P d L
Alberto Cottino attualmente insegna Storia dell’Arte e del Costume presso l’Accademia Albertina di Torino; è Professore Associato abilitato in Storia dell’Arte ed è stato docente di Metodologia della Ricerca Storico Artistica presso la Facoltà di Conservazione Beni Culturali e Artistici dell’Università di Bologna, sede di Ravenna. Ha diretto il Museo di Arti Decorative Pietro Accorsi di Torino. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste italiane e internazionali tra cui ” The Burlington Magazine”, “Artibus et Historiae”, “Paragone”; fa parte del Comitato Scientifico di “Valori Tattili”; è autore di volumi su artisti dell’epoca rinascimentale e barocca ed ha partecipato come curatore e relatore a varie esposizioni e convegni di cui non è possibile dar conto in questa sede; è riconosciuto come uno dei massimi specialisti internazionali del mondo della natura morta, e proprio su questo argomento lo abbiamo voluto incontrare a Torino per una disanima quanto più ampia della questione
–Inizierei questa nostra conversazione chiedendoti come e in quale circostanza è nata questa passione –se possiamo definirla così- per questo genere di studi di cui oggi sei uno specialista riconosciuto.
R: Come spesso capita nella vita le cose avvengono anche casualmente; fui chiamato giovanissimo da Andreina Griseri, la professoressa con cui mi ero laureato, per preparare delle schede biografiche di artisti di natura morta per un grande evento di carattere editoriale –una delle prime importanti iniziative su questo tema negli anni Ottanta- curato da Federico Zeri e Francesco Porzio; evidentemente quei lavori piacquero e quindi allorquando fu necessario che qualcuno s’impegnasse, sotto l’egida di Zeri, in particolare sul tema della natura morta caravaggesca, la scelta cadde sul sottoscritto. Pensa che quando mi dissero che il grande Professore mi cercava per lavorare con lui, pensai che si trattasse di uno scherzo, invece era tutto vero; dopo di che mi appassionai veramente ed entrai consapevolmente in questo settore di studi relativo alla natura morta che probabilmente è l’ultimo vero campo della connoisseurship.
–A proposito di natura morta caravaggesca, tu hai partecipato alla mostra che si è tenuta alla Galleria Borghese nel 2016-2017 che era incentrata sul cosiddetto Maestro di Hartford; mi viene subito da chiederti se poi hai elaborato un’idea precisa su chi possa essere questo misterioso autore su cui, com’è noto, proprio Zeri aveva preso una sorta di cantonata.
R: Per parte mia, io ho scritto da subito che non si tratta di Caravaggio e che però il problema rientrava strettamente nell’ambito del caravaggismo, nel senso che riguarda un pittore che sta a latere di Caravaggio. Credo si tratti di un maestro precocissimo, che situerei all’inizio della natura morta ‘autonoma’ (per natura morta autonoma intendo laddove non ci siano figure protagoniste o dove le figure siano del tutto complementari). Da questo punto di vista è certo che il Maestro di Hartford sia stato attivo già nel primo decennio del Seicento, quindi agli albori, se consideriamo come la prima data di una natura morta ‘autonoma’ italiana risalga al 1593-94 (la datazione non è del tutto sicura) a Milano ed è il famoso ‘piatto di pesche’ di Ambrogio Figino, che, considerato il periodo, è possibile che Caravaggio possa aver visto direttamente.
–Si può dire allora che il genere della natura morta sia nato a Milano? Magari anche sull’esempio di alcuni lavori di Leonardo da Vinci
R: Diciamo che la datazione a tutt’oggi accettata come la più antica sembra essere quella relativa a Figino e sicuramente l’esempio di Leonardo è fondamentale, tanto per Figino quanto per Caravaggio; pensiamo ad esempio alla Cena in Emmaus Mattei oggi a Londra:
senza l’antecedente di Leonardo non credo che un quadro del genere potesse essere concepito; inoltre va sottolineato quanto ha portato in evidenza su questo terreno Giacomo Berra il quale ha individuato le tangenze con i lavori di Arcimboldo, che a mio parere è un tema del tutto appropriato; credo anch’io effettivamente che il Merisi possa aver conosciuto e visto Arcimboldo ed anzi aggiungo che è possibile che abbia fatto addirittura delle esercitazioni alla maniera di Arcimboldo, una pista peraltro su cui si stanno muovendo alcuni studiosi; ma non solo: certamente Caravaggio era aggiornato anche sui testi di Giovan Paolo Lomazzo.
