di Paolo Erasmo MANGIANTE
Questo argomento è stato trattato in modo meno ampio e articolato in un saggio che il dott. Paolo E. Mangiante ha pubblicato sulla prestigiosa rivista spagnola Ars magazine. Ringraziamo l’autore per aver rielaborato ed ampliato il testo per la pubblicazione su About Art
CONTRIBUTO DI POMPEO BATONI ALLA RITRATTISTICA DI FRANCISCO GOYA.
La fortuna professionale di Francesco Goya è stata in gran parte legata alla sua straordinaria attività di ritrattista che, dopo alcuni sfortunati tentativi, iniziò in Spagna in modo eclatante piuttosto tardi con i ritratti del Conte di Floridablanca e dei componenti della famiglia di don Luigi di Borbone, perché in Italia e nei primi anni saragozziani, sconosciuto come era, gli erano mancati i committenti.
L’impostazione ritrattistica di Goya avvenne sicuramente durante il suo soggiorno romano dove ebbe la fortuna di frequentare Pompeo Batoni, di cui abbiamo una documentazione accertata, legata al Concorso dell’Accademia di Parma indetto nel 1770 perchè la commissione parmense aveva eletto a Roma i due pittori più celebrati, Domenico Corvi e Pompeo Batoni, per controllare l’esecuzione del saggio concorsuale di Francesco Goya.
Dal cospicuo carteggio di Pompeo Batoni con i commissari parmensi si deduce che i rapporti che egli intratteneva con i partecipanti concorsuali a lui affidati erano frequenti ed intensi, per cui non c’ è da dubitare che anche fra lui e Goya si sia stabilito una duratura frequentazione.
Pompeo Batoni era al momento il ritrattista più richiesto d’Europa, tanto che egli non poteva ottemperare tutte le commissioni di ritratti che gli pervenivano. Egli era così oberato di lavoro che “nel suo grande studio”, come riferisce Father John Thorpe il 28 agosto 1771 all’ottavo Conte di Arundel
“si accumulavano decine e decine di ritratti e dipinti quasi in essere o, ancor di più, appena abbozzati e ancora da finire” che “ci sarebbero voluti più di dieci anni di lavoro per completarli”.
Se ciò non bastasse nel 1769 Goya, appena arrivato a Roma, potè essere partecipe dell’avvenuta consacrazione europea di Pompeo Batoni che con il doppio ritratto de L’Imperatore Giuseppe II e suo fratello Leopoldo I Granduca di Toscana, aveva spopolato il campo, per cui Thorpe scrisse al conte di Arundel “ lo studio di Batoni è affollato ogni giorno, come un teatro, di persone di ogni genere per vedere il dipinto” .(fig.1).
Per Goya, iscrittosi al Concorso di Parma nel 1770, aver avuto l’opportunità di frequentare lo studio di Batoni, suo supervisore al saggio parmense, fu quindi una grande occasione per meditare su quell’abbondante materiale e raccogliere appunti preziosi sui ritratti a cui stava lavorando il maestro e su quelli non finiti del passato o abbozzati per il futuro. Idee compositive che sfruttò quando a Madrid, una volta famoso, si trovò al punto di dover assolvere un gran numero di ritratti richiesti da tutto il bel mondo della capitale e dell’intera Spagna.
Ai primi anni del ritorno in Spagna si attribuisce a Goya il ritratto del conte De Miranda, datato 1774 che ripete un’impostazione sicuramente batoniana, anche se l’impianto plastico un po’ rigido della figura e la meticolosità delle vesti e delle decorazioni asseconda lo stile allora dominante di fredda e rigida ufficialità che Mengs dava ai suoi ritratti (figg. 2a,b). Per questa commistione stilistica il dipinto non convinse tutti gli studiosi e oggi, nella sua sede non viene più considerato di Goya.
Esistono però elementi per risolvere questi dubbi attributivi e ricostruire la vicenda pittorica e stilistica di questo ritratto. La radiografia eseguita dalla Fondazione Lazaro Galdiano dimostra sotto la veste pittorica superficiale un’altra versione pittoricamente più disinvolta e molto meno ufficiale del personaggio, che indossa una casacca senza gale e colletto, del tutto sgombra dalle decorazioni che ornano la versione definitiva. (fig.3 a). Questo vestire semplice e “domestico”del personaggio colto nella sua quodianità ripete alla lettera l’atteggiamento fatto assumere a John Sadler da Pompeo Batoni nel 1768-9, modulo per altro utilizzato dal pittore lucchese in moltissime altre occasioni(fig. 3 b).
