di Michele FRAZZI
Prima parte
Gli “ Insensati ”
L’ Accademia degli Insensati fu una importante associazione di studiosi che venne fondata a Perugia nel 1561, era composta da eruditi per lo più laureati in giurisprudenza (1).
Per comprendere appieno lo scopo di questo sodalizio pare opportuno fare riferimento alla loro impresa, cioè al simbolo che sinteticamente li caratterizza, e con il quale vogliono identificarsi, lo possiamo osservare nella Fig. 1, essa era costituita da uno stormo di gru che volano con un sasso appeso alle loro zampe .
Il significato di questo emblema distintivo lo si può leggere nel manoscritto 1717 della Biblioteca Augusta di Perugia:
”Con questa impresa vogliono questi Insensati mostrare al mondo che, sì come queste grue, vel cum pondere, etiandio col peso di quei sassi, che tengono nei piedi, volano in alto e si allontanano da terra; così essi, come che siano aggravati dal gravissimo peso de i sensi, i quali sono tanto gravi, che per lo più ci tirano alle cose basse, terrene, mortali e transitorie, cercano tuttavia da quelle allontanarsi e inalzarsi alla contemplatione delle cose alte, celesti, immortali ed eterne.”
In altre parole gli insensati si prefiggono lo scopo, attraverso i loro studi, di liberarsi il più possibile dal peso dell’appetito dei sensi, necessariamente indirizzato verso le cose mortali, e in questa maniera di innalzarsi verso la comprensione delle cose celesti, come è ben spiegato nelle altre parti del manoscritto. Inoltre, nelle loro intenzioni, il nome Insensati doveva avere un carattere allegorico, e quindi era dotato di due significati, uno palese ed uno nascosto, in modo che il vero valore della parola non poteva essere compreso da tutti, ma solamente da coloro che ne erano a conoscenza. Questo è ben interpretato dalle parole di Lorenzo Sacchini che parafrasano il contenuto del manoscritto citato, nel quale si dice che il termine Insensati :
“aveva una «doppia significatione, una ciòè una in apparenza, nella scorza, e l’altra in sostanza nella medolla» (155r). Se il primo significato, riservato «alle persone volgari» (155r<v), risulta finanche troppo ovvio (Insensato è colui «che o per infirmità di corpo abbia perso il conoscimento, […] o pure che di natura sia scemo di cervello»: 156v); il secondo valore della parola è ad appannaggio esclusivo degli «huomini dotti e intendenti» (155v). Definendo se stessi «Insensati», gli accademici in realtà intendevano dirsi ‘non sensati’, cioè liberi dagli «appetiti» e dai «sensi» che offuscano e combattono la «ragione». “ (2) .
E’ interessante qui notare, che per spiegare il fatto che il loro nome: Gli Insensati ( cioè liberi dai desideri dei sensi), andava inteso in modo allegorico , e quindi aveva un significato esterno (essoterico) ed uno interno (esoterico) , essi utilizzino una immagine ben precisa: il rapporto che esiste tra l’interno e l’esterno di un frutto, dato che il termine medolla indica la polpa di un frutto ( Cfr. Dizionario Treccani ad vocem Midolla o Medolla ).
Possiamo quindi ora intuire, fin da queste brevi note, come il cammino individuato dagli Insensati sia un cammino di perfezionamento che deve essere attuato attraverso l’esercizio degli studi, esso conduce al risultato ultimo della “Virtù” più ricercata, cioè quella celeste.
I suoi membri lo dichiarano apertamente nella spegazione della loro impresa:
“Fra tutti i sentieri che alla virtù ci guidano, nessuno per mio avviso ce ne è che più agevole e più ispedito sia e che più dirittamente a quella ci conduchi, quanto lo studio delle belle lettere, al quale ora noi attendiamo” (3).
Il proposito degli accademici è quindi che al progredire degli studi segua parallelamente la liberazione dai desideri e dalle lusinghe delle cose del mondo, per pervenire infine alla mortificazione dei sensi; gli insensati infatti sono non sensuali (4) perchè hanno completamente soggiogato i loro sensi, e liberi da essi si possono finalmente dedicare alla attività contemplativa.
Ora, di quale genere di contemplazione si sta parlando ? E che cosa sono le Virtù celesti ? Dai loro scritti risulta evidente che “Il cammino di perfezionamento etico degli Insensati era inquadrato in una dimensione schiettamente religiosa”, questo fatto risulta chiaramente dimostrato nell’ammonimento che
“non debbiamo amare le cose terrene e mortali, se non in quanto elle sono creature di Dio, e ciò facendo, amar sempre Iddio sopra tutte le cose.”(5) ,
cioè occorre liberarsi dal desiderio dei sensi e dedicarsi solo a quello per il divino, il che è una ripresa testuale di quanto e contenuto nella Bibbia: Lettera ai Romani 1,25,
“poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen”.
