di Maurizio e Marcello FAGIOLO DELL’ARCO
Mentre nei cieli d’Italia e d’Europa restano accesi i fuochi d’artificio delle Mostre su Leonardo nel 4° centenario della morte (1519-2019), AboutArt online vuole oggi ricordare due ricorrenze più ravvicinate, l’ottantesimo anniversario della nascita di un illustre critico d’arte, Maurizio Fagiolo dell’Arco (1939-2002) e il novantesimo anniversario di Elio Marchegiani (nato nel 1929: per lui lo stesso Maurizio curò una Mostra nel 1967).
Affidiamo il nostro ricordo alla riedizione del testo introduttivo al prezioso catalogo-oggetto della Mostra “La Luce” inaugurata a Roma nel febbraio 1967 nella ormai storica “Galleria dell’Obelisco” di via Sistina (1946-78), la prima importante Galleria fondata a Roma nel dopoguerra da Gaspero Del Corso e da Irene Brin (della quale ricorre quest’anno il cinquantenario della morte), Galleria che, come ha scritto Lorenza Trucchi, “segnò la vita intellettuale e sociale della Capitale, legando con scintillante intelligenza il lato squisitamente mondano a una operazione culturale sempre tempestiva e di prestigio internazionale”.
Il testo, firmato da Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco (due mesi dopo la pubblicazione della anch’essa “storica” monografia Bernini – una introduzione al Gran Teatro del Barocco, costituisce una vera e propria girandola di flash, come suggerisce il sottotitolo del saggio: 12 flashes sulla luce in arte di Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco
Ringraziamo per la segnalazione del testo Marcello Fagiolo (il quale ha pubblicato recentemente un “illuminante” saggio sulla Luce di Bernini nel libro Dolce è la Luce. Arte, architettura, teologia, a cura di Lydia Salviucci Insolera e Andrea Dall’Asta; ringraziamo poi Carolina Marconi, che ha preparato per noi l’apparato illustrativo (il catalogo del 1967 era privo di immagini).
“Copertine di Bernini – una introduzione al Gran Teatro del Barocco di Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco (1966) e Rapporto 60 – le arti oggi in Italia di Maurizio Fagiolo dell’Arco (1966)”
Lo scorso anno il Comune di Genzano ha dedicato una giornata di studi ai fratelli Fagiolo e al padre, il grande poeta romanesco Mario dell’Arco: “Omaggio a Mario, Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco” (vedi i testi pubblicati nella rivista “Castelli Romani”, maggio-giugno 2018).
Va ricordato infine che prossimamente, il 14 dicembre 2019, si svolgerà a Terni un convegno sulla Fontana realizzata nel 1934 da Mario Ridolfi e Mario Fagiolo (con mosaici di Corrado Cagli): “La Fontana di piazza Tacito a Terni: quando l’architettura è poesia”. Si tratta di un capolavoro dell’architettura del Razionalismo italiano, un inno alle acciaierie di Terni e un simbolo della città, di cui è imminente il restauro, che di notte si accendeva attraverso una suggestiva illuminazione
DOLCE è LA LUCE – scarica il pdf
LA CITTÀ DEL SOLE (artificiale)
12 flash sulla luce in arte
MAURIZIO e MARCELLO FAGIOLO DELL’ARCO
Forse sarà la luce, come la prospettiva nel Rinascimento, la «forma simbolica del nostro secolo». È la luce il primo comandamento nella Repubblica delle arti (troppo confinante con il territorio di Anarchia). La luce è colore: tutti i colori e insieme una massa indistinta, amorfa. La luce è movimento: tutti i movimenti e insieme la stasi (estasi?), l’equilibrio. E solo attraverso la luce potrà veder la luce il cinema, lucida sintesi delle arti, mito e strumento del nostro secolo (come l’incisione per il ‘500 e la «commedia dell’arte» per il ‘600). Luce di Broadway, stelle di Hollywood, neon della «ville lumière». I fratelli Lumière.
Dalla luce nascono molti fenomeni naturali: arcobaleno, aurora boreale, crepuscolo, lampo, perfino il miraggio. Luce raggiante, luce diffusa, luce filtrata. Dispersione della luce, ricomposizione. Luce bianca, luce nera, fluorescente. Luce rifratta, luce polarizzata. Luce «autre»: infrarossa, ultravioletta. E, perfino, luce come richiamo sessuale (è questo il fine della misteriosa luminosità delle lucciole e di molti pesci, luce nel buio o negli antri del mare).
