di M. Lucrezia VICINI
AUTORE: MICHELANGELO CERQUOZZI (Roma,1602-Roma,1660)
TITOLO: LA RIVOLTA DI MASANIELLO
MATERIA: OLIO SU TELA
INVENTARIO: N. 81 COLLOCAZIONE: IV SALA della Galleria Spada PROVENIENZA: COLLEZIONE DI VIRGILIO SPADA
Il dipinto era di proprietà di padre Virgilio Spada (1596-1662), fratello oratoriano del Cardinale Bernardino (1594-1661). E’ citato per la prima volta nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1662, e descritto con la giusta attribuzione al pittore, come “Revolutione di Napoli Michel Angelo delle battaglie”. Virgilio dovette commissionarlo all’artista probabilmente tra la fine del 1647 e gli inizi del 1648, se il 27 febbraio del 1648 versò scudi. 40 a “M.Angelo delle Battaglie per un quadro di Masaniello”.
Seguì subito un altro pagamento per la realizzazione della cornice secondo la nota qui di seguito riportata “ A di 18 marzo 1648, s.3.20 per la cornice et indoratura al detto quadro” (1). Il riferimento al Cerquozzi rimane costante nei successivi inventari Spada. In quello dei beni mobili del 1759 è ricordato come
“Un quadro di palmi 4 e 5 avantagiati per traverso rappresentante un mercato, opera di Michelangelo delle bambocciate, 300 scudi”,
insieme al luogo di esposizione corrispondente alla Galleria grande, attuale terza sala del Museo(2). Come “Mercatello di Napoli, di Michelangelo delle Bambocciate” e con la diversa collocazione nella seconda sala, è elencato nell’elenco Fidecommissario del 1823 (3). Sempre esposto in seconda sala, e attribuito al Cerquozzi, figura nell’Appendice al Fidecommisso del 1862, nella ricognizione inventariale del 1925 effettuata dall’avvocato PietroPoncini, amministratore della famiglia Spada e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 1.000 (4). Dal 1951 è presente nella quarta sala e per volere di Federico Zeri che operava in quell’anno il riordino del Museo in vista della sua riapertura ufficiale al pubblico.
Il dipinto è riferito al Cerquozzi da Roisecco (5), Wolkmann (6), von Ramboir (7), Lanzi (8), Vasi (9), De Montault (10), Porcella (11), Buscaroli (12). Lavagnino (13) lo attribuisce a scuola del Cerquozzi.
Baldinucci (14), biografo del pittore, nell’esaltare la bravura dell’artista, fa notare come egli si sia avvalso di un testimone per l’esecuzione del dipinto, scrivendo:
“Col solamente sentire le relazioni di chi vi s’era trovato presente dipinse quel luogo, e tutti gli accidenti ivi seguiti: e, quello che è più mirabile, si è, che non solo rappresentò in quelle figure l’arie di teste, ma eziandio gli atti stessi che perlopiù son propri di quella nazione, senza essere mai stato a Napoli, in sola forza di fantasia”.
Giuliano Briganti (15) identifica in quel testimone oculare della rivolta, il bergamasco Viviano Codazzi ( Bergamo,1604-Roma,1670), eccellente pittore di vedute allora residente a Napoli, che avrebbe eseguito l’opera in collaborazione con il Cerquozzi, proprio relativamente agli edifici di fondo, subito dopo il 1647. Secondo Briganti è autografa anche la replica della Collezione Boggio di Torino.
Zeri (16), conferma l’ipotesi di collaborazione tra i due artisti, convinto che non sarebbe stato possibile per il Cerquozzi rappresentare in maniera così veritiera la piazza napoletana senza essersi mai allontanato da Roma e riconosce anche lui nella esecuzione delle architetture la mano del Codazzi.
Precisa che altri casi di collaborazione continuarono ad esserci tra i due artisti e cita in proposito le due tele della Collezione Incisa della Rocchetta a Roma, esposte alla Mostra dei Bamboccianti a Roma nel 1950, raffiguranti L’arrivo in villa e Il Bagno. Lo studioso concorda inoltre con Briganti la datazione dell’opera, di poco posteriore al 1647, e il riconoscimento dell’autografia della replica torinese.
