Maria Lucrezia VICINI
AUTORE: Andrea D’Agnolo, detto Andrea del Sarto (Firenze, 1486-1531)
TITOLO: Visitazione, olio e tempera su tela, cm 67 x 89
INVENTARIO: N. 79
COLLOCAZIOME: Seconda sala
PROVENIENZA: Collezione del Cardinale Bernardini Spada
Esposizioni: Svegliando l’animo di molti a belle imprese. Il primato dei toscani nelle “Vite de Vasari” Arezzo, Sottochiesa di San Francesco, 3 settembre 2011, 9 gennaio 2012
Nell’inventario dei beni ereditari del 1661 del Cardinale Bernardino Spada (1594-1661), il dipinto è ricordato nella Galleria di S.E., attuale terza Sala del Museo, senza riferimenti attributivi, col titolo: un dipinto con la Madonna e S. Elisabetta (1).
L’inventario dei beni mobili del 1759 lo descrive sempre in terza sala con l’attribuzione ad Andrea del Sarto, come
Un quadro di palmi 4 scarsi per traverso cornice nera con tre ordini di intaglio dorato rappresentante la Visitazione di S.Elisabetta, dipinto in legno da Andrea del Sarto, scudi 250 (2).
Nel fidecommesso del 1823 il quadro risulta spostato in seconda sala e riportato sempre con l’attribuzione ad Andrea del Sarto, come Un quadro in tavola rappresentante la visitazione di Santa Elisabetta di Andrea del Sarto (3). Sempre in seconda sala, dove si conserva ancora oggi, è menzionato con gli stessi attributi nell’appendice al fidecommesso del 1862, nella ricognizione inventariale di Pietro Poncini del 1925 e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 50.000 (4).
Il dipinto è allo stato odierno considerato replica autografa o anche versione a colori, sempre autografa, della scena con la Visitazione inserita nel ciclo monocromato con le storie di San Giovanni Battista presso le pareti del Chiostro dello Scalzo a Firenze, l’atrio della cappella della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista, fondata nel 1376, detto dello scalzo dal portacroce che durante le processioni soleva andare a piedi nudi.
Le decorazioni furono eseguite dal del Sarto in più riprese, fra il 1509 e il 1526. In particolare, il riquadro con la Visitazione (cm. 194×208) venne ultimato in tempi brevissimi nel novembre del 1524. Nella tavola a colori Spada, ricordata anche dal Vasari, si era invece adoperato qualche mese prima, consegnandola alle monache della chiesa di San Pietro a Luco del Mugello l’ottobre del 1524. Al cardinale Bernardino dovette probabilmente entrare in possesso mentre era Legato Pontificio a Bologna(1627-1631).
Nonostante negli inventari Spada e nelle guide settecentesche l’opera comparisse con l’esatto riferimento al pittore, sono state formulate in passato opinioni contrastanti sulla autografia, oscillanti tra Andrea del Sarto e i suoi seguaci fiorentini.
Sappiamo del resto dal Baldinucci che gli affreschi del Chiostro dello Scalzo furono oggetto di copie da parte di seguaci di Andrea e di artisti fiorentini del primo seicento. Ad esempio una copia con varianti su tavola, del soggetto con la Visitazione è esposta nel Museo del convento di San Salvi a Firenze, ma si tratta di un’opera piuttosto debole di un tardo manierista.
La buona qualità della tavola Spada e la uniformità iconografica all’affresco fiorentino induceva invece, almeno ad una prima analisi, a ipotizzarne l’autografia. Tuttavia il confronto con le opere di Andrea del Sarto risultava sfavorevole a tale proposta per la maggiore durezza e incisività dei contorni e per una cromia più compatta che si constatava nell’opera, caratteri che non venivano riconosciuti alla mano di Andrea.
Il nome di Andrea del Sarto viene avanzato per la prima volta da Richardson (5), seguito da Roisecco (6), ma messo in dubbio da Von Ramdohr (7), che rileva che ove spetti veramente al pittore, debba rientrare nella prima maniera, e non fra i suoi elaborati migliori. L’autografia del pittore è ripresa successivamente dal Vasi (8), dal De Montault (9) e da Frizzoni (10) che oltre a osservare i danni sofferti dal dipinto, suggerisce che possa trattarsi dello scomparto di una predella.
Anche Cavalcaselle e Crowe (11), vi vedono parte di una predella, ma ne respingono il riferimento al pittore assegnandolo alla sua bottega. Per Mortimer Clapp (12) si tratta di una copia dell’affresco di Andrea del Sarto nel Chiostro dello Scalzo a Firenze, terminato nel novembre del 1524. Secondo lo studioso, nel dipinto Spada la pennellata rammenta i modi del Pontormo giovane al quale però non si sente di riferire perché considera che dopo il 1524 il senso formale del Pontormo era diverso. Più verosimilmente ritiene che sia una copia di Giovanni Antonio Lappoli, o di Pierfrancesco di Jacopo di Sandro, attenendosi alle indicazioni del Vasari che afferma che questi due artisti copiarono alcuni degli affreschi del Chiostro dello Scalzo.