L’aver fatto ricorso in prima istanza alla sperimentata esperienza di Pompeo Batoni appare più che mai motivata agli esordi ritrattistici dal giovane Goya, che a Roma aveva avuto modo di apprezzare il successo che questi modi semplici di non chalance , ma nello stesso tempo aulici ed eleganti, di rappresentazione riscuoteva presso la più esigente clientela nobiliare europea.
La versione iniziale restituita dalla radiografia non deve tuttavia avere soddisfatto la vanità del committente che evidentemente sperava in qualcosa di più rappresentativo, per cui Goya per non deludere il conte fu costretto a ridipingere di sana pianta la composizione, adattandola allo stile ritrattistico di Mengs che allora andava per la maggiore(vedi fig.2b), ma che Goya forse non apprezzava del tutto, ottendo una maggiore evidenza plastica e monumentale della figura del Conte oltrettutto appesantita da gale e decorazioni [1] il che soddisfò la vanità del committente, ma andò a scapito, della qualità dell’insieme.(vedi figg. 2 a,b).
L’avventura critica di questo dipinto dimostra che anche nell’ambito ritrattistico, come succedeva per le opere di soggetto religioso, Goya, al suo ritorno in Spagna per il matrimonio con Josefa Bayeu, fu costretto ad esprimersi in uno stile diverso dalla spontanea maniera appresa ed esplicata in Italia, dovendosi per ragioni d’opportunità famigliare, economica e strategica, adeguare al gusto tradizionalista e artefatto propugnato dal cognato e da Mengs. “Segregato” nella Fabbrica di santa Barbara a dipingere cartoni Goya non ebbe per diversi anni alcuna occasione per fare ritratti, ma la grande occasione ritrarre un personaggio di primo piano gli si presentò, quando il Primo Ministro Floridablanca, volle essere ritratto da lui.
Per la posa del Floridablanca con la mano appoggiata autorevolmente sul fianco Goya pensò di utilizzare un’impostazione che Pompeo Batoni stava sperimentando negli anni in cui egli era a Roma in almeno cinque ritratti quello di Henry Watkin Dashwood, di Thomas Peter Giffard, di Gaetano Cesarini Sforza e dell’Imperatore Francesco I.[2] Ma soprattutto Goya,memore delle composizioni del grande pittore lucchese (fig.4 a),si sforzò di compiacere il suo nuovo protettore raffigurandolo circondato da persone, libri, progetti e soprattutto dal ritratto di Carlo III , arredi che sottolineavano la sua autorità di ministro, quasi a rappresentare, “una vera e propria allegoria del Buon Governo”. Tuttavia volendo strafare Goya, seguendo in questo i dettami del Mengs, estese il plagio alla persona del conte, attribuendogli una corporatura più alta, imponente,rigida e scultorea per cui Il ritratto alla fine appare sbilanciato. (fig. 4 b) e la figura del Floridablanca non riesce a raggiungere l’eleganza dell’aristocratico batoniano. Non stupisce quindi che il ritratto non abbia avuto l’approvazione che Goya si aspettava.
Dopo i risultati non del tutto esaltanti dei ritratti del conte De Miranda e del Conte di Floridablanca Goya quando fu introdotto presso l’ Infante don Luis de Borbon per ritrarlo assieme ai suoi famigliari deve aver meditato a lungo sulle direttive ritrattistiche da seguire per questi importantissimi impegni cominciando a liberarsi dalle figurazioni artificiose e “cortesi” alla Mengs per fare finalmente di testa sua, sfruttando quanto di meglio aveva imparato a Roma e impostando i ritratti della famiglia di don Luis de Borbon in maniera semplice, disinvolta ed elegante
Esemplare è l’avvincente ritratto della piccola Maria Teresa de Borbon ripresa con il cagnolino ai suoi piedi e con gli occhi sgranati e quell’aria incantata, immersa in un mondo di favola (fig.5) una ripresa all’aria aperta della piccola Louisa Treville poi contessa Stanhope che con la stessa aria sognante tiene in braccio il suo piccolo cagnolino (fig.6).
