La Tradizione delle feste celebrative e devozionali nel nuovo numero degli “Annali del Barocco in Sicilia”.

di Francesca SARACENO

È uscito per Gangemi Editore il N.10 degli “Annali del Barocco in Sicilia” (fig. 1), una rivista del Centro Internazionale di Studi sul Barocco, nel quarantesimo anniversario della sua fondazione.

Fig. 1 Copertina “Annali del Barocco in Sicilia” N.10

Lucia Trigilia, direttore scientifico dell’importante ente culturale siracusano che, dal 1984, si occupa di conoscenza e valorizzazione del Barocco nelle aree dell’Italia meridionale e del Mediterraneo, ha curato questa edizione particolarmente ricca e interessante, dal titolo

“Apparati festivi e macchine tra il Rinascimento e Barocco. Cerimonie, potere e città nell’area del Mediterraneo”.

Arturo Buscarino, Veronica Carciotto, Luigi Fortuna, Martine Boiteux, Fabio Colonnese, Marcello Fagiolo, Felipe Serrano Estrella, Simona Gatto, Marina Manuela Cafà, Lucia Trigilia, Luigi Alini, Rita Valenti, Emanuela Paternò, Denis De Lucca, Andrea La Rosa, sono gli studiosi che hanno prodotto i nove saggi e l’appendice documentaria di cui si compone il volume, proponendo un’attenta analisi sugli apparati effimeri e le macchine festive protagoniste delle celebrazioni religiose e civili nel sud Italia e nell’area mediterranea tra il Cinquecento e il Settecento.

L’importanza di una tale pubblicazione si iscrive a pieno titolo nelle attività di valorizzazione storica di un territorio particolarmente segnato dall’arte – ma direi più in generale dalla cultura – barocca; e soprattutto quello siciliano orientale, quasi totalmente ricostruito secondo il gusto dell’epoca, dopo le devastazioni del terribile terremoto del 1693, avvalendosi di quelle maestose architetture diventate iconiche e rappresentative dello spirito indomito dei suoi abitanti.

Il Barocco è l’età dell’effimero che sbalordisce e stordisce per opulenza e originalità; è l’età in cui, come scrive Lucia Trigilia nel suo editoriale, “fede e allegrezza” celebrano santi e sovrani. La città diventa teatro delle celebrazioni; le grandi famiglie nobili investono somme cospicue nell’organizzazione di grandi eventi, mettendo in mostra la loro ricchezza e quindi il loro potere. Ma tutto questo serve a mascherare una realtà ben poco “allegra” per le classi disagiate, soprattutto in un periodo denso di catastrofi naturali, carestie e pestilenze. Eppure, proprio queste grandi manifestazioni celebrative sono occasione per il popolo di dimenticare, almeno per un po’, le ristrettezze (non solo materiali), e godere attimi di vera ebbrezza tra arte e meraviglia. Tutto ciò costituisce il filo conduttore di questo numero degli “Annali” che, attraverso un approccio scientifico e multidisciplinare, ricostruisce dalle origini la storia delle feste e degli apparati effimeri di decorazione, a partire dalle testimonianze del Rinascimento e fino al periodo di massimo splendore che fu, per l’appunto, il Barocco, tra il XVII e il XVIII secolo.

Si parte delle radici progettistiche dei grandi archi trionfali, delle macchine sceniche semoventi, delle macchine per i fuochi d’artificio che, in un primo momento, vennero usate a scopo celebrativo per eventi particolari, oppure per il carnevale. La meccanica di questi grandiosi apparati festivi, traeva origine dai progetti innovativi dei più grandi intelletti e artisti; si parla di personaggi come Leonardo Da Vinci, Filippo Brunelleschi, e più avanti nel tempo anche Bernardo Buontalenti e Nicola Sabbatini. Affascinante scoprire come gli ingegnosi e articolati sistemi di movimentazione e sollevamento ideati dal Brunelleschi per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore, abbiano trovato applicazione e sviluppo nella costruzione di macchine sceniche fatte per suscitare stupore; o come gli studi di Leonardo abbiano rivoluzionato la progettazione delle scenografie teatrali e, più avanti, di quei “teatri in movimento” che saranno gli enormi Carri allegorici celebrativi che sfileranno per le strade delle grandi città italiane.