Dopo le riprese a favore del pittore da parte di Hermanin (13), si dichiara contrario all’attribuzione il Porcella (14), che considera anche lui il dipinto copia dell’affresco dello Scalzo prossimo ai modi del Pontormo e lo confronta con la Storia di Giuseppe l’Ebreo nella Collezione di Lady Panshanger.
Lavagnino (15) lo attribuisce ad Andrea del Sarto o al Rosso Fiorentino. Berenson (16) lo assegna ad un seguace di Andrea del Sarto, forse Battista Naldini. Longhi (17) lo dà ad un seguace diretto di Andrea del Sarto, vicino al Pontormo. Zeri (18) nel notare l’alta qualità, riapparsa dopo la pulitura fatta eseguire da lui nel 1951, esclude invece un riferimento diverso da quello al pittore in persona. Riferisce che un disegno preparatorio per la testa e la mano sinistra di Zaccaria è nel Museo di Digione (19). Si riporta qui di seguito la relazione sullo stato di conservazione dell’opera rilasciata da Zeri al momento della pulitura del 1951:
“Nel secolo XIX il quadro era stato largamente ridipinto, specie nella veste rossa della Madonna, che era stata allungata e ampliata sino ad annullare l’intervallo fra essa e la figura di Santa Elisabetta; altri ritocchi erano stati eseguiti nella figura di uomo a destra, nel viso della Vergine, nel terreno in primo piano. Il dipinto era però già stato restaurato in precedenza, specie nelle parti dell’edificio di fondo e nella scalinata” (20).
Negli ultimi tempi, il dipinto è stato oggetto ancora due interventi di restauro. Il primo ha riguardato di nuovo la pulitura e consolidamento della pellicola pittorica (2004), il secondo il risanamento della tavola che tendeva a incurvarsi(2008).
In epoca recente, fatta eccezione per Freedberg (21) che assegna l’opera ad un seguace del pittore, gli studiosi interessati concordano ormai per l’autografia sartesca (22)
E’ a Monti (23) che si deve la proposta di identificazione della Visitazione compiuta da Andrea del Sarto per le monache di San Pietro a Luco nel Mugello con il dipinto Spada, seguito da Natali (24) che considera la mezza tavola della Visitazione pagata al Sarto l’11 ottobre del 1524, proprio una anticipazione a colori o una replica dell’affresco.
Andrea d’Agnolo, detto Andrea del Sarto dal mestiere che esercitava il padre, nacque a Firenze il 17 luglio 1486 e morì di peste nel gennaio del 1531, seguita all’assedio della città nel 1530. Introdotto nella bottega di un orafo fin dall’età di sette anni, passò in quella del pittore Piero di Cosimo quando un ignoto artista locale scoprì le sue precoci capacità pittoriche. Da qui ebbe inizio il suo percorso giovanile che lo vide interessato a copiare i cartoni di Leonardo e Michelangelo per la Battaglia di Cascina, conservati nella sala papale di S. Maria Novella, dove forse ebbe occasione di incontrare il Franciabigio con il quale instaurò un rapporto di collaborazione in una comune bottega.
Nel 1508 si immatricolò nell’Arte dei medici e speziali e dal 1509 al 1510 affrescò nel Chiostro dei Voti della SS.ma Annunziata le Storie di S. Filippo Benizzi che sebbene riflettano le forme tradizionali dell’arte quattrocentesca fiorentina, dell’Albertinelli, di Fra Bartolomeo e dello stesso Franciabigio, palesano l’apertura allo sfumato e agli elementi naturalistici leonardeschi e un’armonia compositiva di Raffaello, caratteri che, uniti al plasticismo michelangiolesco, resteranno alla base della sua arte.
A Raffaello si avvicinerà particolarmente dopo un viaggio a Roma avvenuto intorno al 1512, come mostra l’Annunciazione, eseguita in questo periodo per il convento di San Gallo, distrutto durante l’assedio di Firenze, nel 1530, e ora alla Galleria Palatina, che riflette gli influssi della Scuola di Atene nelle solide architetture e nella figura seduta sui gradini dell’edificio. Un viaggio che dovette affrontare con due nuovi collaboratori entrati a far parte della sua bottega, il Pontormo e il Rosso e con i quali stabilirà un forte sodalizio che rafforzerà il lui il senso luministico. Del 1515-1516 circa è la Madonna col Bambino, San Giovannino, Santa Elisabetta e due angeli del Museo del Louvre basata proprio su prototipi romani di Raffaello. In questi anni proseguiva gli affreschi in monocromato con le Storie del Battista nel Chiostro dello Scalzo intrapresi intorno al 1509 e completati nel 1526, il cui capolavoro è rappresentato dalla Visitazione, del 1524.