In questi dipinti il livello della sua pittura crebbe assai rispetto al passato e raggiunse l’apice nel Ritratto della famiglia di Don Luis de Borbon vero capolavoro di inventiva e qualità pittorica (fig.7).
In questo ritratto Goya immaginò di cogliere la famiglia principesca, come in una istantanea fotografica, in un momento qualsiasi della loro vita quotidiana e egli qui rompe deciso con la tradizione e non esita, fuori da tutti i canoni della ritrattistica ufficiale soprattutto di rango regale, a rappresentare la principessa in atteggiamento intimo, mentre si fa acconciare la capigliatura, sostenuto da un esempio illustre, osservato presso Pompeo Batoni che aveva ritratto la duchessa Geronima Santacroce, vestita per la notte, nell’atto di riporre le sue gioie (fig.8).
Questa violazione della privacy non urterà la suscettibilità dei principi che si dimostrarono felicissimi che Goya avesse manifestato il più intimo dissenso dalla rigida e fallace etichetta della corte, e alla moda mengsiana avesse anteposto la veridicità delle gioie famigliari del loro vivere quotidiano. Nasce una nuova concezione dell’arte, la pittura apre le porte all’istantanea e ancora non è nata la fotografia.
I ritratti dell’Infante e della sua famiglia fecero epoca nel bel mondo di Madrid dove Goya troverà altre commissioni. Nella stessa succinta maniera si presenta la contessa d’Altamira con la propria figlia in piedi sulle sue ginocchia senza altri dettagli anedottici, così da non dover invocare gli esempi complicati delle conversasion pieces anglosassoni, ma piuttosto la semplice e sobria eleganza che anche in queste occasioni sapeva infondere ai suoi ritratti Pompeo Batoni (fig.9 a,b).
Grazie a questi successi ben presto divenne il più richiesto ritrattista dell’alta nobiltà, dell’intellighencia e della politica della capitale, che egli ogni volta soddisfa, sempre alternando una certa dose di idealizzazione a una sapiente carica di realismo.
Per tutti questi grandi personaggi della nobiltà madrilena Goya si ingegnò a elaborare formule ritrattistiche nuove rispetto a quelle fino allora promulgate dal pittore boemo recuperando tutto l’entusiasmo che aveva accumulato a Roma per le soluzioni ritrattistiche di Pompeo Batoni, che non potevano certo essere offuscate dal meschino giudizio del pittore boemo che, rivolto probabilmente al suo rivale romano, aveva criticato coloro che
“pongono le figure ritratte in posizioni che chiamano spiritose, senza che si sappia poi perché…e modellano il corpo in una attitudine da ballerina”,
non riuscendo però a offrire in contropartita che una noiosa ritrattistica dalle pose rigide e scontate.
Pertanto Goya per soddisfare le aspettative della maggior parte dei suoi committenti di maggior prestigio, come Gaspar Melchor de Jovellanos (fig. 10 c), Josè de Magallon, Manel Garcia de la Prada, il Marchese di San Adriàn (fig.11 b), el duque de Alba (fig.12 a), Francesco de Borja duca de Osuna (fig.12 c) e suo figlio Javier Goya y Bayeu, e altri, adottò una rappresentazione aulica a figura intera dall’atteggiamento disinvolto del personaggio con le gambe elegantemente incrociate, secondo una formula codificata da Pompeo Batoni in una serie impressionante di ritratti prima, durante e dopo il soggiorno di Goya a Roma
Fig.10 a).Pompeo Batoni o bottega, Disegno preparatorio per ritratto di gentiluomo. Collezione Privata; .b) Pompeo Batoni, Henry Peirce. (1775) (cm.2 x1 ) Roma, Galleria Nazionale d’arte antica.; c).Francesco Goya, Gaspar Melchior de Jovellanos. (1784-5) (cm.185 x110) Oviedo, Museo de Bellas Artes de Asturias..
