di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
VILLE ROMANE
LA VILLA ADRIANA PRESSO TIVOLI
Scavi recenti hanno rilevato un numero eccezionale di piccoli e medi insediamenti nel suburbio intorno alla Roma imperiale; un paesaggio fittamente occupato di piccole residenze ed horti rustici destinate in parte all’ozio e in parte alle attività agricole. Una topografia evidenziata dalla pianta di Giova Battista Nolli nel 1748, in particolare nella zona fra le porte Salaria e Pia, costituito da vigne e non solo da ville, ma da orti e piccoli poderi di carattere rustico. Un paesaggio settecentesco non molto dissimile della realtà urbana della Roma imperiale (fig.1).
Nei primi secoli dell’Impero il paesaggio agricolo si trasforma con la costituzione di un latifondo privato ed imperiale: è il tempo dei complessi residenziali delle ville di Erode Attico, dei Quintili, dei Gordiani e di Massenzio e della costruzione di Villa Adriana, vera e propria città imperiale, con edifici colossali ed horti rustici destinati alla coltivazione suburbana (fig.2).
Anche i Romani, con il diffondersi dell’ellenismo, vollero creare il loro paesaggio ideale, in armonia con l’ideale dei paradeisoi orientali. Scomparve ogni alternativa fra la villa urbana e la villa rustica. Tivoli, Palestrina, i colli Albani, i laghi: qui nasce un nuovo repertorio architettonico e decorativo per la costruzione delle ville e dei giardini. Sul finire del I secolo d.C. e gli inizi del II secolo i giardini dell’antica Roma propongono quindi una profonda innovazione: il verde acquisisce un ruolo primario nell’architettura, il verde stesso viene concepito come architettura. Si scelsero paesaggi movimentati e scenografici per impostare le residenze e gli edifici di culto su più livelli e terrazze.
I giardini
L’imperatore Adriano individuò un terreno ondulato posto tra due valli, la Valle del Tempe e la Valle del Canopo che circondava due colline dove sorgerà la città imperiale; la sua villa diverrà un esempio emblematico della riorganizzazione di un terreni collinare(fig.3).
Ispirandosi ai viaggi compiuti nel vasto impero che aveva creato, Adriano riunì in questo complesso monumentale gli spunti raccolti dalle diverse culture con cui entrò in contatto, il particolare quella greca e quella egizia. Sebbene il patrimonio imperiale fosse costituito da numerose ville extraurbane, quella tiburtina era la sua villa prediletta: nel 134 d.C. decide di affidare il governo a Lucio Varo e di ritirarsi nella Villa tiburtina, dopo essere rientrato dall’ultimo grande viaggio nelle provincie orientali.
Nel corso dei secoli che seguirono si perse il ricordo della Villa imperiale; la natura riprese il sopravvento e la Villa abbandonata fu completamente invasa dal bosco e dalla selva.
All’inizio del quattrocento con la riscoperta dell’architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco e non solo, la villa Adriana rappresentò una eccezionale testimonianza della prima età imperiale romana. Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Palladio, Borromini, Piranesi (fig.4)
e, in tempi più recenti, Le Corbusier (fig.5) studiarono e disegnarono le rovine della Villa Adriana. Nel Cinquecento l’architetto Pirro Ligorio fu chiamato a Tivoli dal cardinale Ippolito II d’Este per progettare la Villa d’Este a Tivoli. Con l’occasione Ligorio condusse anche scavi nella vicina Villa Adriana così che il cardinale potesse arricchire la sua collezione con un imponente numero di sculture. Inevitabilmente, con la riscoperta della Villa imperiale, incominciò una spoliazione invasiva e violenta; lottizzata in un numero di piccoli e grandi appezzamenti nuovi proprietari si succedettero dando origine a dissennati scavi alla ricerca di marmi preziosi e di sculture; prima dell’acquisto da parte dello Stato Italiano vennero asportati pitture e stucchi, pavimenti ad intarsi di tessere di marmi e importanti mosaici.
Sculture e mosaici di rilevante pregio provenienti dalla Villa tiburtina sono oggi conservati nei Musei Capitolini, nei Musei Vaticani, al Louvre, al British Museum, nel Museo del Prado di Madrid, all’Hermitage di San Pietroburgo.
