La ritrovata “Caduta di San Paolo” di Ludovico Carracci, un esempio di pittura “riformata” in bilico tra manierismo e naturalismo.

di Emilio NEGRO

L’opera sarà esposta alla mostra “Caravaggio e il suo tempo tra naturalismo e classicismo, a cura di Pierluigi Carofano con la collaborazione di Tamara Cini; Comitato scientifico: Paolo Bertelli, Pierluigi Carofano, Filippo Maria Ferro, Emilio Negro, Franco Paliaga, Nicosetta Roio; Organizzazione: Associazione MetaMorfosi di Roma, Basilea, Messe, Halle 5, dal 20 dicembre 2023 al 7 aprile 2024.

Emilio Zambeccari fu il senatore e membro della milizia felsinea che il 18 luglio 1587 commissionò a Ludovico Carracci una Conversione di San Paolo per ornare l’altare della cappella di famiglia nella basilica bolognese di San Francesco (olio su tela, cm 279 x 171, ora nella Pinacoteca di Bologna) (fig.1).

Fig. 1 Ludovico Carracci, Caduta di San Paolo, olio su tela, cm 279 x 171, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

Conseguentemente il pittore trentaduenne – certo non “giovane esordiente” (A. Brogi, in Pinacoteca Nazionale di Bologna, 2, Venezia, 2010, pp. 228-230, n. 163), ma di un’età in cui un pittore talentuoso era già affermato – firmò il contratto che lo impegnava a realizzare la pala in soli sei mesi, a partire dall’inizio dell’agosto successivo. Nella stessa estate del 1587, Ludovico ricevette da Zambeccari anche il primo anticipo per la Conversione di San Paolo: ciononostante per ragioni finora ignote il semestrale termine contrattuale non venne rispettato, sicché il saldo fu versato quasi due anni dopo, cioè il 15 maggio 1589.

Nell’ampia tela è raffigurato un avvenimento basilare della vita di Saulo, l’ebreo nato a Tarso in Asia Minore che ereditò dal padre la cittadinanza romana e non fece parte dei dodici discepoli di Gesù. Convertitosi al cristianesimo, Saulo prese il nome di Paolo, fu chiamato l’“apostolo delle genti” e si impegnò nell’evangelizzazione dei Gentili (o pagani). Mentre era diretto a Damasco per chiedere l’approvazione della Sinagoga all’arresto dei cristiani, improvvisamente fu accecato da una luce abbagliante apparsa in Cielo che lo fece capitombolare a terra impaurito.

Questo fatto prodigioso è stato tuttavia riferito con talune discrepanze negli Atti degli Apostoli (in tre versioni differenti: 9, 1-18; 21, 40; 22, 3-16), in alcuni passi della lettera di San Paolo a Timoteo (1 Tim 1, 12-17), in quella ai Galati (1, 1-2, 21) e in altre differenti fonti: talune trasposizioni asseriscono che Paolo e il suo drappello di soldati sentirono anche la voce di Cristo dire “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”, soggiungendo di proseguire il tragitto fino a destinazione, dove avrebbe saputo il da farsi. Altre sostengono che fu sentita solo la voce, o si vide soltanto il lampo, uditi o visti dai soldati o dal solo apostolo.

E benché sia verosimile che Saulo cavalcasse un animale per viaggiare più velocemente e con meno fatica, le fonti non accennano ad alcuna cavalcatura; questo dettaglio venne aggiunto nel Medioevo per porre in rapporto la caduta di Saulo con l’allegoria della sconfitta della Superbia, rappresentata appunto da un cavaliere disarcionato.

È questa la ragione per la quale il futuro santo è ritratto con gli abiti e le armi degli alteri cavalieri romani, ovvero una tunica bianca (di cui si scorge il bordo nello scollo), la cotta di anelli di ferro, il corpetto dell’armatura in cuoio rosso, un gonnellino marrone, il mantello blu con fermaglio dorato, i calzari e la spada al fianco.