Fig.11 a).Pompeo Batoni, John Talbot. (1773), Los Angeles, Getty Center; b) Pompeo Batoni, Gentiluomo sconosciuto (1778?) (cm.221 x157) Madrid, Museo del Prado; c).Francesco Goya. Marchese di San Adriàn. (1804) (cm.209 x127) Pamplona, Diputacion Foral de Navarra.
Ma mentre Batoni sfrutta in genere il precario equilibrio determinato dalla innaturale posizione delle gambe per fare appoggiare il braccio del personaggio ad un elemento classico come il basamento di un vaso o di una statua antica per aumentarne il prestigio culturale, Goya solo in qualche caso esalta la persona ritratta attorniandola di simboli attinenti alla sua cultura, come il duca d’Alba appoggiato al pianoforte con una spartitura di Haydn in mano (fig.12 a), o allude alla sua carica, come le navi alla fonda simbolo di buon commercio nel caso di Gaspar Melchior de Jovellanos (vedi fig.10 c), o i cavalli e il palafreniere accanto a Francesco de Borja, duca de Osuna che possono alludere al suo viaggio “diplomatico” a Bajonne al seguito del re per incontrare Napoleone (fig.12 c), oppure il fin troppo allusivo fusto di cannone a cui fa poggiare il Generale Antonio Ricardos.
Fig.12 a) Francesco Goya, Josè Alvarez de Toledo,marques de Villafranca y duque de Alba (1795) Madrid. Museo del Prado; b).Pompeo Batoni, Charles John Crowle. (1761-2). (cm.248 x172) Parigi, Museo del Louvre; c). Francesco Goya, Francesco de Borja, duca de Osuna. (1816) (cm.202 x140). Bayonne, Museo Bonnat.
In altri casi elimina i simboli elogiativi e si accontenta di far appoggiare i suoi personaggi a quello che capita, il marchese di San Adriàn alla merlatura di una fortificazione (vedi fig.11 c), Manuel Garcia de la Prada a una seggiola, Francesco de Borja, duca de Osuna (fig.12 c) ad uno spunzone di roccia, o in mancanza di altro, semplicemente ai loro bastoni come Javier Goya y Bayeu e il già nominato Gaspar Melchior de Jovellanos ,potenziando semmai il personaggio nella verità del suo aspetto fisico e psicologico.
Un altro modulo batoniano felicemente utilizzato da Goya per rappresentare personaggi di rango è quella di presentarli mentre in segno di distinzione si ergono poggiando una mano sul loro bastone da passeggio, mentre con l’altra spesso tengono il cappello. Ma anche in casi come questi Goya spesso si accontenta di mettere in posa i personaggi secondo i modelli del Batoni, e si disfa di tutto l’apparato declamatorio che li circonda, mentre, per valorizzare maggiormente il protagonista, di stirpe reale, lo staglia su un fondo scuro praticamentee uniforme che si schiarisce solo in basso sul punto di appoggio,comunicando il senso dello spazio solo attraverso le ombre sudi esso. Così mentre Francis Russel, marchese di Tavistock viene proiettato da Pompeo Batoni in un paesaggio circondato da antiche statue e rovine per confermare la sua cultura e la sua nobiltà.(fig.13) , Carlo IV si atteggia elegantemente come lui con bastone e cappello, ma senza bisogno di null’altro che le insegne degli Ordini Cavallereschi di cui era Gran Maestro per dimostrare che lui è il re di Spagna.(fig.14).
Questo modo disadorno di ambientare i ritratti a figura intera si può far risalire a Velazquez il quale però preferiva fondi chiari a quelli scuri adottati da Goya. La rinuncia completa ai connotati ambientali sarà invece perseguita da Goya in quasi tutti i ritratti ufficiali a figura intera dei vari monarchi spagnoli e ad altri appartenenti alla famiglia reale come la Contessa di Chinchon e suo fratello il Cardinale Luis Maria de Burbon y Vallabriga , quasi fosse un segno di maggiore distintizione dovuto della loro altissima dignità.
