di Simone LUCCICHENTI
Architettura tra spazio e superficie : un excursus da Bramante a Patrick Schumacher
L’arte del primo quattrocento è l’arte della calma e della bellezza, nulla di questa delicata fase in architettura sembra subire sforzi e compressioni, nulla è difficile o agitato. Ogni elemento del testo architettonico nasce facilmente, libero e completo.
Nel periodo che vede protagonisti Piero della Francesca e Leon Battista Alberti, l’architettura non ha mai l’intenzione di impressionare bensi di inforndere calma e fierezza. Colonne archi e cornici vivono indipendentremente, gli spazi sono scanditi con ordine e chiarezza senza abuso di elementi transitori .
All’alba del pensiero umanista, la ricerca di una nuova sintonia con il mondo antico sembra voler
includere la scala dell’architettura romana ma non la sua espressività formale ricca di plasticità.
Nel nord Italia questo approccio asciutto e diagrammatico persisterà senza farsi troppo coinvolgere dai “muscoli” di Roma venuti alla luce sotto il pontificato di Giulio II Della Rovere.
Il talento di Alberti ci dà prova di questa tendenza nello stile fornendoci degli elementi chiari per capire il formidabile balzo espressivo dell’architettura tra ‘400 e ‘500.
In Sant’Andrea a Mantova lo spazio interno è affrontato con logica consistente, gli stessi elementi che descrivono la facciata si ripetono in scala minore nelle navate creando continuità tra il tutto e le parti . La navata centrale come diretto riflesso dell’ingresso ad arco di triofo ha la grandiosità dell’epoca classica. I diretti riferimenti erano la Basilica di Massenzio e i grandi spazi voltati delle terme. Il testo architettonico è completo, ma è carente di enfasi espressiva , e come si dirà per il Palazzo della Cancelleria a Roma , l’architettura soffre di una certa “secchezza”.
Nella composizione mentale di Alberti il progetto fila liscio perché la sua preparazione non è da uomo di cantiere ma da colto umanista e letterato. L’architettura nasce nella mente seguendo una griglia e un diagramma astratti, ancora legati alla bidimensionalità del gotico fiorentino.
I suoi spazi se pur magistralmente concepiti risultano statici, le colonne e i pilastri non si flettono sotto lo sforzo dei pesi, la proiezione delle cornici è elegante ma non sufficiente a portare un’ombra significativa nel prospetto.
Simile è la logica compositiva che troviamo nelle pitture di Andrea del Castagno e di Piero della Francesca. Lo spazio prospettico perfetto imprigiona lo spazio imperfetto dell’uomo , le figure sembrano occupare la scena muovendosi con spostamenti rigidi e prefissati. Nella Flagellazione di Piero, lo stato formale delle figure è come quello delle colonne nelle architetture di Brunelleschi, sono pedine che si muovono nella scacchiera della prospettiva. E’ a partire da Leonardo e Bramante che verremo trasportati in un mondo meno contratto dove la luce è morbida e i gesti sono ampi e magnifici.
Nei primi lavori milanesi di Bramante come Santa Maria presso San Satiro e nella Incisione Prevedari prevale un senso di grandezza con chiari riferimenti al prototipo Albertiano.
E’ importante però sottolineare la prossimità di Leonardo in questi anni. Mentre Bramante lavorava alla tribuna di S. Maria delle Grazie, Da Vinci era impegnato nel cenacolo a pochi metri nel refettorio del monastero . Possiamo solo immaginarlo ma certamente i loro incontri erano frequenti e gli scambi di idee sul lavoro erano probabilmente continui. Gli studi di Leonardo sulle ombre e la riflessione della luce e la tecnica dello “sfumato” portano i volumi a liberarsi dello spazio pittorico e ad interagire con la terza dimensione come mai si era visto prima. Bramante assorbirà queste esperienze traducendole in architettura.
Al suo arrivo a Roma l’equilibrio formale e la lezione leonardesca si esprimerà nel Tempietto di San Pietro in Montorio e nella famosa prima stesura della pianta di San Pietro. La precedente eloquenza di Alberti e Brunelleschi è stata lasciata indietro, al suo posto una nuova “gravitas” fa il suo debutto. Le colonne prendono vita e occupano lo spazio con decisione, non sono più elementi delicatamente disegnati in uno sfondo astratto, esse acquisiscono una personalità quasi umana che va ben oltre i propri confini.
Il periodo manierista sancisce la piena maturità e della lezione rinascimentale e, allo stesso tempo, ne mette in crisi le regole stabilite dando all’architettura una nuova libertà che si appropria dello spazio con una eloquenza che si ripeterà raramente in futuro.
I principi fissati in questa fase della storia hanno definito la disciplina dell’architettura che conosciamo sopravvivendo anche al movimento moderno, ma il rapporto tra il segno e lo spazio è oggi in una fase di cambiamento profondo.
L’architettura d’avanguardia produce sempre più “tessuti di lusso” piuttosto che spazi. Il design parametrico e il suo manifesto elaborato da Patrick Schumacher (Parametricism as Style) hanno come contenuto fondante la gestione automatica della complessità del progetto, spostando drasticamente l’attenzione dal “cosa” al “come” progettare, dall’oggetto allo strumento.
Il numero elevato di fattori (ambientali, urbanistici etc.) che vanno considerati oggi nel complesso processo edilizio e architettonico, richiederebbe un approccio progettuale nuovo “parametrico” in cui il computer genera scenari e soluzioni seguendo appunto dei parametri prestabiliti.
Il processo implica l’individuazione di parametri a cui la realtà possa essere ridotta e resa gestibile. Già Luigi Moretti alla fine degli anni 30 del ‘900 aveva intuito le possibilità del sistema indicando la matematica come l’unica possibile fonte risolutiva per il progetto moderno.
La grande differenza tra Moretti e Schumacher sta però nello spirito . Il maestro romano legge i parametri come un “codice” a supporto del progetto nel quale l’architettura non soccombe ma anzi si rigenera. Nel secondo i parametri esprimono direttamente il prodotto finito che quindi vira dall’architettura al design.
Il risultato consiste quasi sempre in elaborate operazioni formali prevalentemente di superficie che vengono applicate ad edifici convenzionali, operazioni che la gran parte delle volte sfuggono al pieno controllo del progettista.
Difficile piuttosto che semplice diventa un valore architettonico assoluto, qualcosa a cui aspirare, l’utilizzo delle capacità di calcolo del computer è un virtuosismo .
L’architettura torna come in un processo ciclico ad influire prevalentemente sulla pelle dell’edificio diventando un rilievo quindi ornamento, suggerendoci analogie con altri stili come il rococò.
Parametricism as Style per essere convincente dovrà slegarsi dal suo stato di disciplina autonoma e trovare ordine ed armonia con le arti del presente. Instaurare una logica con il sistema culturale attuale ma anche una connessione con l’autorità che il passato rappresenta. Questo è tra tutti l’insegnamento maggiore che ci viene dall’esperienza manierista.
Simone LUCCICHENTI – Londra 20/10/2017 –