L’intervento della luce nell’arte dovrà essere inquadrato storicamente ma anche studiato in chiave fenomenologica. Non si tratta, in realtà, d’un processo evolutivo ma di una avventura di corsi e ricorsi. Il nostro piccolo schedario della luce vuole proporre una anatomia della luce aldilà delle distinzioni storiche. Il problema, rivelato in termini scientifici dalle illuminanti scoperte di fine ‘800, si porrà come esigenza esistenziale nella lotta del Futurismo, ma già aveva trovato un preludio allegorico nell’arte barocca. Il Seicento, accusato in seguito di oscurantismo, ebbe un vero culto per la luce in tutti gli aspetti razionali e irrazionali: Bernini, demiurgo del «gran teatro del Barocco», sperimentava tutte le virtualità della luce (luce riflettore, luce spiovente, luce di quinta, controluce, semiluce), per non parlare della «lirica della luce» di Borromini o della «scienza della luce» di Guarino Guarini.
LUCE COME COSMOGONIA
Il primo atto della creazione (Genesi, 1) fu il processo allegorico della separazione di luce e tenebre. L’artista d’oggi, che sperimenta e ricostruisce in laboratorio ogni frammento del mondo, riparte proprio di là, dal primo mattino del mondo. Ma la scoperta moderna della divinità della luce era già tutta nella pittura di Caravaggio, nei pochi gesti illuminati che fendono un mondo oscuro, senza orizzonte: dove la luce è la prova del buio, e la certezza svanisce nella nostra tenebrarum valle.
LUCE COME ILLUMINISMO
È in questo caso un segno tangibile della vittoria dell’uomo sull’oscurantismo: si illumina una nuova frontiera. Dal pensiero della Rivoluzione francese fino al Futurismo («Noi Futuristi ci proclamiamo signori della luce»). Cartesio, Re-Sole, Diderot, Voltaire, Delaunay, Duchamp, Le Corbusier (e il filone francese arriva fino al «Groupe de Recherche d’Art Visuel»). Sua Maestà la Luce governa il mondo insieme alla Dea Ragione. E la Luce era anche all’origine d’un pensiero assai rispettato dagli illuministi, quello della massoneria.
LUCE COME ILLUSIONISMO
L’illusione, l’Inganno degli occhi (è il titolo d’un trattato del ‘600) diventa regola. Con un procedimento quasi fotografico l’opera d’arte cerca di impressionare quella pellicola sensibilissima che è l’occhio umano, non con la realtà oggettiva bensì coi dolci inganni della luce-colore. L’immagine non «è» ma «diviene», la materia sotto l’impulso dell’energia luminosa diventa forma e subito si trasforma, si deforma. Il duplice procedimento di formazione, già studiato da Goethe teorico dei rapporti tra luce e colore, è indubbiamente la chiave di volta di ogni costruire con la luce. «Tutto si crea, tutto diviene, nulla si distrugge» è il primo teorema della luce. E il secondo: «La forma totale non è uguale alla somma delle singole forme». Ovvero, la didattica della illusione.
LUCE COME METAFISICA
La luce ci proietta in un cielo senza sfere celesti e senza sovrani abitatori: non la religione ma la scienza e a volte la fantascienza. Ecco Mercurio passa davanti al sole di Balla, una cerimonia astrologica. E, oggi, ecco il fanta-impressionismo di Malina. Nello spazio sidereo la luce può essere fotografata, è essa stessa fotografia. Luce come spazio: ed ecco le camere spaziali, la fanta-arte dello stregone LUCio Fontana. E poi, dopo la luce delle stelle, la luce del mare: ecco gli effetti sottomarini creati con la luce e col fuoco (ambedue connessi col mercurio, elemento fulcro della ricerca alchemica). In dialettica con la luce zenitale è la luce degli abissi: la realtà metafisica di cui stiamo parlando è la scala di Giacobbe o sono le Malebolge, è il sole o lo zolfo, è Simon Mago o Icaro, è Febo o Lucifero? Ed entra in crisi il dogma della sacralità della luce: si affievolisce la luce delle eterne-idee di Platone; la divina luce emanata (nella dottrina neoplatonica) si incarna sempre più spesso in una natura demoniaca; la divina-proportione diventa oscuro fantasma. Ed ecco la metapsichica della luce: non sarà inutile ricordare la passione di Boccioni per la teoria medianica degli ectoplasmi. La luce nasce direttamente, anche se invisibilmente, dal corpo umano: ovvero «la lumière c’est moi».