Il presupposto del loro percorso è quindi la consapevolezza che non bisogna amare le creature, bensì il Creatore, attraverso il riconoscimento della sua opera nella bellezza delle creature. Ed è allora un bene spirituale quello che essi perseguono: si tratta della Grazia, come esplicitato nel comune denominatore che lega tutti i loro soprannomi accademici
“Questa [Gratia] è quella che fa ricordar gli Smemorati fa tornar in sé gli Astratti illumina i Ciechi fa udire i Sordi , dà mangiar a gli Affamati, insegna i Rozi rende il sonno a gli Svaniti .”( 5).
Il luogo fisico dell’accademia e la sua istituzione costituiscono quindi il mezzo e la leva ideale che permette ai suoi membri di sostenersi l’un l’altro nel cammino verso l’obiettivo comune del miglioramento spirituale. Sul piano pratico questo avviene scambiandosi mutualmente le idee e i raggiungimenti ottenuti da ciascuno, quindi a ragione essi si definiscono come delle stelle, che disunite non fanno molta luce, ma che tutte insieme possono arrivare ad illumunare il mondo. (6).
Lo scambio dei punti di vista fra i suoi componenti avveniva principalmente per mezzo di un dibattito, in quanto l’oralità nella Accademia aveva un posto preminente, le lezioni venivano tenute attraverso la “recitazione” di discorsi aventi un taglio oratorio, che venivano chiamati per questo motivo appunto orazioni ( 7). Accanto alla forma di espressione orale vi era ovviamente anche una forma scritta, che avveniva per lo più attraverso lo strumento dei manoscritti. Infatti molti dei suoi membri erano avversi alla forma stampata, primo fra tutti Cesare Crispolti, che ne fu il principe ed il fondamentale animatore a partire dal 1592 fino alla sua morte. Questo indirizzo si farà apertamente palese con la “ Invettiva … recitata per dimostrare che non sia bene lo stampar le compositionii accademiche “, del 1597 , che è preceduta dalla consenziente premessa di approvazione del Crispolti ( 8 ). Questo fatto privò la Accademia di una riconoscibile e forte immagine pubblica (9), dato che il suo pensiero, ma soprattutto l’evoluzione temporale dello stesso, non risulta perfettamente leggibile per la mancanza di opere a stampa che siano in grado di palesarne la cronologia.
La conseguenza di questa prassi fu che molte delle loro opere vennero pubblicate postume dentro compendi, privandoci quindi della possibilità di una esatta valutazione della collocazione storica dei componimenti. Lo stesso problema, relativo ad una corretta collocazione cronologica, si ripete per le opere che si sono conservate solo nella forma di manoscritti, anch’essi privi di datazione; immaginiamo poi quanti saranno andati perduti dato l’esiguo numero delle copie. Insomma la corretta datazione delle opere degli Insensati e la loro consultazione risulta un esercizio difficoltoso, e per forza di cose lacunoso. Anche la preziosa testimonianza del loro statuto è andata perduta (10), però dai documenti rimasti gli studiosi sono riusciti a ricostruire una fisionomia delle idee di questo consesso abbastanza ben delineata, come abbiamo visto più sopra .
Per molti degli aspetti che abbiamo appena descritto, l’Accademia degli insensati mostra diverse assonanze con la più giovane istituzione romana degli Humoristi, come già avanzato da Clovis Whitfield (11), e non è un caso che molti suoi membri appartennero ad entrambe, a partire dal fondatore della seconda, il principe Paolo Mancini. In effetti entrando più nello specifico, se prendiamo in esame le spiegazioni che gli Humoristi danno del loro emblema (e quindi di loro stessi) possiamo notare come essi si definiscano in termini molto simili agli Insensati. Essi sono una
“Nuvola condensata d’humorosi vapori levatisi dall’amarezza del mare, così l’Accademia de gli Humoristi è una radunanza di spiritosi ingegni , che dall’amarezza de’costumi mondani si sono separati.” , ed ancora “la separazione dai costumi e studi volgari , ma anche la salita in alto , che a Dio, ci fa avvicinare, … così ( si ) dicono questi accademici, che godono d’ essere detti humoristi, per amore della virtù, la quale dal volgo li separa “.
Cioè , in altre parole , essi sono un insieme di persone che si riuniscono per amore della virtù, con lo scopo di separarsi dalle cose volgari, e così elevare i loro spiriti verso la contemplazione delle cose divine; il loro paradigma quindi è del tutto parallelo a quello degli Insensati.