La Villa Adriana occupa 186 ettari organizzati in numerosi e differenti giardini: giardini terrazzati, il giardino del Canopo, il giardino davanti alla grande Biblioteca imperiale, giardini che giungevano fino alle sostruzioni prospicienti la Valle di Temple ove era il Ninfeo dell’Afrodite di Cnidia, oggi esposta presso l’antiquarium del Canopo (fig.6).
I giardini più interni erano racchiusi da peristili: fra questi i due giardini del Grande Vestibolo; quello fra l’edificio a tre esedre e le Piccole Terme; il maestoso peristilio del Pecile; il giardino della Piazza d’Oro, racchiuso in un doppio portico; il giardino dello Stadio e quello del ninfeo del Palazzo imperiale.
Con Adriano imperatore tutto divenne architettura; le siepi, tramite l’ars topiaria, trasformano il verde in volumi tridimensionali: imitano le più svariate sculture, si tramutano in porticati, in basse esedre, in tripodi, candelabri, bassorilievi. A dar vita ai giardini di Villa Adriana fu l’acqua che da elemento mobile e sfuggente divenne essa stessa materiale plastico: fontane monumentali, cascate e ninfei, specchi d’acqua, vasti bacini, laghi geometrici arricchirono la Villa che l’imperatore Adriano costruì per suoi ozi e la sua solitudine. Situata a 25 chilometri ad est di Roma, sul versante Nord Ovest del monte Arcese, lungo la consolare Tiburtina e l’Aniene, fra due piccole valli, la Fossa di Roccabruna e la Fossa delle Scalette gli edifici della Villa Adriana dominano il paesaggio, si appoggiano sui dolci pendii, si affacciano sulle verdi vallate con Roma sullo fondo.
La Grecia, tanto amata da Adriano, fu dall’imperatore ricreata a specchio della sua profonda cultura filoellenica. Villa Adriana fu concepita come una città imperiale, completa di abitazioni, terme, templi, teatri, piazze, acquedotti. Adriano, imperatore dall’agosto 117 al luglio 138, immediatamente dopo il suo ingresso a Roma, nello spazio di un decennio aggiunse ad una precedente villa del tardo periodo repubblicano, numerosi edifici fino a interessare un territorio di circa 56 ettari di superficie. Oggi i resti della villa costituiscono un paesaggio di rovine fra i più rilevanti e impressionanti della campagna romana.
Pittori, architetti, cultori dell’antichità ne furono sedotti; fra i primi Francesco di Giorgio Martini ne tracciò un rilievo; Pirro Ligorio, su sollecitazione del cardinale Ippolito d’Este, ne fece nel 1550 una prima descrizione particolareggiata; architetti barocchi fra i quali Borromini e Guarini la studiarono e ne imitarono l’architettura di alcuni edifici; Piranesi redasse nel 1781 una planimetria e disegnò fedelmente le rovine in dieci vedute (fig.7).
Solo nel 1904-05 un dettagliato rilievo fu redatto dalla Scuola degli ingegneri di Roma (fig.8)
Profonda è tuttavia la differenza fra la Villa Adirianea e le ville rinascimentali e barocche: laddove la Villa di Adriano è una città imperiale risolta con molteplici padiglioni sparsi sul territorio, le ville del periodo che va dal ‘500 al ‘700 saranno isolate dalle attività agricole e risolte con un unico corpo di fabbrica, la residenza del nobile proprietario che domina il giardino scenografico, disegnato da viali, sentieri, boschi. Il giardino rinascimentale diviene tramite insostituibile fra l’abitazione e la natura.
Il complesso degli edifici
Adriano ampliò un nucleo originario del tardo periodo repubblicano, una villa romana costruita alla maniera delle grandi case padronali pompeiane. Si possono riconoscere tre fasi di realizzazione della grande villa adianea: una prima fase che precede il primo viaggio di Adriano nell’impero quando furono costruite la cosidetta Biblioteca Latina, la Biblioteca Greca tra loro collegate dal grande Cortile delle Biblioteche (fig.10).
Tangente al Cortile delle Biblioteche è il Teatro Marittimo, una piccola villa rotonda situata su un’isola artificiale, chiusa nell’anello di un canale e circondata da un peristilio, anch’esso circolare (fig.9);
sull’isola si trovano un triclinio a sud, un triplice ambiente termale ad ovest, una biblioteca, una fontana e due ponti levatoi che lo collegano alla terra ferma. Al Teatro Marittimo è adiacente la Sala dei Filosofi, probabilmente una più vasta sala di lettura della grande biblioteca (fig.11).