Anche Laura Laureati (17) non ha dubbi nel ritenere Codazzi il referente del Cerquozzi nella narrazione dei fatti, nonché l’autore delle architetture di fondo. Del resto il Codazzi che collaborerà effettivamente con il Cerquozzi per tutta la vita e solitamente per la parte architettonica, risiedendo a Napoli doveva aver vissuto in prima persona i momenti della rivolta per essere in grado di raccontarli. Subito dopo i disordini però, forse intimorito dalle conseguenze che ci sarebbero state, si trasferi a Roma dove venne presto raggiunto dalla sua famiglia e nel 1649 prese alloggio nel vicolo di Sant’Andrea delle Fratte.
Prota Giurleo (18), sostiene che il Codazzi non sia fuggito a Roma per paura dei moti popolari, ma piuttosto per seguire il Lanfranco, diretto anche lui a Roma in quest’anno, sicuro di collaborare con il maestro in qualche ciclo importante, poi mai venuto a luce per morte sopraggiunta dello stesso Lanfranco. E’ certo tuttavia, come asserisce ancora Laureati (19), che se il Codazzi non fosse stato proprio presente in quella prima impresa di Masaniello poteva disporre della stessa fonte di cui si servirà successivamente il Giannone (20) nella Storia del Reame di Napoli dal momento che la descrizione degli avvenimenti del 7 luglio del 1647, specie in merito ai particolari, trova corrispondenza con quanto rappresentato nel dipinto, come infatti è possibile verificare qui di seguito:
“Alcuni contadini della città di Pozuoli, avendo la mattina di quel giorno, portate alcune sporte di fichi al mercato, erano sollecitati dagli esattori del dazio al pagamento; et insorta contesa tra essi, ed i bottegai che dovevano comprarle, intorno a chi dovesse pagarlo; essendo accorso Andrea Nauclerio eletto dal popolo a darne giudicio, decise, che conveniva si sborzasse da chi le portava dalla campagna; uno de’ contadini che non aveva denaro, versò con imprecazione un cesto di fichi per terra, rabbiosamente calpestandogli. Accorsero molti a rapirli, alcuni con risa, altri con collera, ma tutti compatendo quel misero, et odiando la cagione. Allo strepito essendo sopravvenuto Masaniello con altri ragazzi armati di canne, cominciarono tutti, da costui animati, a saccheggiar il posto della gabella scacciandone con sassi i ministri”
Cannatà (21) non esclude che a suggerire l’impostazione del soggetto possa essere stato lo stesso Virgilio Spada. Secondo Cannatà la precisione e la nitidezza della descrizione del fatto, che fanno del quadro un reportage visivo, una cronaca sotto forma di pittura di ciò che poteva essere accaduto il giorno della rivolta, e che sottintende la volontà di far sapere con chiarezza come si era svolto l’avvenimento, rispecchiano la personalità del committente.
Anche Virgilio era cultore di storia, biografo della sua famiglia e autore di libri di storia, scritti con stile asciutto ed essenziali nella trattazione degli eventi, proprio come si presenta il dipinto con le informazioni che egli poteva aver attinto dagli Oratoriani di Napoli (22).
La rivolta di domenica 7 luglio, era maturata gradualmente durante la grave crisi di depressione politica ed economica che tra il 1636 e il 1647 interessò il Regno di Napoli nel conflitto diretto tra Francia e Spagna (1635-1648). La nuova gabella sulla frutta imposta dal governo spagnolo, nella persona del Vicerè duca d’Arcos il 3 gennaio del 1647, rappresentò l’ultimo abuso fiscale che colpì il commercio e la produzione agricola spingendo ulteriormente all’esasperazione e alla miseria il popolo minuto della capitale.