Ma surreale, metafisica, resta la continuità del fattore luce: dopo il perpetuum mobile ecco una lux perpetua, senza lugubri moralismi ma con l’ottimismo della metempsicosi. Luce che nasce semper eadem, semper alia dalle proprie ceneri, immateriali e luminose come il pulviscolo atmosferico.
LUCE COME VELOCITÀ
La luce, anzi, è la stessa configurazione visibile della velocità. Movimento e luce sono alla base del pensiero futurista («Noi proclamiamo che il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi»); e si chiamerà «Raggismo» la corrente nata in Russia sulla scia di Marinetti. Velocità della luce: è la scoperta di Michelson e Morley che apre la strada alla «relatività» di Einstein. E nell’arte, nuovi significati: rapidità d’immagine, rapidità di percezione, capacità di appropriazione moltiplicata. E, ancora una volta, la metafisica ritorna alla fisica: ecco, l’uomo trionfa del suo sapere e poter vedere.
LUCE COME DURATA
Luce moltiplicata dal tempo. Analisi del tempo della percezione. Luce al microscopio, al rallentatore: vedi gli esperimenti sulla luce polarizzata di Munari e sulla persistenza della luce nel fosforo di Boriani. Intermittenza lentissima della luce nell’oggetto di Enzo Mari (1961): un’opera che richiede la contemplazione, un distacco mistico vagamente orientale. Tempo a orologeria, tic-tac luminoso, diagramma del calore, chiaroscuro, sfumato, stiacciato dalla luce. C’è il tempo-sogno (impressione, ossessione, esasperazione) nell’Helios di Elio Marchegiani, ovvero l’autoritratto d’un veggente (Rimbaud o Cassandra?): occhi sul mondo, fuori del mondo, prima e dopo i mondi. C’è il tempo variabile, dal piano al fortissimo alla stasi, nell’oggetto di Schöffer: dove la velocità della luce diviene accelerazione e decelerazione della luce. Flusso di luce, flusso di coscienza.
LUCE COME RITMO
Nei primi esperimenti la musica veniva trascritta automaticamente in luce-colore: vedi la sinfonia Prometheus di Scriabin (1914) alla Carnegie Hall di New York con una coreografia di fasci di luce colorata e mobile. Nell’allestimento di Balla per i Fuochi d’artificio di Strawinsky (1917: ora ricostruito in vitro da Marchegiani) è invece l’immagine che diventa luce, in sintonia con le invenzioni pirotecniche del musicista. La scena era gremita di inquietanti forme di cristallo, con bagliori di luce-colore: forme madreporiche, simboli di infinito (spirali, onde correnti), emblemi della luce (OBELISCO, piramidi, raggi di sole e falci lunari), aerodinamogrammi (aeroplani o delfini? Ancora una volta il volo e la navigazione subacquea, il fuoco e l’acqua saldati nel nodo alchemico). Uccelli di fuoco. E su questa via troviamo gli esperimenti di Schöffer (torre cibernetica a Liegi), di Vardanega (vedi i «colori sonori», progetti di torri pubblicitarie alte venti metri: colori scalari, scale musicali di colore). Si arriva all’opera totale, al «Poema sinfonico» di Le Corbusier (1958) in cui l’architettura dà il «la» alla rappresentazione di spazio-luce-suono-colore. Si arriva al Plurimo-luce di Vedova per il padiglione italiano di Montreal (1967).
LUCE COME SPETTACOLO
Proprio la luce fu il primo spettacolo del mondo per gli uomini ansiosi che vivevano ogni nuova aurora col terrore che sarebbe stata l’ultima. Luce-latria preistorica di Stonehenge, culti solari degli egizi (l’OBELISCO come raggio di luce pietrificato). Mitologia della luce, filosofia della luce. Fino alla gioia ingenua degli spettacoli pirotecnici, fino a «Suono e luci», sacra-rappresentazione del Kitsch. Mistificazione della luce; follia della luce: nella città del sole artificiale non mancano le allucinazioni, i miraggi, i «colpi di sole». Luce notturna come droga per chi non riesce più a percepire il dono della luce naturale («Mamma, dammi il sole!»). Balletto della luce, danza macabra della luce. Babilonia notturna, luna-park come modello di vita, milleluci, gioco come tortura, infernale contrappasso. Le Parc.
