di Arabella CIFANI & Franco MONETTI
Un nuovo dipinto per la pittrice torinese Isabella Maria Dal Pozzo (1640 circa-1700)
La Vergine cucitrice con il Bambino benedicente e san Giovannino
Isabella Maria dal Pozzo (1640 circa-1700), La Vergine cucitrice con il Bambino benedicente e san Giovannino, olio su tela, cm. 44 x 56 cm.
Firmato sul retro:“Isabela Maria Dal Pozzo ha fatto questo quadro”
Il dipinto, di notevole interesse storico ed artistico, rappresenta la Madonna che cuce, con accanto, in una culla riccamente intagliata, il piccolo Bambino Gesù che benedice. Alle spalle del Bambino sta san Giovannino in contemplazione. Lo sfondo è costituito, sulla sinistra, da una tenda riccamente drappeggiata; sulla destra, da una colonna appoggiata su di un alto plinto. La tela offre dettagli molto delicati, come la cesta da cucito sulla sinistra con un drappo in lavorazione, le forbici e un gomitolo o lo sgabellino su cui Maria ha appoggiato il suo mantello azzurro avviluppandolo. Il quadro, in prima tela, è firmato sul retro: “Isabela Maria Dal Pozzo ha fatto questo quadro”.
Isabella Maria Dal Pozzo è una delle più interessanti artiste della pittura piemontese del Seicento. Le notizie su di lei sono concentrate in pochi testi, a partire dal 1776 (Francesco Bartoli) e il 1778 (Felice Durando di Villa). In queste due fondamentali fonti si ricorda l’esecuzione da parte della pittrice di una pala raffigurante i santi Biagio e Liduina di Schiedam nel 1666 per la Chiesa di San Francesco d’Assisi a Torino, pala a tutt’oggi esistente e fino ad ora unica sua opera nota e documentata (fig. 1).
Fig. 1. Isabella Maria Dal Pozzo, I santi Biagio e Liduina con il Bambino Gesù. Firmato e datato 1666. Chiesa di San Francesco d’Assisi Torino
In seguito, il suo nome è ritornato in altre pubblicazioni, anche se in realtà un’analisi stilistica della sua arte fino ad ora non è stata praticamente avviata anche a causa della presenza di una sola opera conosciuta. Di Isabella sappiamo anche che faceva parte dalla famiglia dei Macagno di origine lombarda (da Marignano nei pressi di Milano) e che era sorella di Carlo Alessandro Macagno, pittore e architetto attivo a Torino fra 1652 e 1692. All’origine la pittrice pare in realtà essere stata, e non poco, influenzata dallo stile del fratello (di cui forse fu allieva almeno agli esordi); la pala della Chiesa di San Francesco d’ Assisi appare infatti assai vicina a quella delle Nozze di Cana di Carlo Alessandro Macagno, firmata e datata 1669, ubicata nella casa parrocchiale di San Donato di Torino (fig. 2).
Fig. 2 Carlo Alessandro Macagno, Nozze di Cana. Firmato e datato 1669. Casa parrocchiale di San Donato, Torino
Identici panneggi pleonastici, identico l’uso di un colore smorto, identiche le trattazioni dei visi. La pala di San Francesco d’Assisi si presenta con una impostazione assai arcaica: vi si vedono i due santi inginocchiati che adorano il Bambino Gesù che si libra in un nimbo dorato con angeli tutt’intorno: lavoro modesto, la cui data 1666 ce lo consegna anche come opera attardata su schemi pittorici di almeno una ventina di anni prima, se non di più.
Poiché il quadro di san Francesco è firmato “Isabella Maria Aputeo” e datato 14 agosto 1666, ne discende che la pittrice a quel tempo doveva essere già sposata e quindi avere almeno fra i 18 e i 20 anni; la giovinezza di Isabella potrebbe pertanto costituire una giustificazione per l’incerta qualità del dipinto.