Nel corso delle soppressioni napoleoniche il tempio dedicato a San Francesco fu sconsacrato e nel 1798 la pala fu trasferita nella pinacoteca bolognese. Il confronto tra quest’ultima opera e quella recentemente scoperta (olio su tela, cm 250 x 170) (fig.2) ne sostiene l’attribuzione a Ludovico Carracci con analoga cronologia.

Fig. 2 Ludovico Carracci, Caduta di San Paolo, olio su tela, cm 250 x 170, collezione privata.

La tela di collezione privata si può ammirare ora alla mostra Caravaggio e il suo tempo tra naturalismo e classicismo a Basilea, reduce dall’esposizione con lo stesso titolo patrocinata dalla Regione Puglia e dal Comune di Mesagne, ugualmente ben curata da Pierluigi Carofano coadiuvato da Tamara Cini (Mesagne, Castello Normanno Svevo, 18 luglio – 10 dicembre 2023).

In entrambe le opere sono infatti lampanti le strette corrispondenze col tipo di pittura del più anziano dei Carracci: la tela ritrovata non ha accenni nelle antiche fonti storiografiche, almeno per quanto è dato sapere, tuttavia la sua restituzione alla mano del grande Ludovico giunge dal cosiddetto “documento di prima”, cioè dall’opera stessa; vi risaltano infatti il comune dato iconografico, un analogo acume compositivo, la ricchezza materica, il medesimo tratto pittorico vagamente tibaldesco, vivace e sinuoso fino ad apparire quasi scomposto, tutte qualità tipiche del dipingere elegantemente sicuro del maestro bolognese.

Le due versioni della fulminea conversione di Saulo, di equiparabili dimensioni e quindi credibilmente destinate al medesimo altare, sono inoltre ugualmente ambientate contro lo stesso fondale dalle tinte neutre, rischiarato dalla luminosità soprannaturale diffusa dai corpi evanescenti di Cristo e degli angeli: ambedue le composizioni si reggono sulla forte tensione prodotta dal contrasto tra il rosso scarlatto del corpetto, il marrone fangoso del terreno e il bigio del cielo.

Affiora perciò in entrambe una visione di insieme colta e composita, educata al classicismo dei grandi maestri padani del XVI secolo, quali Correggio, Parmigianino e Nicolò dell’Abate, e alla temperata luce di quelli lagunari come Tiziano, i Bassano e Paolo Veronese: Ludovico aveva ammirato le pitture dei primi nelle chiese e nei palazzi bolognesi, modenesi e parmigiani, quelle dei maestri veneti durante le escursioni lagunari con i cugini Agostino e Annibale.

Questi ultimi studi dal vero sono stati messi in dubbio da una storiografia malaccorta, ma resi agevoli dall’andirivieni bisettimanale dei corrieri diretti a Venezia in partenza dal porto fluviale di Bologna (E. Negro – N. Roio, Annibale Carracci esordiente. Le storie di Europa in Palazzo Fava a Bologna. Mito, alchimia e scienza, Foligno, 2021, p. 24, nota 21; E. Negro, Caravaggio e i Carracci: affinità elettive, in Dramma e passione da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi, a cura di P. Carofano, Foligno, 2022, p. 78, note 25 – 30).

Ludovico, com’è noto, fu il più anziano della triade carraccesca che rivoluzionò il corso dell’arte felsinea ed europea: con i tre cugini fondò l’Accademia dei Desiderosi, poi degli Incamminati, volte al superamento delle istanze manieristiche che fino a quel momento avevano dominato la pittura. Si pensa che la sua formazione sia avvenuta nella bottega di Prospero Fontana, con contatti con i riformati toscani, specie Domenico Passignano, e con Camillo Procaccini.

