di Nica FIORI
Scrittrice, esperta di archeologia
Una delle più enigmatiche leggende medievali relative alla Chiesa di Roma è quella della misteriosa Giovanna che, travestita da uomo, avrebbe regnato sul trono di Pietro e il cui peccato, quello di essere un papa “femina”, non le sarebbe stato perdonato.
La Chiesa cattolica, infatti, ha sempre escluso le donne dal sacerdozio. Già San Paolo nella I^ Lettera ai Corinzi enunciava che “il capo di ogni uomo è Cristo, e capo della donna è l’uomo” e nella I^ Lettera a Timoteo affermava:
“La donna ascolti l’istruzione in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare, né di dettar legge all’uomo, ma se ne stia in pace”.
Questo perché, sempre secondo San Paolo, Eva fu tratta da Adamo, e non viceversa. E, nonostante la questione di un’eventuale ordinazione delle donne a sacerdote sia attualmente molto dibattuta (anche perché la Chiesa anglicana la ammette dal 1994 e nel 2014 ha ordinato la prima donna vescovo), il Catechismo della Chiesa Cattolica continua a sottolineare che
“il Signore Gesù ha scelto degli uomini per formare il collegio dei dodici Apostoli” e “la Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso”.
A dispetto di questo vincolo, la fantasia popolare ha partorito la sconcertante storia di una papessa, della quale Roma conserva alcune straordinarie testimonianze.
Non lontano dal Colosseo vi è un luogo dove si può ancora respirare la severa e cupa atmosfera dell’Alto Medioevo. Si tratta dell’angolo tra via dei Querceti e via dei Ss. Quattro, nei pressi del complesso conventuale dei Santi Quattro Coronati, le cui alte mura, più simili a quelle di una fortezza che di un luogo sacro, evocano subito i ricordi di un’epoca religiosa e sanguinaria al tempo stesso. Sulla via dei Querceti si nota un’edicola sacra, in forma di cappellina, che ha un aspetto povero e dimesso. Al suo interno, chiuso da un cancelletto in ferro battuto, si intravede una Madonna col Bambino, dipinta a fresco su una piccola abside.
Anche se la pittura è molto rovinata e più volte rifatta, s’intuisce che siamo di fronte a un’opera molto antica, che risente di un’impostazione rigida e frontale nella sua maestà. Secondo alcuni studiosi l’edicola potrebbe essere quattrocentesca, ma compare nelle piante di Roma a partire dalla metà del ‘500.
La tradizione vuole che sia stata posta lì a memoria di un evento decisamente singolare: il parto della papessa Giovanna.
La cappellina sarebbe stata eretta, quindi, per cancellare con la sua presenza il sacrilegio commesso da Giovanna. Si sa pure che la via un tempo veniva chiamata vicus Papissae (o Papisse) e che nei pressi della vicina basilica di San Clemente era conservata l’antica statua di una donna con un bambino, raffigurante probabilmente Giunone che allatta Ercole (ora nei Musei Vaticani), che la voce popolare identificava con la papessa.
Pur trattandosi di una storia leggendaria, a essa hanno dato credito letterati come il Boccaccio (nel De mulieribus claris, 1362) e il Petrarca (nelle Vite dei pontefici e imperatori romani, 1370 ca.), oltre a numerosi storici e autori di cronache e, in fondo, fino alla Riforma protestante questa credenza non era stata efficacemente messa in dubbio.
Verso il 1400, quando nel duomo di Siena vennero collocati i busti dei papi, vi fu posto pure quello della Papessa (trasformato nel 1600 in quello di papa Zaccaria – v. freccia).
E Jan Hus (1369-1415), il capo dei rivoluzionari religiosi boemi, accusato dell’eresia della fallibilità del Papa, durante il processo svoltosi nell’ambito del concilio di Costanza (che lo condannò al rogo nel 1415), citò in sua difesa l’esempio della Papessa, senza che nessuno lo contraddicesse.
