di Giulio de MARTINO
Giungono con continuità segnali dall’ultima grande stagione dell’arte italiana: gli anni ’60 e ’70 del ‘900. Furono anni di fervida creatività e di indipendenza culturale degli artisti, oltre che di intensa partecipazione del pubblico alle loro mostre.
Fu una stagione di gallerie coraggiose, di critici e storici dell’arte autorevoli, di collezionisti appassionati. Intorno ad ogni artista c’erano nugoli di partecipanti che apprendevano i linguaggi divergenti e imprevedibili di quello che era, all’epoca, il «contemporaneo».
A trent’anni dalla scomparsa di uno dei più grandi – Alighiero Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994) – l’Accademia di San Luca, di concerto con la Fondazione Boetti, a Palazzo Carpegna a Roma, espone un nucleo selezionato di sue opere. Ruotano intorno ai temi del doppio e della proliferazione dei segni. Riescono a dare l’illustrazione di molti segmenti della sua ricerca di «artista concettuale».
Boetti aveva fatto parte – con altri: Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio – del gruppo propugnatore dell’«Arte povera»[1].
Era una concezione delle arti visive svincolata dalle opere e dai modelli culturali classici, ma anche elaboratrice – nel nuovo tempo – delle concezioni delle «avanguardie storiche» di primo Novecento. Era riversata in una pratica artistica essenziale e anti-sistemica, audacemente cognitiva e sperimentale. La caratterizzavano i nuovi materiali industriali, l’uso delle tecnologie foto-riproduttive, la contaminazione con i mestieri della comunicazione e della pubblicità, la disseminazione sociale degli interventi e, soprattutto, la fortissima mediazione concettuale della produzione estetica.
Nell’arte di «neo-avanguardia» non irrompeva soltanto la varietà dei materiali e delle forme espositive. Ogni oggetto o momento della vita quotidiana poteva diventare il substrato di un’opera d’arte. Tutte le attività sociali potevano dare origine a momenti di asimmetria creativa[2].
Ha scritto Marco Tirelli nel Catalogo della mostra:
“Spesso Alighiero viene associato a una visione dell’arte come gioco, calembour, una visione quasi enigmistica, che certamente c’è. Ma la profondità delle sue radici e cosi innestata nelle dinamiche e nella storia del pensiero, del linguaggio e della cultura che non finisce mai di aprire scenari, porre quesiti e stupirci sul cammino della conoscenza. Le sue sono opere innesco”.
Al di là dei movimenti e delle tendenze – definiti organicamente dai «critici militanti» – ogni artista conservava la sua individualità, il suo linguaggio, il suo percorso di lavoro e di ricerca. Non bisogna però pensare che l’«artista povero» tendesse ad isolarsi e a dare sfogo alla misantropia. All’opposto: l’«arte povera» – nelle sue molte diramazioni – era una forma di lavoro in certo modo collettivo. Pure originandosi da un nucleo teorico e linguistico personale, ogni opera richiedeva l’intervento di più artigiani e specialisti, al fianco dell’artista ideatore, per dare corpo alle installazioni che venivano proposte al pubblico.
Boetti coinvolgeva sistematicamente altre persone nel suo lavoro. Dai geografi ai matematici, dai geometri ai postini, dai fonditori ai tessitori, dagli stampatori ai fotografi: tutti concorrevano a formare la piattaforma dalla quale l’artista progettava e concretizzava le sue scelte. Il lavoro di Boetti metteva in discussione il ruolo tradizionale dell’«artista onnisciente», come pure negava l’unicità e la paternità dell’«opera d’arte». Boetti elaborava i concetti di serialità e di ripetitività del segno e del messaggio fino a disperdere ogni opera nella molteplicità delle sue manifestazioni possibili.
Intuizione di Boetti – in questo erede di Marcel Duchamp – era che ogni cosa, ogni congiuntura o tecnologia della nostra vita di società, potesse trasformarsi – grazie allo sguardo periferico e alla cognizione divergente dell’artista – in occasione per la progettazione di un’opera d’arte.
Nel porticato borrominiano di Palazzo Carpegna il visitatore della mostra è accolto dalla statua in bronzo dell’Autoritratto (1993) di Alighiero Boetti. Si tratta di un’opera che ben illustra il processo di trasmutazione dei concetti estetici operanti nelle materie dell’arte.