Lo sforzo di rinnovare la pittura religiosa, parallelamente agli orientamenti postconciliari che richiedevano all’arte sacra un compito di adeguato risanamento dei costumi e stimolo didattico, furono suggeriti a Ludovico anche dal Discorso sulle immagini sacre e profane del cardinale Paleotti (1582) e nondimeno dalle precedenti riflessioni sulla pittura nel testo dal titolo Dello specchio di scienza universale di Leonardo Fioravanti, edito a Bologna nel 1564 (E. Negro, Giulio Mancini, Leonardo Fioravanti e gli esordi dei Carracci: due presenze dimenticate tra Bologna e Siena, in Francesco Rustici e il naturalismo a Siena, atti del convegno a cura di M. Ciampolini, Milano, 2022, pp. 127 – 134).  Al contrario di Ludovico, Agostino e Annibale seguirono sviluppi differenti, l’uno interessato particolarmente alla grafica e all’incisione, l’altro indirizzato ad istanze più classiciste.

Questo notevole recupero al catalogo di Ludovico Carracci fu realizzato in una fase stilistica ancora di sperimentazione, in bilico tra esiti di manierismo – le belle forme flessuose del destriero e del cavaliere sbalzato di sella sono evidentemente una derivazione da invenzioni di Parmigianino e Nicolò dell’Abate – e primordi di naturalismo: due impulsi emozionali contrastanti, ancora influenzati dal fervido misticismo, scontroso e crudo, delle sue primissime creazioni artistiche. È poi molto probabile che questa peculiare tipologia eroica di “Caduta” sia tornata alla mente, al cuore e agli occhi di Michelangelo da Caravaggio quando, dopo un’assai verosimile sosta a Bologna arrivò a Roma e dipinse con affinità di intendimenti la sua Caduta di San Paolo Odescalchi-Balbi (fig.3) (E. Negro, Caravaggio e i Carracci: affinità elettive, in Dramma e passione da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi, a cura di P. Carofano, Foligno, 2022, pp. 77 – 85).

Fig. 3 Michelangelo Merisi da Caravaggio, Caduta di San Paolo, collezione Odescalchi-Balbi.

Raffrontando le due redazioni ludovichiane è agevole rimarcarne i consistenti cambiamenti: rispetto alla versione bolognese già conosciuta, in quella ritrovata di recente mancano i soldati, l’insegna con l’aquila imperiale, un lembo del mantello di San Paolo del quale tuttavia si vedono interamente le dita della mano e del piede destri, sono differenti anche i contorni delle case all’orizzonte, il candido vessillo, le nuvole, i colori del cielo e l’immagine di Christus triumphans, che qui è scortata da alcuni angeli distinguibili nella luce dorata. Altre diversità sono riscontrabili nella differente brillantezza delle tinte, più intense nel quadro di raccolta privata, e nell’impaginazione sovrastata al centro dalla presenza del cavallo bianco impennato di cui si vede interamente la folta coda, a differenza della redazione della pinacoteca bolognese, ottenendo una raffigurazione dell’evento soprannaturale più intimistica, con le sole immagini di Saulo e del magnifico destriero.

La pala ritrovata potrebbe essere perciò la prima redazione consegnata dal Carracci allo Zambeccari per la sua cappella in San Francesco. Ma questa versione per così dire minimalista, priva cioè dei personaggi di contorno, evidentemente non soddisfece il senatore, che probabilmente la ritenne troppo scarna: d’altra parte, il patto sottoscritto accennava soltanto genericamente le caratteristiche che avrebbe dovuto avere l’“Historia”, dipinta da “homo da bene”, con “bel decoro, ben compartita, ben colorita e finita con quante figure serà necessario”, senza specificare il numero (G. Feigenbaum, in Ludovico Carracci, catalogo della mostra, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1993, pp. 42 – 43, cat. n. 19). Tutto ciò spiegherebbe il considerevole ritardo dei tempi di consegna della pala definitiva e degli annessi pagamenti a Ludovico Carracci, con buona probabilità conseguenti al rifiuto di questa prima straordinaria Conversione di San Paolo.

Emilio NEGRO  Bologna 17 Dicembre 2023