A un esame critico, risulta chiaro che la presunta papessa sia frutto della fantasia, tant’è che a partire dal XVI secolo gli storici cattolici, tra cui Onofrio Panvinio, Roberto Bellarmino, Cesare Baronio, cominciarono a negarne l’esistenza. Ancora oggi, però, non siamo in grado di chiarire come questa leggenda si sia formata e quali obiettivi si volessero raggiungere, a parte quello di gettare infamia sul papato.
Nella sequenza dei pontefici che si sono succeduti sul trono di Pietro nel IX secolo, a Leone IV, morto il 17 luglio 855, segue, dopo un intervallo durato poche settimane, Benedetto III. Gli elementi storici in nostro possesso non consentono assolutamente di pensare a un altro papa intermedio, eppure la leggenda vuole che proprio tra di loro si fosse insediata sul soglio pontificio Giovanna.
Una spiegazione potrebbe essere data dal fatto che la prima metà del IX secolo, una delle epoche più buie del Medioevo romano, è stata caratterizzata dal dominio, sulla scena politica, di alcune fosche figure femminili, come Teodora e la figlia Marozia Teofilatto. In quel tempo di potere femminile, e forse proprio traendo spunto da esso, secondo la diceria riportata in modo particolareggiato nelle Cronache dei pontefici e degli imperatori del domenicano Martino Polono (ca. 1277), giunge a Roma una giovane di origine inglese, ma nata nella città tedesca di Magonza, creduta in realtà da tutti un uomo perché veste abiti maschili. La donna, che si fa chiamare Johannes Anglicus, o Giovanni Anglico, ha studiato ad Atene ed è particolarmente preparata in teologia. Ciò le permette di travestirsi da prete e di percorrere tutte le tappe della carriera ecclesiastica fino a essere eletta papa, nell’855, col nome di Giovanni (VIII, anche se nelle Vitae Pontificum Romanorum pubblicate da Bartolomeo Platina nel 1479 vi figura erroneamente come Giovanni VII e nelle edizioni successive come Giovanni femina), e a rimanere in carica per due anni, cinque mesi e quattro giorni.
Ma, come ben sappiamo, la carne è debole: Giovanna diventa l’amante di un suo subalterno, l’unico che è a conoscenza del suo segreto. L’inganno non può durare a lungo e un giorno viene scoperto nel modo più scandaloso che si possa immaginare. Giovanna, per quanto molto accorta, non conosce il tempo del parto ed è colta alla sprovvista durante una cavalcata tra il Vaticano e il Laterano, all’epoca residenza dei papi.
L’usurpatrice si sente male e partorisce un figlio, sotto gli occhi esterrefatti del clero e del popolo. Ed è così che Giovanni diventa la papessa Giovanna.
Il domenicano francese Jean de Mailly, nella sua Chronica universalis del 1225 circa, racconta che il bambino fu legato per i piedi alla coda di un cavallo e trascinato via finché dopo mezza lega morì lapidato dal popolo. Nello stesso luogo fu sepolto e venne scritto: “Pietro, Padre dei Padri, Palesa il Parto della Papessa”. Questa frase, caratterizzata da sei P, nella Chronica minor (1260 circa) di un anonimo francescano tedesco di Erfurt, viene attribuita al diavolo, che pronunciandola avrebbe svelato pubblicamente la gravidanza della papessa.
Il testo ufficiale di Martino Polono afferma che la donna morì subito dopo aver partorito, ma esiste una variante, riportata su un altro codice, che ha un finale diverso. Si racconta, infatti, che Giovanna
“subito deposta, vestì l’abito monacale vivendo in penitenza finché suo figlio divenne vescovo di Ostia. Sentendosi poi vicina alla morte, ordinò di essere sepolta nel luogo stesso in cui aveva partorito. Ma suo figlio non volle permetterlo e, trasportato il suo corpo presso Ostia, lo tumulò con onore in una chiesa. Per i suoi meriti Dio fino ai giorni nostri ha operato moltissimi miracoli”.
Secondo Cesare D’Onofrio, autore dell’ampio saggio La Papessa Giovanna. Roma e papato tra storia e leggenda (1979), questa vita esemplare potrebbe essere stata quella di una donna appartenente alla famiglia Papa, che avrebbe dato il nome al vicus Papisse, perché la sua casa si trovava di fronte all’edicola sacra dell’attuale via dei Querceti. Sarebbe quindi lei la Papissa della via e la leggenda di una donna papa potrebbe essersi sovrapposta proprio per spiegare la toponomastica del luogo.