L’ Autoritratto è un’opera scultorea in bronzo realizzata tra il 1993 e il 1994. Nasconde, all’interno, una resistenza elettrica che surriscalda la statua. Questa, a sua volta, sorregge, un tubo da cui fuoriesce un getto d’acqua che la raffredda. Le due forze in contrasto sprigionano una sottile nube di vapore. Con molta ironia, la statua descriveva il processo creativo dell’artista che passava dall’inquietudine e dalla tensione cerebrale creativa al rilassamento e alla soddisfazione che derivavano dall’oggettivazione dei suoi pensieri in una installazione, in un congegno, in un disegno[1].
Se confrontiamo l’ironia della statua con l’intensità dell’autoritratto Specchio cieco del 1975 – che funge da immagine-guida della mostra romana – apprezziamo il cambiamento di Boetti. Negli anni ‘70, il guardarsi allo specchio con gli occhi chiusi indicava il paradosso dell’artista che sperimentava – con disagio concettuale – l’impossibilità della riproduzione di sé nella sua opera. Vent’anni dopo Boetti celebrava l’arte che prendeva in giro sé stessa. Si direbbe: dall’«arte povera» al «povero artista»!
Allo sdoppiamento creativo dell’artista – una sorta di «schizofrenia», in primis quella fra «nome» e «cognome» – si abbinava il dinamismo dei segni e dei segnali. Lungi dal costituire alfabeti statici e ripetitivi, i segni grafici, linguistici, iconici, si rivelavano animati da un movimento intrinseco che li portava a dividersi, a duplicarsi, a moltiplicarsi, insomma: ad autogenerarsi.
Come illustra Storia naturale della moltiplicazione (1974-1975), l’artista può utilizzare la polimorfia e la generatività dei linguaggi incasellandola e manipolandola nella direzione del suo progetto estetico. Da Pitagora a Lullo a Leibniz, la logica combinatoria – tra parola e numero – aveva evidenziato come ogni segno avesse la potenzialità di sdoppiarsi e replicarsi, dando origine ad universi microscopici e macroscopici potenzialmente infiniti.
Con il polittico di Boetti siamo in un contesto che è «post-gutenberghiano». Un segno isolato su di una tela bianca si può accoppiare ad altri segni, simili e differenti, ad atomi e a molecole grafiche, fino a riempire di forme e colori il paesaggio dell’opera trasformandolo in cosmo affollato di presenze in continua e inarrestabile proliferazione.
In tutta la sua carriera – a partire dai primi anni ’70 – Boetti si è dedicato ai «Lavori postali». Una lettera solitaria, compilata privatamente da qualcuno e diretta a qualcun altro, si disperde nel magma della corrispondenza mondiale e viaggia insieme a miliardi di altre lettere verso destinazioni impreviste, fino a ritrovarsi nuovamente sola, abbandonata in una cassetta postale. La posta di Boetti anticipava la rete.
L’”Opera postale” in mostra nel Salone d’Onore – De bouche à oreille – era stata realizzata da Boetti nel 1993 con la collaborazione delle “Poste francesi”, di “Le Magasin” – Centre National d’Art Contemporain di Grenoble (CNAC) – e del “Musée de la Poste”. La composizione si articola in 11 serie, ognuna delle quali formata da due elementi: le buste e i disegni (506 buste affrancate e timbrate e 506 disegni a tecnica mista) e raggiunge dimensioni complessive corrispondenti all’ampiezza dell’ambiente che la contiene.
Mercoledì 18 dicembre 2024, l’Accademia di San Luca, in collaborazione con l’Istituto Centrale per la Grafica, organizzerà un convegno internazionale sull’attualità della figura di «Alighiero e Boetti».
Giulio de MARTINO Roma 10 Novembre 2024
NOTE
[1] Germano Celant, Arte povera, Milano, Mazzotta Editore, 1969.
[2] Filiberto Menna, Quadro critico. Dalle Avanguardie all’Arte Informale, Roma Edizioni Kappa, 1982.
[3] Vedi: https://www.archivioalighieroboetti.it/
La mostra
Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando
a cura di Marco Tirelli
Ideazione: Marco Tirelli e Caterina Boetti In collaborazione con la Fondazione Alighiero e Boetti.
Apertura al pubblico: 30 ottobre 2024 – 15 febbraio 2025
Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30); sabato dalle ore 10.00 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30) ; aperture straordinarie: 22 dicembre e 29 dicembre 2024, ore 10.00-19.00 (ultimo ingresso ore 18.30); chiusure: domenica e lunedì, 24-25-26 dicembre 2024, 1 gennaio 2025.
Catalogo: ALIGHIERO E BOETTI. RADDOPPIARE DIMEZZANDO, a cura di Marco Tirelli, Electa Editrice, novembre 2024.
Accademia Nazionale di San Luca. Palazzo Carpegna – Roma, piazza dell’Accademia di San Luca 77.