Nel Seicento, il fermento in ambito scientifico segnò la fine delle dogmatiche certezze umanistiche, aprendo il pensiero alla scoperta di nuove possibilità di conoscenza, attraverso l’esperienza diretta e la verifica delle teorie. Ne beneficiò anche l’abito artistico, e quello del teatro in particolare, che sarà al centro di ogni grandiosa e fantasmagorica manifestazione del periodo barocco; scenografie mobili e trasformabili, strumentazioni collocate sopra e sotto lo spazio scenico per movimentare gli arredi di scena, o addirittura gli stessi attori. Le opere musicali, come il melodramma, si avvalsero di elementi scenici particolari, suggestivi, che riproducevano luci e suoni, creando meraviglia. Tutto effimero, tutto provvisorio, costruito e poi smontato; di fatto l’illusione della realtà sul palcoscenico. Nascerà per questo una figura professionale apposita, l’architetto teatrale, chiamato a sviluppare specifici progetti per ogni genere di rappresentazione. La pittura ebbe un ruolo centrale nella realizzazione di tali progetti scenografici, attraverso la creazione di sfondi pittorici sulle quinte, dove gli artisti raffiguravano ambientazioni fantastiche.

Perfino i rituali funebri divennero occasione di espressione artistica e artigianale, per celebrare la memoria di sovrani e notabili in maniera sfarzosa, con enormi strutture effimere in forma di baldacchini sontuosamente decorati (fig. 2), sotto i quali venivano posti i catafalchi dei defunti, tra cascate di drappeggi e velluti.

Fig. 2 Catafalco per il figlio maggiore del re di Piemonte-Sicilia, Palermo, 1715, A. Palma Architetto, incisione anonima.

Nemmeno l’ambito religioso rimase fuori da questo fermento di innovazione tecnica e scenografica. La Chiesa comprese l’enorme impatto emozionale e la funzione didattica che il “teatro dell’effimero” possedeva nella sua eclatante manifestazione; il senso religioso dei grandiosi rituali festivi e dei Carri su cui venivano portati in processione i santi, assunse il carattere del trionfo della fede cattolica, soprattutto sul protestantesimo che dilagava in Europa spogliando i luoghi di culto di ogni decorazione e immagine sacra, mentre nelle città cattoliche si assisteva a un tripudio traboccante di pitture, architetture, addobbi, drappeggi e scenografie.

Una “magia” barocca a cui ancora oggi è possibile assistere è l’apparizione di sant’Ignazio di Loyola nella magnifica cappella a lui dedicata nella Chiesa del Gesù a Roma (fig. 3);

Fig. 3 Svelata della statua di S. Ignazio in gloria, Cappella di S. Ignazio di Loyola, Chiesa del Gesù, Roma.

una spettacolare composizione scenografica fatta di statue ed elementi architettonici riccamente decorati con dorature e lapislazzuli, fa da contorno alla tela attribuita ad Andrea Pozzo, posta sulla nicchia sopra l’altare, che da quattro secoli, ogni giorno alla stessa ora, lentamente sparisce per svelare la statua del santo in gloria. Un evento che, accompagnato da musica e canti, produce meraviglia ed eleva lo spirito. Qualcosa che accade anche nel giorno delle feste patronali soprattutto in Sicilia, quando i simulacri dei santi vengono estratti in maniera scenografica dai sacelli che li custodiscono.

Non a caso, alcuni saggi in questo numero degli “Annali”, raccontano la nascita delle feste devozionali barocche nelle grandi città siciliane: a Palermo per santa Rosalia, a Catania per Sant’Agata, a Siracusa per santa Lucia e a Messina per la Madonna Assunta. Gli autori fanno rivivere, con dovizia di particolari e di grande interesse storico, le fasi di progettazione e costruzione dei grandi apparati effimeri celebrativi costruiti per decorare strade e piazze: archi trionfali di dimensioni imponenti, enormi carri-vascello magnificamente decorati, le “vare” con cui si portavano in processione i santi. E nel momento in cui quelle grandi feste assunsero un carattere prevalentemente religioso, gli studiosi mettono in evidenza il rapporto stretto tra le popolazioni e il culto dei santi, e come anche lo sviluppo urbanistico, dopo le distruzioni del terremoto del 1693, fu progettato tenendo conto delle esigenze legate ai riti liturgici e ai cortei religiosi.

