omaggio alla figura di Amelia Rosselli figlia di quel Carlo Rosselli, giornalista, filosofo e storico ucciso nel 1937 dalla barbarie fascista assieme a suo fratello Nello. Per Amelia, allora bambina di sette anni, fu una esperienza traumatica che ha condizionato tutta la sua vita nella quale questo ‘assassinio’ ne ha influenzato il percorso. Poetessa e musicista fu personalità artistica molto apprezzata nell’ambiente letterario italiano. La sua esistenza fu anche segnata da un altro episodio importante, l’improvvisa morte nel 1953 del suo amore, il poeta Rocco Scotellaro. La sua fu una esistenza infelice e tragica segnata anche da trattamenti terapeutici che per un lungo periodo del ‘900 erano considerati necessari ma rivelatisi devastanti come l’elettroshock. Un disagio interiore che la spinse al suicidio che, nel 1996, pose fine alla sua vita.
La Guastella ha incentrato l’opera su questo dramma interiore di Amelia iniziato con l’assassinio del padre in quel ‘meriggio lontano’ donandole, come lei stessa ha dichiarato, i caratteri di ‘opera contro la guerra’ ritenendo questa la causa scatenante dell’infelice esistenza di Amelia.
Innanzi tutto ha creato un libretto utilizzando, oltre all’italiano, anche il francese e l’inglese, come usava fare la stessa Amelia citando, al fianco dei suoi, versi di Pasolini, Kafka e Dante. Per quanto riguarda la parte musicale la Guastella si è ispirata con una certa chiarezza alle poetiche musicali della prima metà del ‘900, non in senso retrogrado ma, piuttosto, perché in esse quel senso di tragedia dovuto alla guerra e alle sue brutture spesso si può scorgere in diverse partiture di quel periodo. Anche la strumentazione, ovviamente, ha seguito questa regola, regalandoci un ascolto tanto intenso quanto coinvolgente per tutti noi spettatori. Uno stile che ha coinvolto anche la vocalità, soprattutto quella di Amelia, dalla linea vocale piuttosto intensa ma spesso accoppiata ad un declamato felicemente espressivo completata da accenni melodici che ne rafforzavano l’espressività. Il secondo personaggio, appellato con un generico ‘Tu’, nel quale forse si può identificare l’ascoltatore, è stato affidato ad un controtenore, soluzione spesso adottata nel campo della musica contemporanea.
Nelle due parti vocali hanno brillato il soprano Maria Eleonora Caminada che ha realizzato con sicurezza la non facile parte vocale ed il controtenore Danilo Pastore, giovane cantante ma già in possesso di un vasto repertorio che va dal barocco alla musica contemporanea, una esperienza vocale che gli ha consentito di interpretare con facilità e tranquillità la parte. La regia di Eva-Maria Melbye è stata del tutto funzionale a rappresentare la forza emotiva dei quell’assassinio che ha sconvolto la vita di Amelia, con una narrazione cruda e drammatica che ha avuto il suo zenit nel momento dell’elettroshock risultato terrificante per lo spettatore assieme al suicidio finale, momenti fondamentali ben riusciti anche grazie alla bravura scenica dei due cantanti.
Concludiamo con la parte prettamente scenografica che è stata concepita per dare allo spettacolo una unitarietà di base con delle scelte sceniche, che pur rispettando le peculiarità di ognuna delle opere, ha comunque dato quel senso di omogeneità nell’insieme. Questo grazie a alle luci di Fabiola Tacchi e Walter Vivirito, alle scene di Federica Angelini e Luca Luchetti, ai costumi di Mariafrancesca Biasella e Linda Lovreglio e all’Accademia delle Belle Arti di Macerata tutti coordinati da Domenico Franchi.
Infine la direzione musicale affidata a Francesco Bossaglia con la quale ha efficacemente contribuito, con incisività e sicurezza, a rendere il contrasto tra le due poetiche musicali grazie anche alla collaborazione di Altrevoci Ensemble formato da Laura Bersani flauto, Martina Di Falco clarinetto, Chiara Ludovisi viola, Filip Szkopek violoncello, Mattia De Zen trombone, Marco Pedrazzi pianoforte, Margherita Naldini contrabasso e Albert Fiorindi percussioni.
Il pubblico in sala non era particolarmente numeroso ma, trattandosi di Musica Contemporanea, confortantemente cospicuo. Ha applaudito a lungo tutti gli interpreti sia al termine della prima parte sia al termine dello spettacolo dimostrando pieno gradimento per una serata che ha goduto della splendida acustica e deliziosa architetture del Teatro Poliziano.
Claudio LISTANTI Roma 24 Luglio 2022