di Nica FIORI
La Villa di Livia a Prima Porta è un bell’esempio di residenza suburbana romana, la cui storia è legata soprattutto al ricordo di Livia Drusilla (59 a.C. – 29 d.C.), l’aristocratica romana moglie dell’imperatore Augusto e dal 14 d.C. Augusta lei stessa.
La villa era denominata un tempo “ad Gallinas albas” (alle Galline bianche), come riferito da più fonti letterarie, per via di un evento portentoso che vi sarebbe avvenuto nel 39-38 a.C., poco prima del matrimonio di Livia con Ottaviano (futuro Augusto). Racconta Plinio:
“Livia Drusilla (…) stando seduta ricevette in grembo una gallina di notevole candore che un’aquila aveva lasciato cadere dall’alto, illesa; (…) la gallina teneva nel becco un ramo d’alloro carico delle sue bacche: gli indovini ingiunsero di allevare il volatile e la sua prole, di piantare il ramo e di custodirlo religiosamente. Questo fu fatto nella villa dei Cesari che domina il fiume Tevere presso il IX miglio della Via Flaminia, che perciò è chiamata alle Galline; e lì attorno nacque prodigiosamente un boschetto” (Naturalis Historia XV, 136-137).
“Da quel momento in poi Cesare Augusto nei suoi trionfi” – sempre secondo Plinio – “tenne sempre in mano un ramo di alloro e portò sul capo una corona presi da quel bosco, e così fecero tutti gli altri imperatori”.
La cosa andò avanti finché
“nell’ultimo anno di Nerone l’intero boschetto si seccò fin nelle radici e tutte le galline morirono”,
come riferisce Svetonio (Galba, 1).
È indubbio che il segno profetico della gallina piovuta dal cielo con l’alloro (simbolo di gloria) presagisse un destino eccezionale per la giovane aristocratica dalla quale sarebbe discesa la dinastia Giulio-Claudia. Ricordiamo che Livia si era sposata all’età di sedici anni con il cugino Tiberio Claudio Nerone, dal quale avrebbe avuto due figli. Curiosamente legata a una gallina è anche la notizia, riportata da Svetonio e da Plinio, che Livia, mentre aspettava il suo primogenito, era solita covare un uovo di gallina sul seno e, quando lo doveva deporre, lo dava a una nutrice che a sua volta lo metteva in seno. Era questo un metodo di predizione sul sesso del nascituro, tipico delle giovani donne, e nel suo caso il pulcino che nacque si rivelò un maschio, proprio come il figlio Tiberio (nato nel 42 a.C.).
Quando il triumviro Ottaviano la conobbe nel 39 a.C., Livia era incinta del suo secondo figlio (Druso), ma, nonostante ciò, Ottaviano decise di sposarla a tutti i costi. Dopo aver divorziato dalla sua seconda moglie, Scribonia (che gli aveva dato l’unica figlia, Giulia), costrinse il marito di lei a fare altrettanto e nel 38 a.C. furono celebrate le nozze. Il futuro imperatore aveva ventiquattro anni, Livia venti.
Questa unione, che nella sua precipitazione poteva apparire come un colpo di testa, si rivelò in realtà assai solida, anche se non fu allietata dalla nascita del tanto desiderato erede (l’unico bambino generato dalla coppia morì pochi giorni dopo la nascita). Per l’imperatore, Livia era insieme moglie e preziosa consigliera, tanto da avere una parte considerevole nella direzione degli affari pubblici. E, alla fine, secondo alcuni autori grazie alle sue trame, toccò a suo figlio Tiberio succedere ad Augusto nella guida dell’impero.
A giudicare dai ritratti pervenuti, Livia doveva essere di una bellezza armoniosa: grandi occhi, guance piene, mento ben pronunciato, labbra sottili, capelli ondulati divisi da una riga, oppure con i capelli raccolti in un nodus, cioè un rotolo sulla fronte, acconciatura che verrà copiata per diversi anni dalle matrone dell’età augustea. Quanto al suo modo di vivere, doveva essere assai lontano dai lussi e dagli eccessi delle imperatrici venute dopo di lei. Nella sua villa coltivava probabilmente alcune piante officinali, dalle quali ricavava decotti e tisane. E forse proprio queste sue conoscenze erboristiche le consentirono di vivere a lungo in buona salute.
La proprietà suburbana, che Livia Drusilla aveva probabilmente ereditato dal padre, venne trasformata dopo il matrimonio con Ottaviano in una villa contraddistinta dall’alternarsi di blocchi edilizi e zone destinate al verde, a conferma della predilezione della coppia “non tanto per statue e dipinti quanto per portici e boschetti” (Svetonio, Aug., 72, 6). La villa, ristrutturata più volte nei secoli dai successivi imperatori, era articolata in più zone funzionali: il quartiere privato, quello di rappresentanza, il settore dedicato agli ospiti, il complesso termale.