Nel frattempo dipinse opere di rilievo caratterizzate da una particolare ricchezza cromatica, come la Madonna delle Arpie ora agli Uffizi (1517); la Disputa della SS. Trinità, ora alla Galleria Palatina. Nel maggio del 1518 si recò in Francia presso la corte di Francesco I, dove rimase fino al 1519. Al rientro riprese l’interrotta decorazione degli Scalzi e nel 1523 per sfuggire la peste scoppiata a Firenze, si rifugiò a Luco di Mugello dipingendo per la suore di San Pietro la Deposizione di Cristo, ora a Pitti, compiuta nel 1524.
A questo momento risale la tavola con la Visitazione identificata con il dipinto Spada.
Nella scena, la figura di Zaccaria dietro l’abbraccio delle sue donne, a sinistra, rimanda alla figura di San Pietro posto alle spalle di Cristo, proprio della coeva Deposizione.
E’ la fase finale della sua attività, rinvigorita da riflessi michelangioleschi, come si nota pure nell’Assunta Passerini, del 1528, della Galleria Palatina, di scultorea impaginazione. Il Del Sarto è considerato anche un ottimo disegnatore.
La visita di Maria Vergine alla cugina Elisabetta subito dopo l’Annunciazione è narrata dal solo evangelista Luca (1,36-56):
“In quei medesimi giorni, Maria si mise in viaggio, in tutta fretta, per la montagna, verso una città di Giudea; ed entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta…”
La città di Giudea è stata identificata in Ain Karim, una località a circa sei chilometri da Gerusalemme, dove appunto abitavano Elisabetta e suo marito Zaccaria, sacerdote del tempio di Gerusalemme. Luca inizia il suo vangelo narrando la nascita miracolosa del precursore Giovanni annunciata dall’angelo Gabriele a Zaccaria proprio mentre nel tempio egli compiva il suo ufficio sacerdotale. Zaccaria non crede di poter aver un figlio dalla moglie anziana e sterile e per questo l’angelo lo farà rimanere muto fino a quando la profezia non si sarà avverata. Sei mesi dopo Gabriele annuncia a Maria la sua maternità e la informa che Elisabetta era già nel sesto mese di gravidanza. Allora Maria corre da Nazaret ad Ain Karim, ed Elisabetta, sua parente, la saluta come la madre del suo Signore e la dichiara beata per aver creduto alla sua parola. Maria, piena di ispirazione, esplode nella preghiera di lode e di ringraziamento a Dio che realizza le sua promesse a Israele. Si ferma da Elisabetta fino alla nascita di Giovanni, quando anche il padre, Zaccaria, riacquistata la parola, benedice Dio per il figlio donatogli e per la missione che compirà in Israele. (Antonio Girlanda, biblista, La Domenica, periodico religioso, 4 novembre 2007).
Il soggetto raffigurato non trova perfetta aderenza al passo evangelico per l’ambientazione diversa e per la presenza dei quattro personaggi che assistono all’incontro della Vergine con Elisabetta, disposti come i cinque punti sulla faccia di un dado, come definiti da Heinrich Wölfflin quando parla dell’affresco dello Scalzo (25).
Zaccaria è in disparte nel fondo; a sinistra in primo piano Giuseppe con bastone e sacco, allusivo al viaggio compiuto, e due servitori sulla destra. Fa da sfondo all’incontro la sobria facciata con l’uscio aperto verso un vano buio, mentre sul lato sinistro lo spiraglio di un cielo terso. I gesti pacati e silenziosi di ognuno si illuminano della luce chiara e soffusa del mattino che esalta l’intensa cromia dei panneggi, dalle pieghe nette e taglienti che creano alternanza di luci e ombre, soluzioni tipiche dell’attività tarda dell’artista.
Nel dipinto, piccole varianti si ravvisano, rispetto all’affresco, nell’impostazione prospettica e spaziale. Infatti il punto di vista risulta più alto e maggiore spazio viene dato alle quinte architettoniche laterali. Inoltre si ravvisa una diversa resa della luce e delle fisionomie, dai tratti generalmente più forti, come il volto di Santa Elisabetta. Tratti che rimandano ai volti emaciati delle figure della Deposizione della Pinacoteca di Volterra di Rosso Fiorentino, dipinta nel 1521.
Oltre allo studio di testa virile, presso il Musée des Beaux Arts di Digione, già menzionato da Zeri (n. 819, cm.19,5×11,7, matita nera e rossa su carta), attribuito da Berenson al Pontormo e poi dallo stesso studioso restituito ad Andrea (1938), esiste un altro disegno preparatorio del servitore che regge il sacco sopra la testa, voltato di profilo verso sinistra. Sul verso lo studio per la stessa figura (n. 130, New York, Pierpont Morgan Library)(26)
Maria Lucrezia VICINI Roma 16 Giugno 2024
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