di Simone LUCCICHENTI
Curioso che nomi come Giovanni Muzio , Piero Portaluppi e Franco Albini, riaffiorino da qualche anno nella pratica quotidiana di molti architetti internazionali. Girando per il mio studio di Londra non è raro imbattersi in testi e pubblicazioni sui grandi nomi del modernismo “made in italy”.
Quello che del moderno spesso infatti sopravvive negli studi più affermati di oggi sono sopratutto i grandi esempi di maestri come Louis Kahn o Paul Rudolph , molto meno si era esplorato della variegata ed esemplare scuola italiana .
Casi eccezionali sono Terragni, Carlo Scarpa e Giò Ponti , i quali da molti anni sono guardati all’estero con nostalgica ammirazione ma spesso anche con poca fantasia e spirito critico.
La fama di Ponti in particolare nei paesi anglosassoni è indissolubilmente legata alla vicenda del grattacielo Pirelli e alla sua controparte americana la torre “Pan Am” di New York la quale riprese nel suo impianto volumentrico l’originale milanese nel 1963.
Il meglio del progetto (Ponti) ed il meglio dell’ingegneria (Nervi) riuscirono a trovare nel Pirelli una sintesi ed una maturità espressiva che assottiglia i confini tra design e architettrura , un esempio unico di opera radicale.
In quel momento preciso l’italia lasciava nuovamente il suo segno nel modo, valori plastici, valori costruttivi e funzionali non erano considerati separatamente ma si consolidavano all’unisono in una architettura di pochi aggettivi e di forti contenuti .
E’ proprio questo aspetto di astratta perfezione pienamente compiuta che si contrappone alla rilassatezza fromale odierna il fattore che spinge alcuni progettisti stranieri a guardare il modernismo Italiano con un rinnovato spirito critico ed entusiasmo.
Mai come oggi l’architettura è rappresentazione piu’ che pensiero , l’eclettismo di generi e stili che si compongono nelle nostre città coincide con un momento storico di grandi ed intricati contrasti religiosi, economici e morali.
Dal fanatismo ecologico fino al monumentalismo dei super grattacieli , l’architettura cammina in parallelo con le arti figurative contemporanee in una direzione di pluralità e spesso di confusione.
La difficoltà nel comporre un linguaggio unitario che sia capace di assumere il valore di cifra stabile ci lascia aperte infinite vie espressive , il contemporaneo si arricchisce cosi di rapide sintesi stilistiche autonome slegate da contesti culturali e geografici.
Nel grande supermercato dell’architettura chiunque può comprare un museo della Hadid o un grattacielo di Norman Foster da mettere nella propria vetrina urbana, la città ed il contesto sono dati secondari.
Appare evidente che in uno scenario simile guardare al lavoro di maestri della contestualizzazione come Franco Albini o dei B.B.P.R, ha perfettamente senso, I loro progetti come ragnatele venivano tessuti a partire dal contesto e su di esso si fondavano .
Studi importanti ma ancora “emergenti” come ad esempio i Londinesi Caruso St John hanno guardato con intelligenza alla tradizione inglese del mattone ma anche alla scuola milanese e a nomi come Giovanni Muzio e Piero Portaluppi , rifiutando la comodità del “facciadismo” indicando una direzione al contempo nuova ed antica.
Se da un lato oggi assistiamo ad una stremante ricerca sulle tecnologie dei materiali e sul loro impatto sull’ambiente , appare evidente che quasi nulla è stato fatto nel campo delle interazioni tra struttura , forma e spazi interni , ovvero l’architettura per l’uomo nella sua essenza.
In questo particolare aspetto le opere del maestro romano Luigi Moretti tornano a stimolare nuovi interessi e rappresentano un punto apicale di interazione costante tra interno ed esterno, masse , proporzioni e contesto.
Nel suo famoso studio “Strutture e sequenze di spazi” Moretti evidenzia con chiarezza quanto l’importanza dell’involucro architettonico sia essenzialmente nella sua funzione di contenitore di volumi interni. Questi sono per loro natura gli spazi dell’uomo, quindi il vero oggetto dell’attenzione del progettista.
L’uomo ha dimenticato superando il movimento moderno di rendersi protagonista del progetto, l’architetto diventa stilista . La capacità di astrazione viene a mancare e senza una teoria che compone una trama, l’architettura affoga miseramente.
E’ importante quindi ristabilire alcuni caratteri fondativi di una architettura comprensibile dal popolo ma guidata da una elite intellettuale.
Questa rinascita dovrà basarsi su un sistema nuovo di valori morali che mantengano la ricchezza della pluralità ma aquisicano la forza del pensiero unico, una equilibrata armonia in cui uomo e teoria siano nuovamente al centro del progetto.
Simone Luccichenti , Londra 13 giugno