Dopo l’abbandono nel V secolo d.C., l’area fu soggetta a devastazioni e spoliazioni per la ricerca di antichità. Come ricorda Gaetano Messineo nella sua pubblicazione La Villa di Livia a Prima Porta (Roma, 2004), fu agli inizi dell’Ottocento che i primi studiosi della Campagna Romana, Giovanni Antonio Guattani e Antonio Nibby, riconobbero i resti della Villa di Livia nelle sostruzioni in opera reticolata sulla collina al bivio tra la via Flaminia e la Tiberina, nella tenuta appartenente al Capitolo di Santa Maria in via Lata. L’area è quella detta di Prima Porta, denominazione attestata a partire dal 1225 per via di un arco romano in laterizi, di cui rimane solo un pilone accanto alla chiesa dei Santi Urbano e Lorenzo, che per i viaggiatori provenienti da nord segnava il primo ingresso nel territorio di Roma.
Gli scavi effettuati nel 1863-64 su iniziativa di privati (in particolare il conte Francesco Senni, affittuario della tenuta) portarono alla sensazionale scoperta nel 1863 della statua di Augusto loricato in uno stupefacente stato di conservazione (conservata nei Musei Vaticani) e della sala semipogea con le splendide pitture di un giardino (ora nel Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo), che suscitarono grande entusiasmo. Queste scoperte diedero notorietà alla villa ma non le garantirono protezione. La tenuta agricola, che dal 1870 divenne privata, fu soggetta ai danni delle arature, cui si aggiunsero nel 1944 quelli di un pesante bombardamento che devastò la collina lesionando anche gli affreschi della sala semipogea, tanto che nel 1951, dopo innumerevoli tentativi di restauro, non sempre felici, si decise di staccare di affreschi e di trasferirli al Museo Nazionale Romano. Soltanto dal 1982, con l’acquisizione da parte della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma della sommità della collina, la villa è stata sottoposta a tutela e ne è iniziata la valorizzazione. Tra l’altro, per dare l’idea dell’antico boschetto (lauretum), sono stati sistemati alberelli di alloro entro orci di terracotta.
L’ingresso all’area archeologica (visitabile in alcuni giorni specificati sul sito della soprintendenza) è presso la collina di Prima Porta, entro un parco pubblico. Nel piccolo antiquarium, ospitato in un edificio moderno, alcune vetrine presentano aspetti particolari delle decorazioni e i più significativi materiali recuperati.
Una vetrina contiene ceramiche di età repubblicana e imperiale, quindi ostrogota e longobarda fino ad arrivare alle maioliche rinascimentali che segnano la rioccupazione della collina dopo secoli di abbandono.
Un’altra sezione espositiva è dedicata alle terrecotte architettoniche, soprattutto frammenti di lastre Campana. Sono esposti anche intonaci e stucchi, tarsie marmoree pavimentali, tessere musive e conchiglie di rivestimento di ninfei. Anche se si tratta di frammenti, l’impressione è che la decorazione fosse di gusto squisito.
Sono esposti anche materiali dai giardini, quali sculture in marmo, ollette forate per piante, vasi in ceramica sigillata e lucerne. Una vetrina è dedicata ai bolli laterizi e un’altra agli oggetti relativi alla vita quotidiana, quali spilloni, fibule, monete e specchietti. In una piccola stanza laterale sono stati ricomposti un fregio dorico con la sovrastante cornice in stucco, due lastre di gronda con protomi canine e alcune antefisse a palmetta.
La visita a questo punto prosegue lungo l’antico basolato che dalla via Flaminia conduceva alla villa, costruita su un ampio terrazzamento, sostenuto lungo il fronte verso il Tevere con poderose sostruzioni.
Del complesso edilizio si conservano diverse murature (soprattutto in opus reticulatum), che delineano numerosi ambienti abitativi e termali, mosaici pavimentali in bianco e nero, pavimenti in opus sectile e resti di affreschi con motivi ornamentali e figure di animali.
La villa è composta da nuclei edilizi di età augustea con rifacimenti che arrivano fino al IV secolo d.C. Si distinguono una parte privata, un complesso di rappresentanza, le terme e il quartiere degli ospiti, oltre a una parte semisotterranea.
Il quartiere privato presenta un impianto di età augustea rimasto immutato nel tempo, con interventi di restauro nel II e III secolo d.C. Qui si apriva l’ingresso, segnato da una soglia in travertino che immetteva in un vestibolo e in un atrio. Gli ambienti circostanti, così come l’atrio, furono ristrutturati nel II secolo d.C., periodo al quale risalgono la decorazione musiva con il motivo “a mura di città” tracciato attorno alla vasca ad impluvium, e un basamento in laterizio per un larario che obliterò la decorazione pittorica augustea a fondo nero. Tra i vari ambienti abitativi vi sono due cubicula (camere da letto), uno dei quali conserva il mosaico pavimentale con fascia a meandro in nero.
