di Maria Cristina PICCIRILLO
Maria Cristina Piccirillo, artista e iconografa, vive a San Salvatore Telesino (Benevento). Ha una formazione artistico – teologica e ha tenuto molte mostre e conferenze in varie località in Italia insieme all’iconologo Alfonso Caccese.
La relazione che intercorre fra l’arte e la sindone
Per descrivere la relazione che intercorre fra l’arte e la Sindone, è necessario partire da alcuni punti fondamentali che aiutano a capire meglio sia il discorso iconografico in generale, sia quello specifico riguardante la Sindone vera e propria.
È importante precisare che un’icona è un sacramentale, deve rimandare necessariamente al mistero della salvezza, quindi alla nascita, alla morte e alla risurrezione di Cristo. Per questo l’icona è arte sacra, è legata al Magistero della Chiesa. Un esempio è il Mandylion o Acheropita.
Per quanto riguarda il dettato teologico dell’icona, l’opera è impregnata dall’inizio di tutto ciò, partendo dalla telatura, dalla gessatura, che diventano il supporto dell’immagine, ma la cosa ancora più importante è che quella telatura, quella gessatura, rimandano al sepolcro, perché vanno a rappresentare, a raffigurare, il sepolcro puro nel quale è stato deposto il corpo di Cristo.
Sul piano puramente teologico, tutto parte da una serie di brani dei Vangeli, grazie ai quali fu risolta la disputa sulla possibilità di rappresentare il divino attraverso l’arte umana durante la lotta iconoclasta dell’VIII-IX secolo. Uno di questi è il brano del Vangelo di Giovanni 1,14, dove troviamo che il Logos, il Verbo eterno di Dio, si fa uomo. Egli viene ad abitare in mezzo a noi, ne consegue che la Parola diventa afferrabile, circoscrivibile e quindi rappresentabile in una immagine. Concetto, questo, che trova il suo fondamento nella teologia cristiana della Trinità. Dio, fonte e principio di tutto, ha una immagine di sé del tutto compiuta, questa è il Figlio, l’Unigenito, Gesù Cristo. Da qui la possibilità di rappresentare Dio, Uno e Trino attraverso l’arte umana. Testimonianze di queste rappresentazioni le troviamo su tavola, affreschi, mosaici, bassorilievi.
Anche la Sindone viene rappresentata attraverso un modello iconografico chiamato Akra Tapeinosis. Esso si rifà al telo che veniva mostrato ai pellegrini piegato, rendendo visibile così solo il busto: il Cristo sembrava affacciarsi dalla tomba, con il capo reclino verso destra, le braccia incrociate sotto il petto e le mani recanti i segni dei chiodi. Dall’undicesimo secolo iniziarono a spiegarlo tutto. Le testimonianze del tempo fanno intuire che per farlo veniva usato uno strano meccanismo e il telo si sollevava mostrando così la figura di un uomo con tracce di sangue.
Altra testimonianza artistica è l’Epitaphios:
si tratta di una rappresentazione su di un lenzuolo del Cristo morto; abbiamo anche degli affreschi, come quello nella chiesa di San Pantaleone a Gorno Nerezi, in Macedonia, del XII secolo, e abbiamo il Codice Pray, anch’esso del XII secolo, di origine occidentale, che si trova nella biblioteca nazionale di Budapest: in quest’ultimo è presente una miniatura raffigurante il Cristo morto che viene sepolto e Nicodemo che gli versa sopra degli aromi, dei profumi. L’altra miniatura raffigura le donne che vanno al sepolcro e l’Angelo che mostra loro un lenzuolo, avente la tessitura come il telo sindonico.
Il lenzuolo presenta anche dei cerchietti in corrispondenza di alcune bruciature che si osservano sulla Sindone, ma molto più antiche di quelle dell’incendio di Chambéry del 1532.
Questi sono solo alcuni degli esempi di come l’arte sia stata a servizio del telo sindonico offrendocene testimonianze antiche, molto antiche, e quindi anche sorprendenti.
Maria Cristina PICCIRILLO 6 maggio 2020