Che Isabella Maria dovesse però essere pittrice di ben altra qualità lo possiamo dedurre dal fatto che era al servizio della sofisticata principessa Luisa di Savoia e aveva fra i suoi committenti anche il potentissimo Marchese di San Tommaso, per il quale nel 1671 aveva fatto un quadro e giustamente esigeva di esserne pagata. Forse l’artista aveva fretta di ritirare quei soldi perché si stava trasferendo in quell’anno a Monaco di Baviera al servizio di Adelaide di Savoia, la sorella minore di Luisa, moglie di Ferdinando di Wittelsbach elettore di Baviera. Una sua lettera del 1687 documenta questo trasferimento; la lettera è citata da Elisabeth Heller-Winter e da essa risulta che la pittrice era a Monaco da sedici anni e che quindi vi era giunta proprio nel 1671. Isabella Maria si trasferì in Baviera con il permesso della principessa Luisa e in Germania fece una notevole fortuna: nel 1676 fu nominata pittrice di corte con uno stipendio di 400 fiorini annui e vitto: vino, pane e birra.
Adelaide Enrichetta, di Savoia morì nel 1676; dopo il 1680, il figlio Massimiliano II ascese al trono e licenziò la maggior parte degli artisti di corte della madre. La pittrice riuscì a mantenere posto e stipendio, che, in un primo tempo, le fu riconfermato senza riduzioni. Nel 1682 vi fu però una riforma finanziaria e le fu dato un saldo delle sue competenze di 300 fiorini. In seguito i suoi lavori furono pagati singolarmente.
Nel 1692 la pittrice era anziana, in difficoltà finanziarie e piena di debiti: il principe di Baviera le diede 75 fiorini. Isabella Maria voleva ritornare in patria ma quattro anni dopo era però ancora a Monaco con il marito. Nel 1696 chiedeva, a titolo quasi caritativo, ricordando la sua lunga servitù alla corte di Baviera, uno stipendio annuale: era anche diventata cieca e non poteva più lavorare. Ottenne ancora 200 fiorini all’anno. Isabella Maria morì a Monaco di Baviera l’11 dicembre 1700. Il marito riuscì faticosamente a trovare i soldi con cui tornare in Italia.
Secondo fonti ottocentesche citate dalla Heller-Winter, la pittrice avrebbe realizzato molti ritratti della principessa Adelaide Enrichetta e del marito: i documenti purtroppo furono però distrutti nel secolo scorso. Nonostante venticinque anni di lavoro continuativo in Baviera a tutt’oggi non sono stati ancora riconosciuti dipinti attribuibili alla Dal Pozzo, né in collezioni private, né nelle collezioni pubbliche tedesche.
Si dubita che un ritratto della principessa Adelaide della Pinacoteca di Monaco, attribuito al pittore Jean Delamonce, possa essere invece opera della Dal Pozzo; non ci sono tuttavia elementi sufficienti per corroborare questa ipotesi (fig. 3) .
Fig. 3 Jean Delamonce o Isabella Maria dal Pozzo, Adelaide Enrichetta di Savoia, Bayerische Staatsgemäldesammlungen – Alte Pinakothek München
Una Carità Romana della Dal Pozzo fu esposta a Manchester nel 1857 ed è oggi riconoscibile nell’opera che si trova a Kedleston Hall (Derbyshire) raffigurante Cimone e Pero (fig. 4); come vedremo, sulla base dei nuovi confronti, può essere effettivamente attribuita con certezza alla Dal Pozzo.
Fig. 4. Isabella Maria Dal Pozzo (da Guido Reni) Carità romana (Cimone e Pero). Kedleston Hall, Derbyshire
Il dipinto, qui oggetto di studio, evidenzia elementi mai fino ad ora considerati per la pittrice; soprattutto una conoscenza precisa da parte della dal Pozzo dell’opera di Guido Reni. In particolare, appare evidente il rapporto con l’affresco raffigurante la Madonna cucitrice, dipinto da Guido Reni fra l’autunno del 1609 e l’estate del 1611 nel presbiterio della Cappella dell’Annunziata nel Palazzo del Quirinale (fig. 5).