-Tuttavia la cultura del Maestro di Hartford appare decisamente diversa rispetto a tali precedenti.
R: E’ vero, si tratta di un artista romano, attivo precocemente, come dicevo, al punto che potrebbe essere il primo a lavorare su questi temi a Roma, anche se va detto che Pietro Paolo Bonzi nasce nel 1575, Agostino Verrocchi nel 1586, e di conseguenza agli esordi del XVII secolo potrebbero essere stati anch’essi già attivi; del resto sia l’uno che l’altro sono una sorta di ‘pater familias’ di altri pittori, per cui non si può neppure escludere che qualche altro componente fosse già attivo in quest’epoca, ma non se ne sa ancora nulla.
–Ma gli archivi non sono stati esplorati ?
R: Di sicuro non tutti e non ancora; capita che abbiamo molti elenchi di opere d’arte di quadri di natura morta ma ci mancano gli autori; gli inventari riemersi molte volte riportano ad esempio ‘quadro di frutta’ senza però indicarne l’autore, altre volte capita il contrario, nel senso che compaiono citazioni di quadri di fiori o frutta di un tal autore ma non si riesce a sapere di quali opere si tratti; devo riconoscere che per chi s’interessa di questo tema, come il sottoscritto, è qualcosa veramente di molto frustrante.
-E allora cosa fare per superare questo impasse. Tu sei un esperto della materia riconosciuto a tutti i livelli, cosa bisognerebbe fare ? Se dovessi dare un consiglio a un giovane studioso, cosa gli consiglieresti?
R: Secondo me bisogna organizzare la ricerca per ‘gruppi’; mi spiego: prim’ancora che impegnarsi sui nomi degli artisti ‘senza opere’, che sono tanti, occorrerebbe lavorare creando gruppi di opere omogenee, raggruppamenti di dipinti di fattura tra loro compatibile, cioè che presentino le stesse caratteristiche. Ti faccio un esempio: alla Galleria Estense di Modena è esposto un ottimo maestro intorno al quale il sottoscritto ha raggruppato diverse opere ma di cui ignoriamo il nome e che si conosce come ‘anonimo caravaggesco’; presenta un modus operandi molto diverso dal Maestro di Hartford o dal Maestro Acquavella-Cavarozzi o altri; Mina Gregori ha suggerito potesse trattarsi di Giovan Battista Crescenzi e che quindi il gruppo di cui dicevo possa essere di sua mano, però non abbiamo trovato alcuna documentazione che possa sostenere questa attribuzione mentre invece in casi del genere le documentazioni sono essenziali per tagliare la testa al toro. Tuttavia è importante che un gruppo di opere sia stato definito.
–Quindi quando ti riferisci ad un particolare artista ancora anonimo –ad esempio quello che di recente è stato denominato come il Maestro delle mele rosa– significa che hai potuto raggruppare un numero significativo di lavori omogenei caratterizzati da quel particolare elemento, ma di mano ancora ignota. E’ così?
R: Precisamente; abbiamo raggruppato oltre 30 lavori di questo maestro ancora anonimo ed estremamente interessante, un numero quindi abbastanza significativo per strutturare il ‘gruppo’ cui fare riferimento.
–In questi casi probabilmente ci vorrebbe una esposizione per ampliare il numero di lavori, definirne meglio le caratteristiche e magari arrivare a qualche possibile autore.
R: Si e mi piacerebbe molto se si potesse realizzare un evento di questo tipo, ma come al solito è un problema di fondi, però veramente sarebbe un evento molto importante; tieni presente infatti che nelle oltre trenta opere ormai raggruppate del ‘Maestro delle mele rosa’ si trovano dipinti a grottesche ed altri di stampo caravaggesco assolutamente compatibili e quindi accorpabili, ed è una novità importante perché fino ad oggi si riteneva che grottesche e temi caravaggeschi fossero incompatibili, nel senso che quelle erano di stampo arcaico e i secondi invece parevano di carattere più moderno, ed invece non è così. Nel saggio che ho pubblicato per il volume di scritti in onore di Claudio Strinati –che hai curato proprio tu- ho dimostrato che alcuni maestri di vasi a grottesche facevano contemporaneamente anche quadri caravaggeschi; che vuol dire contemporaneamente? Che non c’è un prima e un dopo nella realizzazione degli uni o degli altri.