Adiacente al Cortile delle Biblioteche è il Palazzo d’inverno dotato di monumentali sale di riunione riscaldate artificialmente e quindi usate anche d’inverno (fig.12).
In questa stessa zona è la Peschiera, riparata dai venti, luogo di passeggiate nel periodo invernale e il grande criptoportico per passeggiare nelle giornate piovose: l’area del Palazzo era considerata spazio esclusivo dell’imperatore per la presenza della biblioteca personale di Adriano. Nella zona ad est del Palazzo si trovano edifici aulici come la Basilica, la sala dei Pilastri Dorici (fig.13) e il complesso della Piazza d’Oro, uno spazio immenso, destinato alle grandi cerimonie di corte; qui la sala centrale della Piazza d’Oro è una sala ottagonale, dove le pareti colonnate si flettono creando uno spazio sfuggente, a geometrie variabili.
Misure di sicurezza circondavano l’area attraverso passaggi obbligati e accessi riservati alla famiglia imperiale; in particolare la cosidetta Caserma dei Vigili è organizzata in modo tale da poter essere esclusivamente usata dal personale adibiti ai servizi dell’imperatore (fig.14). Una dislocazione marginale riguarda la cosidetta Accademia, nei fatti un edificio molto importante con sale maestose ed armoniose.
Fu probabilmente la residenza destinata ad alloggiare dignitari della corte imperiale o forse ad ospitare Sabina, la moglie di Adriano, che l’Imperatore conduceva con sé nei frequenti viaggi ufficiali.
E’ qui che fu rinvenuta la famosa statua del Centauro, opera firmata dagli scultori di Afrodisia Aristeas e Papias e il Fauno di marmo rosso oggi conservati ai Musei Capitolini (fig. 15). Più a sud sorgeva l’Odeon dove Alessandro Borgia rinvenne le statue delle Muse.
Ovunque l’acqua è la caratteristica dominante; scorre in superficie, si getta nelle strette gallerie, collega i diversi edifici.
Il Pecile fu concepito come un immenso giardino colonnato di forma quadrangolare circondata da portici con al centro un bacino è una evidente ricostruzione della Stoà dell’Agorà ateniese (fig.16); nella valle che dal Pecile conduce al Canopo, Adriano sistemò le vaste costruzioni delle Piccole Terme, delle Grandi Terme (fig.17); l’acqua, condotta dallo stretto canale dell’Euripo, divenne il materiale plastico di cui Adriano seppe sfruttare tutto il suo potenziale decorativo.
La villa, oltre ad essere immersa nel verde, si arricchì di fontane monumentali, cascate e ninfee, canali grandi e piccoli, specchi d’acqua e grandi laghi. Un gigantesco canale sotterraneo, l’ euripo, convogliava il corso dell’acqua fino ai giardini del Canopo conclusi da un grande edificio voltato, un nicchione posto a capo della valle dedicato al culto di Serapide, divinità ctonia dell’antico Egitto (fig.18).
Il complesso vuole ricordare il canale egizio che congiungeva la città di Canopo con Alessandria sul delta del Nilo; Adriano volle qui replicare una struttura simile ad un celebre tempio dedicato a Serapide, il Serapeo, una vasca di 119 metri per 18 che rappresentasse un canale circondato da un portico arricchito di statue, un enorme ninfeo a forma di grotta, ornato da sculture egizie e statue greche (fig.19).
Un giardino destinato ai banchetti analogo al canale di Canopo sul delta del Nilo, famoso per le feste sull’acqua, che l’imperatore volle dedicare ad Antinoo, il suo favorito, annegato cadendo in acqua nel 130 d.C. mentre percorreva il Nilo a bordo di una flottiglia; a lui Adriano dedicò città, templi, statue in ogni angolo del suo impero (fig.20).
Oggi un Ritratto di Antinoo, proveniente dalla Villa di Adriano, in veste di Apollo o di Dioniso con tralci di edera fra i capelli, è conservato nella Sala dei Busti del Museo Pio Clementino, dono del cardinale Federico Marcello Lante della Rovere al papa Clemente XIV (fig.21).
Francesco MONTUORI Roma 5 settembre 2021