Per ritrarre i ministri Gaspar Melchor de Jovellanos e Francisco de Saavedra, personalità autorevoli dell’intelligenza illuminista madrilena, di cui godeva una franca amicizia, Goya adottò ancora una volta una formula batoniana, quella del personaggio seduto di traverso alla scrivania ingombra di libri, carte, sculture e altri oggetti allusivi, che ne sottolineano il ruolo e i valori intellettivi, come Goya aveva avuto agio di veder impostare nel 1770-71 da Batoni il ritratto di Thomas Estcourt (fig.15 a), che appunto in quegli anni stava compiendo il suo Grand Tour in Italia. Ma mentre Batoni accenna alle doti del giovane studioso dallo sguardo lontano solo indirettamente attraverso i libri su cui tiene la mano e la statua di Omero posata sul tavolo, Goya dà un quadro preciso del travaglio intellettuale di Jovellanos attraverso la sua espressione meditativa e malinconica(fig.15 b), mentre sa suggerire le doti di tempestività d’azione di Saavedra tramite il pugno posato con determinazione sul tavolo, il busto ritto e lo sguardo deciso(fig.15 c). Certamente i personaggi sono atteggiati nella stessa identica maniera ma lo spirito che aleggia nei ritratti è diverso perché occorre distinguere che se Batoni è Batoni, Goya è Goya, una personalità pittorica del tutto differente,sempre attento alla personalità dell’effigiato.
Fig. 15 a) Pompeo Batoni,Thomas Estcourt (firmato e datato 1772), Collezione privata; b) Francesco Goya, Gaspar Melchor de Jovellanos. (1798) (cm.205 x123), Museo del Prado, Madrid; c) Francesco Goya, Francisco de Saavedra. (1798) (cm.198 x118) The Samuel Courtauld Trust. The Courtauld Gallery, Londra.
La stessa posa seduta, con qualche variante e acrobazia per la sua bassa statura, adottò anche per il Conte di Altamira,che, non certo a caso, ripete quella fatta assumere dal grande ritrattista lucchese al Gran Duca Paolo,poi Imperatore di Russia (figg.16 a,b).
Mentre per il generale francese Ferdinand Guillemardet scelse una posa assisa più disinvolta con le gambe accavallate e il capo rivolto allo spettatore con la stessa torsione del corpo immaginata da Batoni in contropartita per Thomas, marchese di Headfort (figg.17 a,b).
Grazie sempre alla suggestione di Batoni nell’impianto della composizione, ma soprattutto alla sua particolare inclinazione alla interpretazione introspettiva del soggetto ritratto Goya crea autentici capolavori come il ritratto di Sebastian Martinez che per l’intensa espressività sta alla pari se non supera il modello del maestro, il ritratto del Barone Carl Adolph von Plessen (figg.18 a, b).
E sempre da un esempio del Batoni degli anni sessanta, il ritratto di Sir James Graham (fig,19 a), assiso in posizione comodamente distesa fra i suoi cani da caccia, si potrebbe far risalire la positura disinvolta con cui Goya ritrasse un tracotante Godoy, il Principe de la Pax (fig.19 b), circondato non da pacifici cani, ma da bellicosi cavalli bardati e da bandiere catturate al nemico a ricordare la sua vittoriosa campagna contro il Portogallo.
Ora, se gli atteggiamenti dei personaggi della grande nobiltà madrilena ritratti da Goya risultano in certo qual modo idealizzati dalle pose disinvolte e sempre accattivanti, suggeritegli dai modelli del Batoni, la resa dei loro tratti fisionomici condotta talora con un verismo sorprendente non disturbava i committenti perché contribuiva a rendere i loro ritratti più reali e vitali.
Malgrado un gran numero di esempi testimoniano come Goya si sia ampiamente servito dei moduli batoniani per impostare la maggior parte dei suoi ritratti da parata delle personalità emergenti della grande nobiltà e della intellighenzia madrilena, è tuttavia singolare che nella letteratura goyesca, anche la più recente, non si accenni praticamente mai a questa evidenza, mentre si continua a fare appello come ispiratori della sua ritrattistica ad autori inglesi e francesi che mai ebbe occasione di conoscere; il che forse si allinea con la scarsa conoscenza e considerazione che ancora si ha del soggiorno italiano del giovane Goya e di quanto Roma abbia influito sul futuro della sua pittura.
Paolo Erasmo MANGIANTE Genova 10 Dicembre 2023
BIBLIOGRAFIA