–A questo punto ti chiedo, prendendo proprio ad esempio questo Maestro delle mele rosa, l’ultimo che hai fatto emergere: è possibile che un maestro del genere (o altri, specialisti in nature morte come lui) non realizzassero anche dipinti con tematiche differenti, di tipo religioso, o mitologico magari, comunque di figura? oppure dobbiamo credere che –forse per motivi di committenza?- questi pittori fossero destinati esclusivamente al genere nature morte?
R: Questa è una domanda cruciale; se togliamo Caravaggio posso dirti che a mia conoscenza non esiste un grande pittore di figura che facesse anche quadri di natura morta ‘autonoma’, o quanto meno non mi pare ci siano documenti che attestino che i grandi interpreti –in modi differenti- della stagione caravaggesca e cioè Ribera, Gentileschi, Saraceni e così via (di costoro stiamo parlando, visto che ci riferiamo agli esordi del genere) abbiano realizzato opere di natura morta; è ovvio che non posso escludere in modo tassativo che una prova giovanile, una qualche esercitazione, possa pure essere pensabile, ma non a livello professionale, questo lo escluderei, cioè che abbiano dipinto diciamo venti o trenta quadri del genere. Poi i professionisti che noi abbiamo imparato a conoscere, tipo gli Stanchi, o non facevano figure, ovvero se le facevano erano sovente mediocri figuristi, pensiamo a Bonzi, Mao Salini, e così via; insomma a mia memoria non esiste un caso certo di artisti professionisti di nature morte che siano stati anche grandi pittori di figura. In questo peraltro consistono i miei dubbi su Cavarozzi come autore di nature morte.
–Su questo argomento però vorrei tornare più tardi perché è piuttosto dirimente; m’interessa ora chiarire un aspetto non trascurabile secondo me circa la genesi del fenomeno. Tu hai fatto riferimento al ruolo fondamentale degli esempi pratici e teorici che il giovane Caravaggio ebbe, o per meglio dire, poté avere in Lombardia.
R: Certo, partiamo da Figino, e poi certamente anche Nuvolone, Fede Galizia …
-Ecco ma allora viene da chiederti, come è possibile che a Roma poi ci sia un diverso orientamento, è possibile ritenere che un qualche ruolo in questo senso l’abbia giocato la famosa Accademia dei Crescenzi -ammettendo che sia esistita- di cui in ogni caso ancora poco però si sa?
R: Effettivamente questo è un dilemma ancora aperto ed investe in pieno una personalità come quella di Giovan Battista Crescenzi che conosciamo come un mediocre manierista (penso ad esempio al quadro firmato di Sant’Eutizio) del quale però ultimamente è riemersa una naturina morta cui nel retro del quadro compare la scritta “Marchese Crescenzi 1626”.
E’ un caso veramente curioso e sai perché? Perché si dà il caso che in un dipinto di Van der Hamen (Williamstown, ripreso in una più piccola tela ora da Colnaghi) ci sia una coppa di frutta in tutto identica a quella del dipinto di Crescenzi;
non sappiamo con esattezza quando van der Hamen abbia dipinto il suo quadro: non è certa la data 1629 riportata da alcuni studiosi, per cui non si comprende ancora quale sia la precedenza, anche se io propenderei, ovviamente, per van der Hamen; il caso, ancorché non ancora del tutto risolto a parer mio è intrigante, anche perché il piccolo dipinto di Crescenzi è di buona qualità ma completamente diverso dalle opere del gruppo della Galleria Estense di Modena che la Gregori gli aveva assegnato, di cui parlavamo prima. Questo ci pone di fronte a non poche domande: innanzitutto se si debba ritenere Crescenzi un pittore professionista di natura morta, dato che nelle collezioni di cui sono noti gli inventari il suo nome non compare, mentre invece, considerando il livello della casata, il suo nome avrebbe dato lustro alla collezione e quindi sarebbe stato ben noto all’epoca, ed oggi ne troveremmo più di una traccia.
–Considerazioni piuttosto corrette mi pare; ma allora che spiegazioni si possono dare?
R: Certo è una vicenda molto strana come dicevo; l’unico che parla di una natura morta di Crescenzi per il Re di Spagna è Giovanni Baglione, peraltro di soggetto completamente diverso e oggi perduto, ma gli inventari romani non riportano alcun dipinto di natura morta assegnato a Crescenzi; questo ci lascia molto dubbiosi.
-In ogni caso possiamo dire che la ‘famosa’ Accademia sia esistita? Si sa che il marchese era solito comprare quotidianamente frutti e verdure per far esercitare i giovani apprendisti dal vero.