Le chiese furono i primi edifici a essere ricostruiti, la vita rinasceva intorno ai luoghi di culto. In prossimità delle chiese nascevano spazi urbani pensando alle feste e alle processioni; perché la festa è momento di coesione per la comunità, favorisce i commerci e quindi l’economia, crea opportunità di crescita e affermazione professionale per le varie maestranze coinvolte nell’organizzazione, e fornisce alle famiglie patrizie l’occasione per consolidare il proprio prestigio.

Fig. 4 Arco Trionfale ai Quattro Canti, Palermo, 1625, incisione di F. Negro

Bellissima la descrizione delle decorazioni ai Quattro Canti di Palermo per la festa di santa Rosalia del 1625, quando venne eretto un arco di trionfo effimero che le cronache riportano come uno dei più sontuosi che si fossero mai visti, non solo in Sicilia (fig. 4).

Di fatto questo arco costituiva una sorta di copertura, con architettura a botte, delle quattro porte dei Canti. L’apparato effimero si sviluppava a un’altezza vertiginosa secondo quattro ordini, per un’elevazione totale di circa 45 metri.

Alla sommità era posta una nube d’argento sostenuta da quattro angeli in rilievo, che reggeva la statua della santa, realizzata probabilmente in cartapesta, che ruotava al vento dando l’impressione di rivolgersi ad ogni angolo della città benedicendo i cittadini.

Fig. 5 Ricostruzione dell’Arco ai Quattro Canti di Palermo del 1625, in pianta e alzato. Disegno di F. Colonnese.

La ricostruzione del progetto dell’arco trionfale ai Quattro Canti (fig. 5) è stata ottenuta dalle descrizioni storiche dell’evento e dall’incisione che ne conserva la raffigurazione, rivelando un impianto architettonico molto curato che riprendeva quello dei quattro portali di ingresso, saturando lo spazio al di sopra dell’area.

La sfolgorante bellezza di queste maestose costruzioni estese il culto della santa fino in Spagna; sul modello dei grandi apparati celebrativi siciliani, furono realizzate dalle maestranze siciliane delle opere di piccole dimensioni, preziosi manufatti in corallo, argento e smalto, di grandissimo pregio, usati come doni devozionali e diplomatici che i notabili spagnoli si scambiavano tra la Sicilia e la penisola iberica (fig. 6).

Protagonisti delle celebrazioni religiose barocche diventano i grandi Carri Trionfali; il saggio di Simona Gatto prende in esame quelli che caratterizzarono le feste patronali in Sicilia tra Cinquecento e Seicento, e in particolare i Carri costruiti nelle grandi città.

Fig. 6 Carro Trionfale di S. Rosalia, maestranze palermitane e trapanesi, fine XVII sec., Siviglia, Antiguo Hospital de los Venerables Sacerdotes ©Foundacìon Locus Loyola.

Si va da strutture di dimensioni ridotte a un solo piano, fino a veri e propri colossi trainati da cavalli o buoi. Sono arrivate fino a noi stampe e immagini dei Carri Trionfali delle feste di santa Rosalia a Palermo e di sant’Agata a Catania (fig. 7-8), da cui si possono ammirare la magnificenza delle strutture e l’ingegno delle maestranze che le avevano ideate.

Fig. 7 Carro Trionfale di S. Rosalia, Palermo, 1785 (da J.C. Richard Abbé de Saint-Non, Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicile, 1785, vol. IV).
Fig. 8 Carro Trionfale per la festa di S. Agata di agosto, Catania, 1852.

Leonardo Sciascia definì il senso della festa religiosa in Sicilia, non come evento di culto ma, primariamente, come “esplosione esistenziale”, in cui ogni individuo si riconosce parte di una comunità, elemento attivo di un insieme. La festa barocca diventa il linguaggio di un’epoca che, nel popolo siciliano, particolarmente predisposto per indole naturale alle manifestazioni eclatanti, ha attecchito più e meglio che in altri. Il siciliano è “barocco” per antonomasia; ci vive dentro, fisicamente, nelle case dai portoni e dai balconi ricamati, nella pietra e nel ferro battuto, nelle sciare e nelle rovine che gli umori della natura inscrivono nel DNA della terra e dei suoi abitanti. Perché anche i disastri, in Sicilia, sono roboanti, eccessivi… “barocchi”, per l’appunto.