Grandi ambienti di rappresentanza circoscrivevano il peristilio porticato e pavimentato a mosaico in età augustea. In origine delimitava un giardino, in cui in età flavia si ricavò una vasca (natatio), decorata in età severiana sul bordo con un mosaico rappresentante un thiasos marino. In uno degli ambienti si ammira un mosaico con girali vegetali animati da uccelli, figure angolari di geni delle stagioni e al centro una coppia divina (si è conservata, però, solo l’immagine di Saturno o Plutone in trono).
L’impianto termale, realizzato in età flavia e accessibile dall’esterno mediante un corridoio, raccordava quartiere privato e residenziale. Incentrato su due vani, calidarium e tepidarium, delimitati da altri ambienti, il complesso in età severiana venne ristrutturato. Si mutò la funzione dei due ambienti, divenuti un apodyterium e un frigidarium, e il sistema di riscaldamento. La fascia più esterna del quartiere residenziale si componeva di vani per gli ospiti fin dall’età augustea con ristrutturazioni severiane: comprende ambienti e corridoi con pavimenti musivi e in opus sectile, affrescati nella seconda metà del II secolo d. C., vani riscaldati e una latrina.
Una scala moderna ricavata in un vano antico conduce alla parte semisotterranea del complesso, costituita da un vestibolo e due sale con volta a botte che nella stagione calda dovevano essere particolarmente fresche. Una di esse, adibita probabilmente a triclinio estivo, era quella affrescata in maniera illusionistica su tutte e quattro le pareti con la riproduzione di un rigoglioso giardino, ma per poter ammirare questa straordinaria pittura bisogna recarsi nel Museo Nazionale Romano.
L’illusionismo spaziale proprio della decorazione parietale di tipo architettonico è portato in questo caso alle sue estreme conseguenze. Come scrive Salvatore Settis in Le pareti ingannevoli. La Villa di Livia e la pittura di giardino (Milano, 2002),
“La decorazione forma con il carattere ipogeo della sala uno stridente, intenzionale contrasto. Tutta la superficie disponibile al di sotto del soffitto a volta è decorata con un’ariosa e ininterrotta pittura di giardino, a grandezza naturale, che neppure agli angoli s’interrompe, ma anzi prosegue, con grandissima varietà d’alberi, di piante e d’uccelli. Nessun elemento architettonico (non pilastri, non colonne) scandisce la composizione in senso verticale; ma l’artifizio prospettico che organizza le pareti in sapiente ‘architettura di giardino’ si articola su una doppia recinzione che corre tutt’intorno”.
Un’espediente, questo della doppia recinzione, che aumenta illusionisticamente lo spazio: al di là di un prato, chiuso fra un’incannucciata e un muretto, in cui crescono fiori e arbusti e si elevano alberelli, appare un frutteto ricco di melograni, lauri, palme, cipressi fra i quali svolazzano o sui quali si posano uccelli variopinti, resi con notevole abilità tecnica. Senza tener conto delle stagioni, l’artista ha raffigurato le piante tutte nel loro momento più bello, al colmo della fioritura o con frutti. La sensazione che ne deriva è quella di trovarsi in un luogo di sogno, quasi paradisiaco.
Immediato è il richiamo ad una pittura descritta da Plinio il Giovane “che riproduce alberi con uccelletti svolazzanti fra i rami” (Ep. V, 6, 22), ma in realtà questa pittura di giardini a Roma è abbastanza rara e trova confronti con quella nell’Auditorium di Mecenate all’Esquilino e in una tomba della via Latina.
L’altro spettacolare ritrovamento risalente al 1863 è la statua di Augusto (alta 204 cm) in marmo bianco, con tracce di policromia, donata dal conte Francesco Senni al papa Pio IX. La statua, che riprende lo schema del Doriforo di Policleto, raffigura l’imperatore nel gesto dell’adlocutio (incitamento alle truppe prima della battaglia) e con la veste militare, lorica (corazza) e paludamentum (mantello).
Il carattere eroico è simbolicamente reso dalla nudità dei piedi. Figurazioni varie sono riprodotte sulla corazza, in particolare la restituzione a un generale romano (forse Tiberio, adottato da Augusto) delle insegne sottratte dai Parti a Crasso (avvenimento datato al 20 a.C). Alcuni credono che la statua sia stata concepita verso l’8 a.C., al termine delle campagne di pacificazione delle province di Tiberio, ma questa potrebbe essere una copia successiva. Un piccolo erote su delfino si appoggia alla gamba destra di Augusto a ricordare la discendenza della sua gens (la Iulia) da Venere.
In questo caso per poter ammirare il reperto è necessario recarsi nei Musei Vaticani, che oltretutto conservano anche uno splendido cratere neoattico marmoreo con il mito di Licurgo, proveniente pure dalla Villa di Livia.
Nica FIORI Roma 12 Gennaio 2025
Villa di Livia, via della Villa di Livia, 187 Roma
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