R: Secondo me si, è possibile che sia esistita una vera accademia; per quanto riguarda il ruolo del marchese Crescenzi, Luigi Spezzaferro, cui si deve un fondamentale studio in proposito, pensava che il Marchese fosse soprattutto una sorta di imprenditore e secondo me aveva ragione; forse per un piacere personale potrebbe essersi misurato col dipingere, ma credo che non fosse affatto un pittore professionista, bensì, essendo nobile, per l’appunto, un protettore, finanche un procacciatore, un mecenate, questo si. D’altra parte, come insisto a dire, se vogliamo rimanere sui fatti non c’è traccia alcuna di suoi lavori negli inventari.
-Per ritornare allora agli sviluppi del genere della natura morta, a tuo parere che ruolo hanno avuto i pittori fiamminghi e olandesi?
R: Un ruolo determinante; del resto quando parliamo degli antecedenti leonardeschi dobbiamo anche riconoscere che alla radice della cultura visiva, ottica, di Leonardo c’è anche la componente fiamminga; anche attraverso Leonardo, coloro i quali lo guardano, cioè i milanesi, Caravaggio stesso, recuperano in vario modo quel tipo di cultura; è un aspetto che solo pochi studiosi tengono presente secondo me, ma pensando alla Canestra dell’Ambrosiana ed altre prove giovanili del Merisi c’è da rifletterci su.
–E allora non si potrebbe pensare che uno di questi esponenti iniziali, diciamo così, del genere della natura morta, magari proprio il misterioso Maestro di Hartford, potrebbe essere un fiammingo, certo romanizzato, cioè specializzatosi a Roma?
R: Che dire? E’ un’ipotesi, ma anche qui non c’è alcuna prova; è stata anche avanzata l’idea che Hartford possa essere Prospero Orsi, il ‘turcimanno’ di Caravaggio, ma non ci sono prove di nessun tipo; con quale opera di Orsi possiamo confrontare quelle del Maestro di Hartford ? Possiamo solo avanzare ipotesi (ed è anche giusto farlo), ma che al momento attuale però restano tali.
–Un artefice di questo genere di pittura fu senza dubbio Mao Salini; che ruolo può aver rivestito nello sviluppo della natura morta?
R: In effetti quello di Mao Salini è il nome che più è presente negli inventari; si possono computare decine di sue opere e non solo a Roma, altrettante in Toscana (solo i Ludovisi ne possedevano una cinquantina); è probabile che possa essere uno dei Maestri dei vasi a grottesche ma quale sia il suo ‘gruppo’ ancora oggi non possiamo stabilirlo; ci sono vari studi che lo riguardano, stanno venendo fuori numerose opere ed io stesso ho pubblicato un quadro di verdure che, tolto il reintelo, mostra sul retro una scritta ‘Mao fecit’ sicuramente seicentesca;
Si tratta di una firma o di una iscrizione? In realtà è riemersa anche un’altra opera della stessa mano, con la data 1608 che potrebbe essere dirimente, nel senso che non può trattarsi di un seguace;
da qui credo che si possa determinare l’esistenza di un piccolo gruppo; ho presentato il dipinto nel Convegno di studi tenutosi a Santa Maria Tiberina nell’Ottobre del 2017 dedicato proprio alla Natura morta al tempo di Caravaggio ; insomma, credo che ci si possa lavorare.
-Vorrei ora che affrontassimo questo tema di Bartolomeo Cavarozzi come possibile autore di nature morte, oltre che grande artista figurativo; la prima cosa che si può credere è che avendo frequentato casa Crescenzi, accademia o non accademia, comunque possa essere stato professionalmente attratto dal genere natura morta; non lo credi possibile?
R: Certo è possibile e del resto anche Bonzi pare che sa uscito da quella accademia, ma entriamo più a fondo nella questione se Cavarozzi possa essere identificato con il Maestro della natura morta Acquavella, cioè a dire se la doppia personalità in realtà possa essere invece una, come alcuni studiosi sostengono. Personalmente ho sempre espresso dei dubbi in proposito, ma perché –voglio chiarirlo- non ho certezze assolute, né in un senso né nell’altro. Mi si vuol far passare per il capofila di quanti negano la coincidenza di Cavarozzi ed Acquavella ma non è affatto così e non mi ritengo affatto contrario a questa possibilità; continuo però a ripetere –come faccio da tempo- che mancano le prove (e non sono l’unico).