E lo spirito identitario proprio della celebrazione barocca si rivede intatto nella festa di sant’Agata a Catania, quando l’intera città si riversa nelle strade per stringersi intorno alla propria santa patrona. La processione, le luminarie, le fiumane di devoti… Bellissima e dettagliata, nel saggio diMarina Manuela Cafà, la descrizione da parte dei viaggiatori del “Grand Tour”, della struttura che reggeva i cerei votivi detti giglis (fig. 9), composta di una base lignea quadrata, ornata di volute, al cui centro si innalzava l’enorme cero composto di quattro grandi elementi, dove in prossimità dell’apice un altro elemento decorativo reggeva delle banderuole;

Fig. 9 J. Houël Cierge de la Procession de Sanctae Agathae (incisione da J. Houël 1785, particolare, Tav. CXLIX)

proprio come si vedono nelle odierne “Candelore” catanesi (fig. 10).

Fig. 10 Candelora dei pastai, XVIII sec., Catania, Chiesa di S. Francesco all’Immacolata.

L’effetto luministico suggestivo dei ceri accesi durante la processione era un altro motivo di grande meraviglia che evidenziava l’importanza della percezione sensoriale nelle varie fasi della festa; e così anche i rintocchi delle campane, il vocio dei devoti, che sfociava nella gioia collettiva alla svelata del venerato busto reliquiario della santa.

Tutto questo non rimase un fenomeno circoscritto alle larghe arterie delle grandi città, ma si espanse fino alle periferie, ai piccoli borghi.

E perdonatemi una punta di “campanilismo” perché uno dei saggi in questo volume, a cura di Lucia Trigilia, rende onore alla tradizione secolare di devozione verso la patrona santa Lucia a Belpasso, la cittadina etnea nella quale risiedo, dove arte e fede si incontrano ogni anno, fin dal XIX secolo, in quelle straordinarie macchine sceniche che sono i Carri allegorici allestiti in onore della martire siracusana (fig. 11).

Fig. 11 Carro allegorico per la festa di S. Lucia del quartiere S. Antonio, Belpasso (CT) 2024. Foto di Alfio Sgroi.

Ma già negli anni a cavallo tra il XVII e XVIII secolo la festa a Belpasso si afferma come momento importante nella vita della comunità e assume connotati barocchi, esattamente come le architetture del nuovo borgo ricostruito dopo il sisma del 1693. Nel dicembre del 1704, anno luciano, fu organizzata la festa solenne; la prima grande celebrazione dopo il terremoto, per la quale furono particolarmente curate le vie cittadine del nuovo borgo, dove sarebbe passato il fercolo della santa. Nella riedificata Chiesa Madre fu organizzata l’ostensione delle reliquie che avrebbe attratto molti pellegrini e forestieri, e per questo si allestì il piano antistante la chiesa per accogliere un mercato dove attirare mercanti e commerci, dando così nuova linfa economica alla città.

Fig. 12 Disegno della “vara” di S. Lucia di Domenico Asero, 1896 (da G. De Luca Itinerari d’arte a Belpasso, Belpasso, 2007.)

Belpasso si vestì a festa, con drappi e festoni alle porte e ai balconi, i fuochi d’artificio brillarono la gioia della ritrovata serenità e la festa ricalcò, sebbene in misura ridotta, le grandi celebrazioni di Catania e Siracusa.

Venne ricostruita la “vara” (fig. 12), il fercolo sul quale, a spalla, si portava il simulacro di santa Lucia in processione. Anche nel borgo etneo si costruirono grandi cerei votivi offerti dalle varie categorie professionali cittadine, in forma di macchine sceniche come quelle catanesi, ma qui chiamate “torce”, che costituiranno i primi rudimenti di quelli che saranno poi i Carri.

Questi ultimi vedranno la loro comparsa sul finire dell’Ottocento (fig. 13) insieme alle “cantate” offerte dai vari quartieri della città, che precedevano l’apertura delle macchine sceniche fino a quel momento coperte.

Fig. 13 Carro allegorico per la festa di S. Lucia di Belpasso del quartiere Purgatorio, 1921 (foto conservata presso il Museo Mechanè, Belpasso CT).

Come accade ancora oggi, anche allora alla costruzione dei Carri partecipavano tutte le maestranze cittadine con grande devozione e spirito di collaborazione, facendo dell’evento un grande rito collettivo che, tra apparati effimeri e liturgia, si inseriva perfettamente nel solco della festa barocca, “opera d’arte totale e laboratorio di tutte le arti”.