Martino Polono fa notare che, dopo il parto di Giovanna, nessun corteo pontificio passò più su quella via. Anzi, di fronte a tanto abominio, la Curia sarebbe rimasta così sconvolta da istituire l’usanza di far sedere il pontefice, subito dopo l’elezione, su due sedie in porfido (ma in realtà di marmo rosso) perforate, per poterne verificare il sesso, ovvero, per dirla con il linguaggio colorito che usa il Belli nel suo sonetto La papessa Giuvanna: “pe ttastà sotto ar zito de le voje / si er pontefice sii papa o papessa”.
Queste due sedie, attualmente conservate una nei Musei Vaticani e l’altra al Louvre, potrebbero essere due sedie gestatorie che venivano usate per il parto dalle principesse tardo imperiali. D’Onofrio sostiene che quella della papessa Giovanna è una storia “falsa ma tutta fatta di elementi veri”.
Infatti, nell’Alto Medioevo il pontefice appena eletto, durante la complessa cerimonia dell’incoronazione che si svolgeva nel palazzo del Laterano e poi nel vicino Patriarchio, veniva fatto sedere prima sull’una e poi sull’altra sedia da parto. Si intendeva così simulare liturgicamente un parto, in quanto in quel momento il papa, “giacente” sulla sedia, rappresentava la Chiesa come Madre (Mater Ecclesia). Non più compreso con l’andare dei secoli il reale significato della cerimonia, questa finì presumibilmente per far nascere la credenza che servisse a evitare che una donna salisse sul trono di Pietro.
Il francese Alain Boutreau, in un suo importante saggio pure intitolato La Papessa Giovanna (1988), non è d’accordo sulla posizione del papa come “partoriente” e dà un’interpretazione diversa delle sedie cerimoniali in marmo rosso. Si tratterebbe di sedie curuli (come quelle dei senatori dell’antica Roma) e sarebbero state introdotte nel 1099 con il papa Pasquale II per “evidenziare una transazione cerimoniale tra la monarchia pontificia e l’oligarchia cardinalizia”. In quell’occasione il Liber Pontificalis le definisce proprio “sedes curules” in un parallelismo tra il Senato romano e la Curia pontificia (cioè il collegio dei cardinali), cui era riservata (in seguito alla decisione di Nicolò II del 1059) l’elezione papale, che prima avveniva senza una precisa regolamentazione.
Questa leggenda medievale ha probabilmente dato il nome al secondo Arcano Maggiore dei Tarocchi, chiamato “La Papessa”. Esso raffigura una donna seduta, con la tripla corona del papato sulla testa e un libro in grembo. È considerato una carta di conoscenza, ma di una conoscenza nascosta: rappresenta il modo tipicamente femminile in cui si può arrivare a comprendere con l’intuizione, l’ispirazione, la divinazione, più che con la ricerca. Non dobbiamo dimenticare però il suo significato di Alta Sacerdotessa, Iside o Era-Giunone. In effetti i tarocchi prodotti in Svizzera e nella Francia meridionale nel XVIII secolo sostituivano spesso la Papessa con Giunone, raffigurata con il suo pavone, simbolo di immortalità e resurrezione. Un mito relativo a Era racconta che la dea, da sola e in segreto, concepì e partorì un figlio che non somigliava agli dèi o agli uomini, ma era l’orrendo, terribile Tifone, a sua volta generatore di mostri. Così gli uomini del Medioevo dovevano immaginarsi il figlio generato dalla scellerata papessa Giovanna, e l’intera leggenda potrebbe essere, anzi, un ricordo distorto del mito di Era.