–Però tu stesso hai parlato di possibili ‘gruppi’ di opere che abbiano caratteri omogenei, e questo potrebbe essere un caso, o no?
R: Ma qui il problema è un altro, cioè non si tratta di riconoscere l’omogeneità o meno di un raggruppamento di quadri, ma se un figurista di grande livello possa essere stato anche un naturamortista. Come hai potuto constatare, tutta la nostra conversazione si è sviluppata dentro il criterio della oggettività, vale a dire sul riscontro documentario rispetto a quanto si ipotizza, sulla presenza di citazioni inventariali, di pagamenti, o quanto meno di firme o comunque di elementi di prova che certifichino in qualche modo quanto si afferma; ebbene tutto ciò manca nel caso sub judice; io credo che in determinati dipinti, peraltro molto noti, tipo l’Aminta, o tipo la Cena in Emmaus di Malibu, sia presente certamente la mano di questo maestro noto come Acquavella ma che al suo posto ci sia Cavarozzi, autore delle figure.
–Eppure una qualche documentazione che lo indica come autore di nature morte mi pare sia stata trovata.
R: Si tratta di un documento che fa riferimento alla vendita di una natura morta di Caravaggio e di un’altra di un non meglio specificato Bartolomeo e si è pensato che si trattasse di Cavarozzi. Ma tu m’insegni che mettere assieme nomi come Caravaggio e Cavarozzi in una vendita può far sorgere dei sospetti circa la veridicità dell’attribuzione ad entrambi che può essere anche stata gonfiata a suo tempo proprio per ragioni commerciali; quindi è un documento –peraltro l’unico- che sinceramente fa sorgere dei dubbi sulla sua reale autenticità e che tuttavia per alcuni ha corroborato l’ipotesi che Acquavella e Bartolomeo Cavarozzi fossero la stessa persona. Ma, come ripeto, non esistono citazioni inventariali d’epoca da cui emerga Cavarozzi come autore di nature morte; ed anche in questo caso, come prima per Crescenzi, considerato il prestigio di Cavarozzi, in quegli anni famoso certamente alla stessa stregua di Gentileschi, Saraceni ed altri, perché mai non citarlo nelle collezioni? Sarebbe stato un motivo d’orgoglio per il collezionista, e invece niente. Ma ci sono anche altre considerazioni da tener presenti. Siamo sicuri che tutte le nature morte ascritte a Cavarozzi stiano entro il 1625, anno della sua morte? Inoltre ci sono dipinti piuttosto famosi in cui è certamente presente il Maestro Acquavella mentre le figure non sono di Cavarozzi.
–Quali ad esempio?
R: Ad esempio in un dipinto che pubblicai nel catalogo “L’incantesimo dei Sensi” del 2005 che raffigura un putto insieme ad una grande natura morta, questa è certamente di Acquavella ma il putto non può in alcun modo appartenere a Cavarozzi; e poi pensiamo al ben noto Violinista: non mi si venga a dire che la figura è di mano di Cavarozzi !
ma poi ci sono altri esempi che potrei citare. Ed allora a questo punto la cosa non mi torna, visto che abbiamo quadri in cui le figure non sono le sue ed altri senza neppure le figure. Perché questi quadri hanno figure dipinte da altri se lui era un grande figurista? E’ una domanda cui da tempo attendo mi si risponda. Ma ce n’è un’altra. Prendiamo il notissimo Lamento di Aminta, si sa che ce ne sono diverse versioni ed io credo che due siano originali (cioè di mano del Maestro Acquavella e Cavarozzi) ossia quella ex Piedimonte e quella ex Perolari; le altre secondo me sono copie.
Riflettiamo un attimo sulla Aminta Piedimonte, si può vedere chiaramente che la parte di natura morta copre la mano del flautista e quindi è chiaro che è stata dipinta in un secondo momento sulla materia asciutta. Perché? Eppure la mano del personaggio è un punto focale del dipinto; dunque perché mai, se Cavarozzi è l’autore unico del dipinto, avrebbe operato in un modo così strano, dipingendo prima la mano e poi passandoci sopra il tralcio e le foglie di vite? Non stiamo parlando di un passaggio secondario del dipinto. La risposta a mio parere non può che essere che il dipinto sia stato realizzato da due mani in due tempi.
–Possibile, ma non potrebbe averlo realizzato proprio lo stesso Cavarozzi questo doppio passaggio?
