di Giulio de MARTINO
La pittura post-gutenberghiana di Adam McEwen.
Nome di rilievo della scena newyorkese è l’artista Adam McEwen (Londra, 1965) in mostra da Gagosian Roma in via Crispi. Nato a Londra, trasferitosi a New York dal 2000, ironico e geniale, è figlio del cantante e pittore scozzese Rory McEwen (1932-1982). Con lui si entra agevolmente in una delle traiettorie sconcertanti (e divertenti) dell’arte contemporanea.
La sua dichiarazione:
«As an artist, you’ve got to reveal yourself, because if you don’t, you won’t make good work. But you don’t want to reveal yourself, because it’s horrible»
ci porta a camminare sul filo sottile che unisce finzione e comunicazione.
In contemporanea alla mostra di Roma, Gagosian espone opere di McEwen nella galleria di Davies Street a Londra (January 26 – March 11, 2023). Le due mostre sono molto differenti. Tuttavia, pure ambientate in contesti culturali opposti, appaiono unite dalla medesima intuizione estetica.
A Londra, McEwen espone i facsimili ingranditi di necrologi immaginari di personaggi molto popolari nell’informazione e nella comunicazione. Si tratta di grandi pagine di giornale, su cui accurate e dolenti biografie ricordano personalità influenti – come il pilota di Formula Uno Lewis Hamilton, l’attivista per il clima Greta Thunberg, la fotomodella Grace Jones – che vengono raccontate e celebrate in quanto prematuramente e inopinatamente scomparse.
La «Obituary Art» di McEwen fa riferimento sia alla sua precedente attività di giornalista sul “Daily Telegraph”, dove era autore di approfondite biografie di personalità appena defunte, sia alla atemporalità della comunicazione ipermoderna in cui è impossibile distinguere il vero dal falso, l’attuale dal remoto, e si concede a tutti l’immortalità virtuale.
La continuità della mostra romana con la mostra londinese non si trova nel linguaggio e nei materiali, ma nella sensibilità del pubblico. Sono spettatori differenti, uniti però dal fatto che la loro memoria generazionale coincide con la storia dei «communication media» e i cui ricordi personali segnano una traccia dentro questa stessa storia.
Nella mostra romana -abbandonati i riferimenti “british”- McEwen si misura con le diacronie storiche e culturali della città. Cita, su grandi tele colorate, la pittura di artisti quali Francis Picabia, Marcel Duchamp e Roy Lichtenstein, ma evoca contemporaneamente l’archeologia e la pittura rinascimentale.
Il contesto in cui opera McEwan è del tutto differente rispetto a quello novecentesco delle avanguardie storiche e della Pop Art. Warhol, Lichtenstein, Oldemburg hanno segnato un punto di svolta nella diacronia del Novecento, ma nella diacronia della contemporaneità, sono il passato remoto.
La Pop Art si dispiegò alla fine dall’epoca gutenberghiana della comunicazione scritta e stampata e delle arti rappresentative. L’ingresso nel mondo sociale della comunicazione pubblicitaria ne fu l’evento trascinante. Oggi, McEwen produce una pittura che ha come oggetto l’assoluta distanza di quel mondo e la navigazione in un’epoca di commistione e convergenza linguistica.
La mostra di Gagosian Roma, come accade spesso, è contestualizzata spazialmente e temporalmente dall’artista. Già il titolo, a caratteri romani, ci ricorda l’anno in corso, mentre gli sfondi violacei, delle opere – dal color lavanda al porpora – sono riferibili alla storia di Roma antica: sono stati rintracciati da McEwen nelle vesti di senatori e imperatori e nei paramenti liturgici.
Protagonista delle opere di “XXIII” è la «penna a sfera», oggetto onnipresente nella vita della metà del ‘900 e icona del design, divenuta – in epoca di totale digitalizzazione del mondo – un significante simbolico e un oggetto quasi misterioso.
La pittura acrilica di McEwen mescola disegno tecnico e sfondi monocromatici, modelli geometrici e concettualizzazioni amorfe. Nella sala principale, sette grandi tele rettangolari esibiscono interrelazioni che risultano sia aggressive sia giocose, per suggerire idee personali e strutture sociali in competizione.
La penna a sfera rappresenta la linearità della scrittura razionale, la certezza della notazione, la potenza della geometria e dell’ordine. McEwen – dipingendo la scrittura e i suoi attrezzi – allude alla fine dell’epoca d’oro dell’industrializzazione e della rappresentazione gutenberghiana. La penna a sfera rappresenta anche la solidità della memoria e la convinzione di poter racchiudere la storia nella narrazione.
McEwen introduce delle variazioni sul tema. A volte le penne rispecchiano un senso di ordine quasi militaresco. In “Kling Klang” si incrociano in una sorta di danza o di esercizio fisico. In “Dodger”, la regolarità e l’ordine sono turbati da una penna asimmetrica. Il significato simbolico dell’icona emerge in “Colosseo No.1”, con l’ovale dell’anfiteatro che racchiude la croce cristiana dei martiri. Il linguaggio lineare cerca di travalicare i propri limiti per ricostruire le morfologie e le iconologie non lineari, ma cicliche e spirituali, del passato.
Giulio de MARTINO Roma 12 Febbraio 2023
La mostra
Adam McEwen: XXIII
10 febbraio – I aprile 2023
Gagosian Roma Via Francesco Crispi 16, 00187 Roma