E non poteva mancare, in questo volume degli “Annali”, una sezione dedicata a un progetto ambizioso e importante (di cui ho scritto in un precedente articolo bit.ly/3ZFghhA) che ha visto protagoniste Siracusa e Belpasso, e riguarda la ricostruzione del grande Carro Trionfale (fig. 14) che si allestiva nella città aretusea in onore di santa Lucia.

Fig. 14 Carro Trionfale per la festa di S. Lucia di maggio a Siracusa, 1897.

Di questo grandioso apparato effimero, voluto dal sacerdote Giuseppe Cassone nel 1869, che ha sfilato per la festa di maggio fino al 1897, restano oggi solo due teste di putti in cartapesta che testimoniano la ricchezza delle decorazioni. Si trattava di una enorme costruzione in forma di nave che si muoveva su ruote di legno. Si sviluppava in verticale su diversi ordini architettonici fino a un’altezza stimata di circa 15-20 metri.

La costruzione, articolata e complessa, veniva realizzata da diverse maestranze cittadine, dai pittori ai falegnami, dai fabbri agli stuccatori, cartapestai, fioristi e musicisti, per dare vita a un progetto che era “arte della città”. La processione del Carro si inseriva in un programma festivo di otto giorni, in un misto di sacro e di profano, che prevedeva momenti religiosi ma anche teatro, musica, cortei, mercati, riecheggiando così lo sfarzo delle grandi feste barocche e rinsaldando il senso identitario della comunità siracusana.

Il progetto, promosso dal Centro Internazionale di Studi sul Barocco in collaborazione con l’Università di Catania, si proponeva la ricostruzione filologica del Carro, coinvolgendo gli studenti del corso di Architettura per i quali ha rappresentato un momento di alta formazione, in cui i saperi “trasmessi” non sono stati solo materiale da riempimento, ma “materia viva” che cresce, e crea quindi altro “sapere”.

Gli studenti hanno potuto condurre il progetto di ricostruzione tra ricerca documentale, studio tecnico e meccanico, e usare le più sofisticate tecnologie, secondo il metodo del reverse engineering (ovvero ingegneria al contrario: dall’oggetto al disegno), basandosi su fonti storiche, realizzando un disegno tridimensionale ottenuto grazie all’interpretazione di immagini d’epoca; per poi veder nascere sotto i loro occhi e assemblare pezzo per pezzo un oggetto restituito alla memoria dei secoli. Questa ricostruzione filologica, ovvero ottenuta su dati oggettivi e documentali, ha preso corpo nel 2023 con la realizzazione del modello in scala 1:10 (fig. 15) da parte delle maestranze della Fondazione Carri S. Lucia di Belpasso, e donato poi al Centro Internazionale di Studi sul Barocco, con l’auspicio che il grande Carro Trionfale possa essere ricostruito in scala originale e torni a percorrere ancora le strade di Siracusa.

Fig. 15 Maestranze della Fondazione Carri di S. Lucia di Belpasso, modello in scala 1:10 del Carro Trionfale di Siracusa del 1897, nella sede del Parlatorio delle monache della Badia a Siracusa, 2023.

Il volume si conclude con un saggio sulle celebrazioni barocche maltesi a La Valletta, che coincidevano con le liturgie dell’Ordine dei Cavalieri. Un esempio fu l’elezione di un Gran Maestro nel tardo Seicento; grandi celebrazioni all’interno della chiesa conventuale e un ricco banchetto sotto le volte affrescate da Mattia Preti, in un tripudio di ori e incensi, canti, cortei e rituali sfarzosi. Un’altra occasione fu la vittoria dell’esercito cattolico contro gli ottomani a Vienna nel 1683, festeggiata con fuochi d’artificio, spari di artiglieria, processioni e spettacoli, e una messa solenne in cattedrale.

La descrizione dei lunghi festeggiamenti per le vittorie militari sull’isola, ma direi ogni singolo saggio di questo volume degli “Annali del Barocco in Sicilia”, ci racconta le nostre radici culturali in fatto di celebrazioni, e di quanto lo sfarzo e la solennità dei rituali abbiano condizionato il nostro modo di percepire e trasmettere il valore e l’importanza degli eventi. Ci conferma, una volta di più, come l’arte – in ogni sua manifestazione – sia stata strumento e motore propulsivo dell’evoluzione del pensiero, in quel “secolo d’oro” fondamentale della nostra storia in cui fede e scienza, Cielo e terra, si sono guardati negli occhi… sorridendo.

©Francesca SARACENO  Catania, 22 dicembre 2024.