R: Certamente è possibile, ma allo stesso modo non si può escludere che sia intervenuto qualcun altro. Io pongo semplicemente una domanda che mi pare logica: perché l’autore avrebbe coperto la mano? A mia memoria non esiste nessun suonatore di qualunque strumento dove l’attacco della mano, qui di entrambe le mani, venga ricoperto.
–Ma da un punto di vista stilistico –aldilà del dato documentario che, come dici, manca- prendiamo proprio il Lamento di Aminta, non è possibile arguire dal tratto, dall’andamento del ductus, se l’autore della figura possa essere colui che ha dipinto anche la natura morta?
R: No, lo escludo, pittoricamente non ci sono elementi secondo me per autorizzare una simile ipotesi, senza contare che, per come la penso io, si tratta di due artisti che lavorano a stretto contatto per cui è arduo individuare la eventuale attinenza di tratto; se però devo essere sincero, personalmente una qualche fiducia in più alle tesi degli studiosi di natura morta che propendono per separare le due personalità gliela concederei , dopo di che qualora fosse dimostrato che si tratta invece di lavori realizzati da una stessa mano appartenente a Cavarozzi, certamente per me andrebbe benissimo. Mi dispiace solo quando s’innescano polemiche ‘ad personam’ che personalmente ho sempre evitato, rispettando sempre tutti: ecco, ci vuole rispetto anche tra studiosi, pur in presenza di idee diverse, che purtroppo a volte manca.
–Finora abbiamo parlato di quella che Federico Zeri definiva la ‘stagione aurea’ della natura morta, poi arriva il barocco e tutto cambia, però va notato che il maggior esponente, Mario de’ Fiori, pure era nipote di un importante autore della stagione precedente, come Mao Salini.
R: Questo è vero, ma devi tenere presente che c’è un gap generazionale di quasi trent’anni tra i due e che in questo arco di tempo le cose cambiano del tutto; la natura morta assume un rilievo e dei contorni completamente differenti rispetto alla precedente esperienza che diremmo caravaggesca, e che si protrae a Roma (considerando Roma il centro focale delle arti in quel tempo) più o meno fino al terzo decennio, salvo un caso davvero curioso, quello del misterioso Maestro SB su cui mi sto letteralmente affaticando gli occhi da un sacco di anni. Molti suoi quadri li pubblicammo con Zeri a suo tempo come Salini. Poi si scoprì la sigla “S.B.P.” su uno di quei quadri e si è visto che la prima data conosciuta di un suo lavoro risale al 1633 e l’ultima al 1655 mentre Mao Salini muore nel 1625. Lo si è quindi battezzato anche Pseudo Salini. E’ un’ipotesi probante, perché questo maestro –che dunque resta anonimo- ripete alla lettera le consuetudini di Salini ed è probabile che fosse stato un suo apprendista, una ‘creatura’ di Salini, o magari semplicemente un copista che possiamo immaginare nato nel primo decennio; quello che colpisce è che ci sono opere che è difficile attribuire all’uno o all’altro, tanto sono simili.
–Può essere che si trattasse di un artista che rispondeva a certi committenti particolarmente affezionati alle trovate di Mao Salini; non hai trovato nulla in proposito ? Che so? Negli inventari delle grandi famiglie, Barberini, Giustiniani, tanto per citarne alcune molto note.
R: No, niente di niente fino ad ora; non sappiamo nulla non solo dei committenti ma nemmeno se poi sia corretto definirlo maestro SB dal momento che c’è solo un quadro siglato SBP, che per convenzione noi studiosi sciogliamo come SB Pinxit, ma non si può giurare mano sul fuoco che sia davvero così; altri riportano altre scritte poco decifrabili. Io personalmente ho maturato una mezza idea di chi possa essere …
–Bene, allora è il momento di fare uno scoop; facci un’anticipazione !
R: No, non te la faccio, mi dispiace per i nostri lettori ma non ho ancora prove concrete sulla mia idea, e siccome nella mia vita di studioso ho sempre aspettato a parlare se non avevo dei riscontri certi per ora preferisco soprassedere.
–Allora ritorniamo a quanto diceva Zeri circa la natura morta dopo la sua stagione aurea:” E’ il momento- cito- in cui la natura morta passa da fatto di innovazione e sperimentazione a una sorta di codificato e accademizzante repertorio di valore essenzialmente decorativo”. Immagino che tu sia d’accordo.