Paolo V Borghese, committente della cappella, possedeva un quadretto su rame raffigurante questa scena, che il Reni gli aveva donato nel 1606. Il dipinto e il suo particolare soggetto piacquero tanto al pontefice al punto che egli chiese al pittore di replicarlo per la sua cappella privata in Quirinale. In questo caso la composizione fu rivestita di significati teologici collegati al tema dell’Immacolata Concezione a cui Paolo V era molto devoto: la Madonna cucitrice era l’esempio di una donna laboriosa, chiusa fra le mura domestiche, preservata da ogni peccato ed impurità, sorvegliata direttamente dagli angeli. Il tema della Vergine cucitrice di Reni incontrò grande favore di pubblico e di collezionismo.
Si conoscevano dalle fonti almeno altre due varianti del quadro, che era stato in origine posseduto da papa Paolo V Borghese: una apparteneva al cardinale Mazarino, l’altra era nella collezione del Marchese de Fontenay. Dopo varie traversie, una di esse (che risulta anche essere stata posseduta anche dai principi di Carignano) è riapparsa sul mercato nel 2006 (fig. 6);
l’altra è ricomparsa, sempre in asta, nel 2017. Le composizioni, prima delle riscoperte recenti erano conosciute solo tramite incisioni e numerose copie, sia presenti in musei, sia transitate sul mercato antiquario; segnaliamo, fra le tante, quella del Museo Ingres di Montauban (fig. 7).
Le traduzioni a stampa furono opera di vari autori, fra cui ricordiamo Guillaume Vallet (fig. 8), G. Tournière, C. Errard e Sebastien Vouillemont, (fig. 9) che apportarono in alcuni casi variazioni alla composizione.
Anche un’altra incisione di Gerard Edelinck appare abbastanza simile, sebbene includa l’aggiunta di un Cristo bambino addormentato in una culla, a destra, e un velo che copre i capelli della Vergine.
Non è noto a tutt’oggi se la Dal Pozzo si sia recata personalmente a Roma e abbia potuto vedere l’affresco di Guido Reni. Quello che si può constatare con sicurezza, per ora, è che il presente dipinto è strettamente collegato a due incisioni tratte da un’opera di Guido Reni raffigurante la scena della Vergine cucitrice, ma con accanto il Bambino Gesù nella culla, realizzate dall’incisore olandese Abraham Blooteling (1640-1690) (fig. 10) e dal fiammingo Gérard Edelinck (1640-1707), (fig. 11) entrambe verso il 1665/70.
La pittrice conosceva certamente una delle due stampe e potrebbe aver eseguito il quadro verso il 1670: forse una delle sue ultime opere realizzate nella capitale subalpina prima di partire per la Baviera.
La stretta relazione fra questo nuovo dipinto della Dal Pozzo e un lavoro di Guido Reni si riscontra anche nel Cimone e Pero (o Carità romana) di Kedleston Hall, Derbyshire, che deriva da un dipinto perduto di Guido Reni noto attualmente tramite un’opera di Giovanni Andrea Sirani, conservata nella Collezione dei Durazzo Pallavicini di Genova e varie copie d’epoca (cfr. Gianandrea Sirani, una storia da riscrivere. Il “recitar dipinto” di un maestro da rivalutare di Massimo Pulini, in https://www.aboutartonline.com/pulini/).
Ma quando e come la pittrice poté conoscere anche questo secondo dipinto di Reni? Forse tramite qualche copia giunta in Piemonte o a Monaco? O nella sua vita, ancora così misteriosa, ci fu almeno un viaggio fino a Bologna? Non ci sono per ora risposte.
Da capire anche come Isabella Maria poté mutare in modo così repentino il suo stile passando dalla rigida pala di San Francesco d’Assisi di Torino a dipinti come la Vergine cucitrice e il Cimone e Pero, caratterizzati entrambi da una pittura morbida, ricca, pastosa, densa di colore.
Lo studio futuro sarà ora, sulla base del dipinto ritrovato e del dipinto inglese, recuperare le sue opere eseguite, sia a Torino, sia, soprattutto, durante la lunga permanenza in Baviera.
Arabella CIFANI & Franco MONETTI Torino 12 aprile 2020
Bibliografia: