La villa di Orazio a Licenza, un sito di straordinario fascino tra archeologia e poesia.

di Nica FIORI

Aperture straordinarie l’8 e il 21 ottobre, con visite guidate a cura della Soprintendenza

Era questo il mio desiderio: un pezzo di terra non molto grande, con un giardino e una sorgente d’acqua vicina alla casa e in alto un po’ di bosco. Gli dei m’hanno dato di più e di meglio (…)”.
1 Quinto Orazio Flacco in un ritratto immaginario di Anton von Werner

Così afferma Quinto Orazio Flacco (65 a.C. – 8 a.C.) nella sesta satira del II libro, riferendosi al fundus che Gaio Cilnio Mecenate gli ha da poco donato (32 a.C.).

Indubbiamente Mecenate con la sua signorilità e disponibilità che lo contraddistinguevano ha avuto nei confronti dell’amico Orazio un atteggiamento di grande generosità e il poeta, a giudicare dai suoi versi, si mostra veramente felice di possedere una villa in Sabina, che apprezza particolarmente per l’aria salubre e per una fonte che egli chiama Bandusia, rifacendosi al nostalgico ricordo della fonte del suo luogo natale (Venosa, attualmente in Basilicata).

Il fundus oraziano corrisponde quasi sicuramente alla Villa di Orazio a Licenza (prov. Roma) e la fonte Bandusia viene identificata con la cascatella d’acqua del vicino Ninfeo degli Orsini (secolo XV).

2 Villa di Orazio a Licenza

Per approfondire la conoscenza della villa sono assolutamente consigliabili le visite guidate gratuite, a cura della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, tra cui quelle che si terranno prossimamente nelle aperture straordinarie dell’8 e del 21 ottobre (alle ore 10 e alle 11,30).

3 Il paese di Licenza visto dalla Villa di Orazio
4 Ninfeo Orsini a Licenza

Si tratta di un sito archeologico dal fascino straordinario, non solo per l’amenità del paesaggio e dei resti architettonici, ma anche per le reminiscenze poetiche e sentimentali legate alle satire e alle epistole del grande poeta, e non solo, visto che anche altri letterati hanno tratto ispirazione da questo luogo.

È il caso, per esempio, di Giovanni Pascoli, che poetava in latino (oltre che in italiano), come se fosse la sua lingua madre. Nel 1911 egli ottenne la medaglia d’oro del Certamen Hoeufftianum, una gara poetica in latino che si teneva annualmente ad Amsterdam, con il poemetto Fanum Vacunae (Il tempio di Vacuna), nel quale immaginava la prima notte trascorsa da Orazio nella sua villa. Ecco i versi iniziali (nella traduzione di Alberto Mocchino):

 In campagna, quasi tutta la notte trascorse insonne per il padrone novizio. Le orecchie, finalmente libere dal frastuono cittadino, ora gliele empivano col loro acuto stridio i grilli della Sabina. Ha appena chiuso gli occhi; e da ogni parte cantano i galli”.

Il poemetto, che si rifà a ciò che Orazio racconta nelle sue opere, trae spunto da un piccolo tempio in rovina che Orazio incontra dopo aver girovagato nei dintorni della sua villa, prima nel bosco e quindi nel monte Lucretile:

Intanto, inerpicandosi fra i sassi, Quinto scopre d’improvviso una vecchia rovina. Metope, colonne spezzate, frammenti del fregio, statue mutile giacciono a terra occulte fra le dense erbe o chiazzate di musco là dove sporgono. (…) Il viandante seduto al tuo tempio, o Vacuna, chiede riposo: e tu sotto la cupola scuoti e levi in alto la lancia vibrante”.

La dea Vacuna, secondo Varrone da identificare con Vittoria, era un’antichissima divinità guerriera, agricola e salutare adorata dai Sabini (per approfondimenti rimando al mio articolo https://www.aboutartonline.com/ritrovamenti-archeologici-a-montenero-sabino-ri-presentati-gli-scavi-del-santuario-della-dea-vacuna/).

Il suo nome sembra aver dato origine a diverse località della Sabina, tra cui Vacone, un piccolo centro della Sabina Tiberina dove è stata individuata un’altra villa, pure attribuita a Orazio, ma solo per l’assonanza con il fanum Vacunae di cui parla il poeta. Qualcuno ha pensato pure che la villa si trovasse nell’area tiburtina, ma ciò non è plausibile perché Mecenate aveva una sua villa a Tibur (Tivoli), dove Orazio poteva essere ospitato quando voleva.

5 J.P. Hackert,Villa di Mecenate e cascate a Tivolii, 1783

In effetti, per arrivare alla giusta identificazione della villa di Orazio ci sono voluti secoli e ci si è basati sui riferimenti dati dallo stesso poeta e sui dati archeologici. Verso il 1650 il tedesco Lucas Holstenius, studioso di geografia storica, indicò per primo la valle del torrente Digentia (Licenza).

6 J.P. Hackert, La valle del torrente Licenza, 1780

Nel 1757 fu rinvenuta un’importante iscrizione che consentì di collocare presso il paese di Cantalupo-Bardella (oggi Mandela) il pagus Mandela citato da Orazio.

Già nel 1760 in località “Vigne di San Pietro”, presso Licenza, il barone di Saint-Odile aveva compiuto limitati scavi, cui seguirono nel 1775 quelli del pittore scozzese Allan Ramsay. Finalmente nel 1911-15 la villa fu riportata alla luce dall’archeologo Angiolo Pasqui, che eseguì anche estesi restauri; nel 1930-31 le sue ricerche furono riprese dall’American Academy in Rome. Nel 1970-90, in vista del bimillenario (1993) della morte di Orazio, la Soprintendenza Archeologica per il Lazio effettuò interventi di conservazione e nel 1997-2000 nuovi scavi furono condotti dall’Accademia Americana e dall’Università della California – Los Angeles.

La dimora campestre, tanto amata da Orazio, doveva essere una villa deputata all’otium, ovvero a passare il tempo negli studi e nelle altre cose dilettevoli che si contrapponevano al negotium (attività lavorativa). Comprendeva una domus ad atrio e un ampio giardino e probabilmente c’era anche una parte rustica (finora non individuata) per le produzioni agricole, gestita da uno schiavo di fiducia, che doveva dare un certo reddito. Secondo una recente ipotesi del prof. Bernard Frischer, la villa, che Orazio, non avendo figli, lasciò in eredità ad Augusto, fu in seguito utilizzata dagli imperatori Nerone e Vespasiano come luogo di sosta per recarsi rispettivamente alla villa di Subiaco e a quella presso Rieti. Ciò spiegherebbe anche il restauro vespasianeo del vicino tempio della dea Vacuna, documentato da un’iscrizione conservata a Roccagiovine.

Nella Villa di Orazio non c’è nessuna iscrizione con il suo nome, mentre da bolli laterizi e fistulae di piombo si ricavano i nomi di possibili proprietari succeduti a Orazio nella seconda metà del I secolo d.C. e agli inizi del II, tutti in qualche modo collegati alla corte imperiale.

Nel IV secolo la villa fu verosimilmente inclusa nella possessio Duas Casas ubicata sub monte Lucreti (Colle Rotondo), che l’imperatore Costantino donò alla basilica romana dei Santi Marcellino e Pietro e di cui rimane memoria nella chiesetta di S. Maria delle Case presso Roccagiovine.

Il settore residenziale è costituito da una costruzione rettangolare (m 107 x 43) dai muri in opus reticulatum: si tratta di una tipica domus italica a un solo piano, costituita di circa venti ambienti raccolti intorno a un atrio. Lo scavo del 1911-1915, che fu sostanzialmente uno sterro, e i contestuali pesanti restauri rendono difficile riconoscere la funzione dei singoli ambienti; tuttavia quelli a Ovest (verso la montagna), ove doveva trovarsi anche l’ingresso, erano quasi sicuramente di servizio e quelli a Est di soggiorno e privati.

Villa di Orazio, atrio con impluvium

L’atrio presenta un bacino quadrato (impluvium), ove si raccoglieva l’acqua proveniente dalle falde del tetto (compluvium). In alcuni vani, riconoscibili come cubicula (camere da letto) si sono mantenuti pavimenti musivi in bianco-nero con ornato geometrico, realizzati probabilmente nella seconda metà del I sec. d.C., ma attualmente non sono visibili, essendo stati ricoperti per proteggerli in attesa del loro restauro.