R: Si certo, ed aggiungerei dopo decorativo anche arredativo, perché ora entra in gioco anche una nuova visione dell’arredamento di case importanti e ville, anche fuori porta, e quindi il genere perde il carattere contemplativo o simbolico per assumere aspetti di carattere tutt’affatto diversi, e qui s’inseriscono i nomi di Mario de’ Fiori, degli Stanchi, di Abraham Brueghel, del Campidoglio e così via.
–Però mi pare che non a Roma ma a Napoli la situazione sia differente; secondo quanto scriveva Romeo De Maio infatti, il quale riprendeva le osservazioni di Raffaello Causa, nella capitale del Viceregno la natura morta si era letteralmente imposta come un genere artistico di rilievo, non alla stregua di un mero esercizio di stile ma testimonianza autentica di un ineludibile “senso di sostanziale autonomia filosofica e poesia della libertà”.
R: Questo della natura morta napoletana è un tema davvero molto interessante ed allo stesso tempo molto complesso. Se consideriamo ad esempio la natura morta di pesci, che è un’iconografia molto rappresentata a Napoli (ne esistono esempi anche a Roma, ad opera di un certo Alessandro de’ Pesci che non sappiamo bene ancora chi sia) dobbiamo credere che queste rappresentazioni facciano parte di una tradizione culturale eminentemente partenopea e che possiamo ritrovare niente meno che a Pompei; certo, sappiamo bene che la scoperta di Pompei risale al secolo successivo ma chi può escludere che non circolassero già allora dei reperti? Se osserviamo la rispondenza tra alcuni di quegli affreschi e i quadri di Recco, ad esempio, beh non si può nascondere la meraviglia; le rappresentazioni sono identiche, identiche!
Personalmente ho come l’impressione che qualcosa magari sottobanco già circolasse e d’altra parte quelle nature morte di Recco non sono impaginate a caso, mai alla rinfusa, i pesci sembrano quasi incastonati secondo una precisa logica che vediamo quasi identica a Pompei; è chiaro che si tratta di un’ipotesi ma mi chiedo se non accadesse a Napoli quanto accadeva durante gli scavi a Roma, allorquando i reperti si vendevano e si commerciavano sottobanco, quindi non è impossibile che molte cose già si conoscessero; certo è un’ipotesi da approfondire e chissà se riusciremo mai a farlo, tuttavia per me le tangenze restano evidenti e questo mi fa credere che qualcosa del genere possa essere accaduto, ne ho perfino parlato in un convegno. Dunque, per ritornare alla tua domanda parlerei di una poesia della tradizione relativamente alla natura morta di pesci; al contrario, è chiaro che ad una natura morta di fiori e frutta, magari di un metro e mezzo, non si può negare un carattere decorativo, significa che questa componente nel mondo barocco c’è sempre.
–Della natura morta toscana invece cosa si può dire?
R: Direi innanzitutto che l’unico che a mio parere ricalchi in parte i temi legati al caravaggismo sia Astolfo Petrazzi, ma in realtà questo genere qui non attecchì mai davvero anche se Salini –e non lui solo- mandò numerose opere in Toscana, e questo è documentato;
in buona parte irrisolti sono i problemi collegati ad artisti come Simone del Tintore, mentre Pietro Paolini si tende a credere che non abbia realizzato nature morte ‘autonome’; certamente c’è la importante stagione della natura morta scientifica, si pensi a Bimbi ad esempio, e prima di lui a Ligozzi e ad altri, collegata alle committenze medicee, di carattere scientifico, come dicevo, ed indagatrice, ma anch’essa sostanzialmente decorativa visto che doveva arredare le ville fuori porta.
–Una cosa mi risulta strana da quanto stiamo dicendo, e cioè che grandi nomi come Ribera, Gentileschi, Borgianni ed altri ancora che erano sulla cresta dell’onda non siano stati chiamati dai grandi committenti dell’epoca a realizzare opere del genere. Mi sembra difficile.