LUCE COME PAESAGGIO URBANO
E siamo ancora al Futurismo che vede nella luce l’emblema luminoso della terra promessa. Un mondo non più spaccato in due, tra notte e giorno, tra la stasi e l’azione, ma travolto dalle più adorabili pazzie (lavorare di notte, dormire di giorno?). E rifluiscono continuamente le funzioni, e si trasforma infine lo stesso vivere-nel-mondo. L’universo come macchina perfetta. Luci della città: rivelano il vizio e il piacere, l’attivista e il parassita della società, tutto il flusso della vita. La notte non esiste più: esiste l’ambiente. Le case lontane che entrano negli occhi, l’occhio del neon che fruga le strade senza pietà, la pietà della notte che soffoca infine lo stupido attivismo di Metropolis (ricordate l’apocalisse di New York rimasta senza luce?).
LUCE COME OGGETTO
Muore la metafisica. Boccioni: «La corrente di luce è considerata nel quadro futurista come una direzione di forma che si può disegnare, che vive come forma e che ha il valore tangibile di qualsiasi altro oggetto». Non riteniamo casuale il grande interesse dei Pop, teorici dell’oggetto, per la luce: ricordiamo le torce elettriche di Johns, le lampade di Rauschenberg, le stanze illuminate di Dine, la fosforescenza di Rosenquist, l’ambiente-luce di Segal contrapposto all’uomo-oggetto. Ancora una volta, il fatto più metafisico torna fisico, si fa palpare (direbbe un marinista) con le mani degli occhi. Nel Diamante di Vardanega il prezioso pulviscolo di luce si concretizza nell’immagine di mille pietre preziose. E Le Corbusier? Dopo la leggenda neo-platonica dei «volumi puri sotto la luce» viene l’architettura come oggetto luminoso, come «machine-à-éclairer» (La Tourette, Ronchamp).
LUCE COME TECNICA
Quel che oggi conta è proporre non tanto una presentazione e neanche una rappresentazione, ma un rapporto «tecnico» tra l’opera, l’artista, il mondo. Ripartiamo dal Futurismo? Già allora l’esperienza tecnica della luce (elettricità) diveniva l’immagine-archetipo dell’arte, aurora di utopia. Ecco la luce- declamazione di Marinetti (Elettricità, dramma del 1913); ecco la luce tecnologica di Sant’Elia (le Centrali elettriche sono le cattedrali della «Città nuova»); ecco la luce riflessa e dinamica di Severini (paillettes delle ballerine, figura umana al caleidoscopio); ecco la «luce in libertà» di Boccioni e poi l’«intonaluci» di Balla. E un manifesto contro Venezia passatista proclamava il dogma della «divina luce elettrica».
LUCE COME ALCHIMIA
Questo è l’approdo, à la recherche della «luce filosofale». Atmosfera di medioevo: purificazione e ascesi, ma anche peccato e vizio eretico, creazione contro natura, frode insinuata nella macchina dell’universo. L’elemento più prezioso, la luce, è creato con la materia impura, con mezzi umili ed extra-artistici (così parlerebbe il Fu Benedetto). La ricerca tendeva alla creazione di Homunculus, il fanciullo alchemico, attraverso l’unione simbolica dell’elemento maschile (zolfo, fuoco) con l’elemento femminile (mercurio) durante i tre stadi della cottura (nero bianco rosso). E lo sforzo di penetrare nel cuore dell’universo è ancora più evidente nei misteriosofici esperimenti magnetici (Takis, Boriani). La fabbrica della luce è ancora circondata da un alone di mito, da un sospetto di astrologia, di alchimia. Anche se l’antro sulfureo cede il posto all’attrezzatissimo laboratorio, anche se il crogiolo e l’alambicco vengono sostituiti da valvole e transistors, resta quel senso di pagana demiurgia, di parafrasi dei sette-giorni, resta la volontà prometeica di restituire agli uomini l’immagine della luce e del fuoco. E possiamo concludere con la parabola goethiana di Homunculus, l’essere in-vitro creato da Faust. Vede tutto, legge nei pensieri e nei sogni, ma non ha consistenza: deve «diventare natura»: ed ecco il bagno nella grecità, ecco la danza frenetica del «sabba classico», e alla fine la corsa verso il mare (mare di Afrodite, mare di Nettuno): la fiala di vetro si infrange e Homunculus si dissolve in una vampa di luce.
Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco Roma ( 6 febbraio 1967)