Durante il periodo flavio-adrianeo (fine I – inizi II sec. d.C.) venne inserita lungo il muro a Nord, in asse con l’atrio, una fontana quadrata in mattoni (opus latericium) dotata di un corridoio che collega quattro nicchie semicircolari e da cui, attraverso una veranda, si godeva la vista del monte su cui sorge Civitella.

Fontana con nicchie semicircolari

All’intervento di Orazio è stato ricondotto un primo edificio termale (balneum) in opus reticulatum con un vano ad abside riscaldato (sono visibili i pilastrini detti sospensurae che reggevano il pavimento sotto il quale circolava aria calda) e una grande piscina natatoria (in parte nascosta da una di età successiva).

9 Villa di Orazio settore termale
10 Ambiente termale con sospensurae
11 Villa di Orazio, giardino

Un giardino di dimensioni notevoli (oltre 80 metri di lunghezza) completava la villa: era accessibile da una rampa centrale in asse con l’atrium e aveva al centro una vasca (m 13 x 25 circa) con basamenti ai lati che dovevano sorreggere elementi decorativi, di epoca successiva a quella oraziana, e più esattamente databili al periodo flavio-adrianeo, cui risale pure il portico che circondava il tutto.

Attualmente il giardino è invaso da vegetazione arborea, mentre anticamente doveva essere caratterizzato da aiuole e siepi tagliate secondo i motivi dell’arte romana del giardinaggio (ars topiaria).

Nel periodo flavio-adrianeo, oltre ai miglioramenti nel giardino, si ampliò il balneum di Orazio, trasformandolo in un grande complesso termale di oltre cinquanta ambienti costruiti in mattoni, in parte visibili all’esterno del portico Ovest del giardino e in parte interrati alle pendici di Colle Rotondo.

Come per il settore abitativo, è possibile stabilire la funzione solo di alcuni ambienti. Particolarmente conservata è la latrina con i sedili forati (sellae pertusae), allineati senza divisori, perché evidentemente anche in questo luogo si poteva passare il tempo conversando. Davanti è visibile il grande collettore che raccoglieva tutta l’acqua in uscita dal settore residenziale e dalle terme.

12 Latrina delle terme
13 Collettore delle acquejpeg

All’estremità Sud fuoriesce dal complesso il grande edificio rettangolare, di notevole qualità architettonica, che racchiude una parte ellittica con quattro esedre semicircolari finestrate agli angoli: già ritenuto una vasca per allevare pesci (vivarium) o un ninfeo, potrebbe essere più verosimilmente un laconicum (sauna), riscaldato sia artificialmente dal vano ipogeo centrale, sia per mezzo dei raggi solari.

L’alimentazione idrica delle terme era assicurata da cisterne situate probabilmente a quota superiore. Il complesso funzionò fino ad epoca tarda, ma la suddivisione di alcuni vani con tramezzi in blocchetti di calcare e travertino (opus listatum) e il rinvenimento di povere sepolture nella terra denotano per il IV-V secolo un diverso uso e un parziale abbandono.

14 Locale di forma ellittica, forse un laconicum
15 muro di età medievale

Nell’Alto Medioevo (VI-IX secolo) sorse nella zona centrale un cenobio monastico, cui appartengono le sepolture rinvenute nei primi scavi entro l’ambiente ellittico e i tramezzi, reimpieganti materiali antichi, che ristrutturarono alcuni ambienti e suddivisero la piscina in piccoli spazi. A esso è anche rapportabile il toponimo Vigne di San Pietro.

Nel Museo Oraziano a Licenza sono conservati elementi decorativi come pitture e stucchi, resti architettonici, sculture (tra cui un torso di Eros, uno di Afrodite e una testa di giovinetto, databili alla fine del I secolo), ceramiche, oggetti di uso quotidiano e monete che documentano la frequentazione della villa sino in epoca tarda.

Nica FIORI   Roma  1 Ottobre 2023