R: Non è difficile da credere invece; dimentichi che allora esisteva una gerarchia precisa riguardo ai generi artistici che era stata elaborata proprio da Vincenzo Giustiniani, secondo la quale la natura morta era messa agli ultimi posti; inoltre io penso che vigesse ancora gli inizi del Seicento una organizzazione della bottega che prevedeva che le parti ‘minori’ dei lavori, specie quelle decorative, fossero affidate agli apprendisti, ai giovani allievi. Nella bottega di Raffaello ad esempio era Giovanni da Udine –che poi certamente era un vero genio- addetto alle decorazioni; credo che la bottega del Cavalier d’Arpino non funzionasse diversamente. Ne ho parlato spesso con l’amico Franco Paliaga secondo il quale –ed io sono d’accordo con lui- lo stesso Caravaggio fu messo a realizzare festoni, cioè questo tipo di nature morte, i festoni per gli affreschi; era questa ancora in quel torno di anni l’organizzazione della bottega di un importante artista. Vero è che si tratta di una ipotesi, ma tuttavia non è sbagliato ritenere che un pittore raffaellesco come Arpino utilizzasse la stessa metodologia nell’assegnare i lavori, tenendosi per sé quelli impegnativi, di storia, di figura; non è un caso che Caravaggio lasciasse la bottega stufo di essere occupato a decorare. Quindi per tornare alla tua domanda si deve credere che Gentileschi, Ribera e gli altri alla fine disdegnassero queste cose.
–Scusa, però è noto che fu proprio Caravaggio ad affermare, secondo quanto scrisse Giustiniani in una famosa lettera al cardinale Federico Borromeo, che “tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure” rovesciando tutte le tesi basate sulla gerarchia del soggetto. Ci sarebbe da credere che per gli artisti che pure al suo linguaggio si richiamavano le parole di Caravaggio non fossero valide.
R: Per loro in realtà la natura morta è un elemento del tutto accessorio, secondario, lo si capisce bene osservando i loro quadri di figura e di storia dove a volte compaiono elementi di natura morta che sono solo dettagli generici, manca cioè completamente un sentimento naturalistico; dopo di che è ovvio che non posso escludere –lo dicevo prima- che per una qualche occasione particolare possano anche essersi misurati con temi del genere, e comunque –anche questo l’ho già sottolineato- non ve ne sono tracce; mettiamo che un collezionista possedesse un dipinto di Ribera solo di natura morta, secondo te non lo avrebbe dichiarato? Io credo proprio di si; trovo curioso che non sia mai accaduto, no? Come vedi, in questo nostro incontro ti ho dato più domande che risposte, come credo sia giusto per chiunque pratichi una disciplina storica….
–Tuttavia per rimanere a Ribera il ciclo dei Cinque Sensi è significativo forse più per gli elementi che li caratterizzano che non per le figure …
R: Probabile, ma è chiaro che se devo rappresentare l’Udito tramite il suono di un liuto, il liuto lo devo dipingere, e così via. Ripeto quello che dicevo all’inizio; per me la natura morta è quella ‘autonoma’ ma è ovvio che se devo rappresentare l’allegoria del tatto, un libro o qualcosa che richiami quel determinato senso devo pure dipingerlo, ma non è la natura morta come la intendo io, poi ognuno può avere la sua opinione in proposito, ci mancherebbe. Inutile dire che questi grandi maestri tali restano anche quando dipingono un libro, un teschio o un tamburello, è scontato. Si tratta di una questione gerarchica; abbiamo fatto cenno entrambi a Giustiniani che la scala gerarchica la redasse mettendo la natura morta nei posti finali dei valori, e dunque un artista impegnato e magari oberato di commissioni è difficile pensare che vi si dedicasse tralasciando i valori superiori.
-Ci avviamo alla conclusione di questo incontro; ci sono alcune piccole curiosità personali che vorrei però proporti, una ad esempio: per quale motivo un’artista piuttosto importante e dotata come Giovanna Garzoni lavorò pressoché esclusivamente su pergamena?
R: Proprio perché era una donna e come molte artiste dell’epoca lavorava in casa, non frequentavano una bottega o quanto meno era molto raro che uscissero da questa dimensione; non a caso la loro produzione è quasi sempre incentrata su piccole cose, nature morte, appunto, ritratti, di rado paesaggi –come nel caso di Maria Luigia Raggi- Dunque la Garzoni si specializza sulla natura morta con supporto di pergamena che diventa il suo segno di riconoscimento.
–Consentimi un’ultima domanda su cosa stai lavorando e sugli obiettivi che ti riprometti prossimamente
R: Sto lavorando su temi specifici, preparo la monografia di un importante artista e su una bella collezione di nature morte, ma capisci bene che non mi posso ‘allargare’ a chiarirti neppure questa volta di cosa si tratta. Nel nostro mondo qualche parola di troppo può essere fatale e siccome mi è già capitato non vorrei ricascarci.
P d L Torino Marzo 2019