La papessa ha una simbologia vicina a quella della Madre Chiesa. Ci sono statue, dipinti e mosaici che raffigurano donne che portano in testa la corona del papa: a Roma in particolare si ricordano la scultura di una donna in vesti papali e con le chiavi, opera settecentesca di Giuseppe Frascari, inserita in una nicchia nell’atrio della basilica di San Pietro in Vaticano e un mosaico del XII secolo proveniente dal nartece dell’antica basilica di San Pietro, conservato nel Museo Barracco. Dello stesso genere allegorico sembrerebbe la misteriosa figura di donna con la tiara in testa in un affresco della chiesa di Santa Maria della Grotta a Ortelle (Lecce). Questi esempi non si possono considerare come prove dell’esistenza di una donna papa, ma come prova dell’esistenza di un simbolo della Chiesa al femminile: una personificazione della Ecclesia.
La figura della papessa Giovanna ha avuto un grande successo letterario e ultimamente anche cinematografico, grazie al bel film La Papessa (Die Päpstin), realizzato nel 2009 per la regia di Sönke Wortmann e interpretato da Johanna Wokalek. Si ricorda anche un altro film diretto da Michael Anderson nel 1972, con Liv Ullmann nel ruolo di Giovanna.
A Pier Paolo Vergerio, ex vescovo papista e poi luterano, si deve la Historia di papa Giovanni VIII, che fu meretrice e strega, pubblicato nel 1557, con chiaro intento polemico nei confronti dei cattolici, tanto che l’elezione di Giovanni VIII, la donna papa, viene vista come beffa del diavolo.
Tra i numerosi autori di libri, racconti e opere teatrali sulla Papessa ha avuto un grande successo lo scrittore greco Emmanouil Roidis, che pubblicò nel 1865 I Papissa Ioanna, un libro umoristico e dissacrante, fortemente contestato dal Clero ortodosso.
Lo storico Claudio Rendina ha inserito nel suo saggio La papessa Giovanna (1994) un suo racconto intitolato “La signora Papa”, la cui protagonista è in realtà la moglie del signor Giovanni Papa, da cui deriverebbe il nome di vicus Papisse.
Donna Woolfolk Cross, scrittrice e professoressa universitaria, è autrice del romanzo Pope Joan, pubblicato nel 1996 e uscito in Italia nel 2010, più o meno in corrispondenza del film La Papessa di Sönke Wortmann, tratto dal suo libro. La Cross ha raccolto e studiato fonti storiche per ben sette anni offrendo un’ambientazione abbastanza convincente della presunta epoca della leggendaria Giovanna: un’epoca da lei definita “di transizione da una forma di civiltà morta da tempo, a un’altra non ancora nata”. Il libro e il film evidenziano come la condizione femminile fosse decisamente difficile in quegli anni, quando le donne non avevano nessun diritto reale o giuridico ed erano sottoposte prima al padre e poi al marito. L’istruzione della donna era quasi sempre inesistente, in quanto giudicata contro natura e pericolosa.
Giovanna volle ribellarsi a tutto questo, per seguire la sua sete di conoscenza e, rivestendo i panni e il nome del fratello ucciso dai Normanni, poté cambiare la sua vita e il suo destino. Ne viene fuori un’eroina tutt’altro che negativa, un’icona del femminismo, nel suo sentirsi pari agli uomini. E pur nella finzione del suo stato, e quindi nell’usurpazione del titolo di papa (ma a fin di bene), rimane una donna che cede alla carne per amore: una donna che sacrifica in un certo senso la propria vita, perché muore abortendo il figlio, mentre avrebbe potuto fuggire molto prima. Secondo la Cross, la Chiesa misogina la bollò come ignominiosa e lussuriosa e ne cancellò la storia, ma la sua figura romanzata riemerge da una storia scritta da un’altra donna che la stessa Giovanna aveva istruito.
In effetti da questi e da molti altri testi possiamo constatare come nel tempo sia cambiata la figura della papessa. Vista all’inizio come fortemente negativa, venne probabilmente inventata per rappresentare quanto le donne potessero essere pericolose, ipocrite e assetate di potere. Al tempo della Riforma la sua figura diventa per i protestanti un simbolo di perversione e di lussuria della Chiesa cattolica, e nel mondo contemporaneo, infine, un esempio emblematico di ciò che le donne possono fare, in quanto Giovanna è vista come una donna intelligente, sicura di sé, padrona del proprio destino e in grado di arrivare là dove nessun’altra era arrivata prima di lei.
di Nica FIORI Roma 10 gennaio 2021