Masaniello fu il protagonista e l’emblema della sommossa, strumentalizzato da una cerchia ristretta di ideologi napoletani filofrancesi per i quali l’imposizione della tassa divenne scintilla di reazione vera e propria al malgoverno. La protesta, che ebbe ripercussioni internazionali, si spense a Napoli dopo dieci giorni con l’uccisione di Masaniello, tradito dai suoi stessi sostenitori, e con l’apparente pace spagnola espressa nei Capitoli che prevedevano la parificazione dei diritti politici e sociali tra popolo e nobiltà, firmati e giurati dal Vicerè duca D’Arcos (23).
A Roma, Bernardino Spada, Cardinale filofrancese ritenuto erroneamente il committente dell’opera (24), aveva invano cercato dal suo canto, con una fitta corrispondenza, di convincere Papa Innocenzo X ad inviare a Napoli un legato con le funzioni di mediatore per evitare che la situazione precipitasse. Lo stesso Pontefice però, in occasione dei tumulti romani, scoppiati l’anno successivo a causa della carestia, memore forse della triste vicenda napoletana, intervenne direttamente investendo denaro proprio ed emanando provvedimenti vari che scongiurarono l’imposizione di nuove gabelle (25).
Nella gremita piazza, colta a volo d’uccello per essere vissuta in tutta la sua profondità, l’artista pone subito in evidenza la figura di Masaniello che irrompe nel mercato su di un cavallo bianco insieme ad un corteo di giovani muniti di canne, per inseguire il gruppo di esattori all’estrema sinistra, in giro a riscuotere le gabelle. Costoro già presi a sassate, fuggono spaventati, mentre uno di loro giace riverso a terra.
A destra, su di un carro trainato da buoi e appoggiato ad una grossa botte, un altro personaggio, forse a impersonare quell’Andrea Nauclerio citato dal Baldinucci, incita le persone circostanti, tra cui due appartenenti ad un ordine religioso. Ma i presenti, più che rispondere alle sollecitazioni appaiono sbigottiti per la improvvisa e rapida invasione. Qualcuno si mostra indifferente, come d’altronde resta impassibile all’evento la folla in secondo piano che non si accorge di quanto sta accadendo e pertanto si aggira nel mercato come se niente fosse.
Nella confusione qualcuno approfitta per raccogliere fichi che, stando sempre al racconto di Baldinucci, dovrebbero alludere ai fichi sparsi rabbiosamente a terra dal contadino di Pozzuoli il quale, piuttosto che pagare la tassa, aveva preferito non più venderli ma distruggerli. Nel dipinto anche un nero cinghiale si avvia pian piano a raccattarli. Intorno alla piazza si snoda a semicerchio lo scenario dei nitidi e simmetrici edifici del Codazzi, realistici e fantasiosi insieme, raccordati a destra, sullo sfondo del Vesuvio, dall’alto campanile della chiesa del Carmine.
L’evento della rivolta, viene in effetti trattato dal pittore in maniera sintetica ed immediata. Ma nell’immediatezza della rappresentazione sembra voler tralasciare il valore politico dell’episodio, e fermarsi piuttosto sull’aspetto popolaresco, esteriore, diversamente ad esempio dall’analogo dipinto di Domenico Gargiulo (Napoli,1610-1675) del Museo Nazionale di San Martino di Napoli.
In esso la piazza, animata da ferventi scontri di gruppo, rende tangibile il malcontento sociale provocato dalle pressioni fiscali del governo spagnolo, al punto che può essere attribuito al quadro il significato di una vera pagina di storia (26).
Per il Cerquozzi l’avvenimento storico diventa un flash figurato, con spunti talvolta comici, intorno a cui ruota la normale vita di un giorno di mercato, caratterizzata da persone, animali, banchi delle vendite, espressi con schiettezza e naturalismo negli usi e costumi, secondo i canoni della pittura di genere che il pittore assimilò a contatto con l’olandese Pieter Van Laer, diventandone il massimo interprete italiano.
M. Lucrezia VICINI Roma 25 Febbraio 2024