Chi furono i membri degli insensati che appartennero anche agli Humoristi ?
Vi possiamo contare Maffeo Barberini, Melchiorre Crescenzi, Il Cavalier D’Arpino, Paolo Mancini, Battista Guarino, Giovan Battista Marino, cioè quasi tutti gli Insensati risiedenti a Roma. Gli altri membri di rilievo che appartennero solo agli Insensari furono il già citato Crispolti, Gaspare Murtola, Aurelio Orsi ( fratello di Prospero ), il cardinale Emanuele Pio di Savoia, Filippo Lauri, Federico Zuccari, Torquato Tasso, Filippo Massini, Filippo Alberti, Cesare Caporali, il cardinal Bonifacio Bevilacqua Aldobrandini, il cardinale Ippolito Aldobrandini, Cesare Nebbia, Leandro Bovarini ed il marchese Ascanio II della Corgna ( 12 ).
Quest’ultimo merita un particolare riguardo perchè fu senza dubbio una personalità di spicco dell’ambiente perugino, ed anche tra i principali protettori degli Insensati (13), di cui ospitava le riunioni in tre stanze segrete appositamente allestite nel suo palazzo di Castiglione del Lago (14), l ‘altra sede delle riunioni fu la casa di Cesare Crispolti (15). Ascanio aderì fin da giovanissimo al consesso dato che Aurelio Orsi, che morì nel 1591, gli dedica una poesia ( Carmina pag. 129 ), inoltre molti altri testi accademici furono a lui dedicati ( 16 ), ed anche la sua Orazione funebre venne tenuta nella Accademia. Dall’elenco appena stilato possiamo notare che diversi suoi affiliati furono romani, questo accadde perchè l’Ateneo Perugino di legge era rinomato, e diversi esponenti delle famiglie di prestigio di Roma vi si laurearono, tra questi vi furono Cinzio Aldobrandini, Silvestro Aldobrandini, Melchiorre Crescenzi ,Scipione Borghese, Camillo Borghese, Ottaviano Zuccari (figlio di Federico), e soprattutto il principe Paolo Mancini che iniziò i suoi studi nel 1593, e fra i Genovesi Gaspare Murtola (17). Le relazioni personali intessute fra i suoi esponenti ( 18 ) romani nel corso del loro soggiorno di studi a Perugia servirono poi di fondamento per le riunioni che in seguito cominciarono a tenersi anche a Roma fra i membri locali della Accademia degli Insensati .
I rapporti tra gli Insensati e le famiglie Sforza di Caravaggio, Colonna, Peretti
Nello sviluppo del discorso cercheremo ora di approfondire e chiarire quali furono i rapporti tra l’ Accademia degli Insensati e le importanti famiglie nobiliari milanesi e romane citate nel titolo. Gli Sforza di Caravaggio ebbero certamente relazioni rilevanti con il consesso, in primo luogo per il legame di parentela che li univa al loro “principe” e protettore, il marchese Ascanio II della Corgna.
Questi infatti aveva sposato Francesca (II^) Sforza di Santa Fiora che proveniva da un ramo cadetto degli Sforza che dominava su un territorio limitrofo al suo. La zia di Francesca, (Fig. 2) Faustina Sforza di Santa Fiora aveva sposato Muzio I marchese di Caravaggio. Faustina ebbe un ruolo rilevante sul marchesato di Caravaggio dato che Muzio I morì giovanissimo nel 1553 e quindi fu lei la reggente per 14 anni, fino a quando il figlio Francesco raggiunse la maggiore età, cioè fino quando combinò le nozze con Costanza Colonna nel 1567. Si trattò quasi di un matrimonio in famiglia, dato che Costanza Colonna e Faustina Sforza Di Santafiora (e di conseguenza anche Francesco Sforza) erano parenti; infatti la sorella di Faustina, Francesca Sforza di Santa Fiora ( I^) era la nonna, di Costanza Colonna.
All’epoca questi fatti erano abbastanza comuni, teniamo conto che anche Faustina Sforza e Muzio Sforza erano parenti . Inoltre c’è da ricordare che la madre di Ascanio II della Corgna fu una Colonna, e cioè Porzia Colonna di Zagarolo.
Mi scuso fin d’ora col lettore, perchè capisco che queste genealogie siano un po’ noiose, ma sono necessarie, per comprendere i rapporti e gli interessi che legavano queste famiglie, che sono poi la base di partenza per arrivare a comprendene i risvolti con l’ Accademia.
I rapporti tra i Peretti ed i Colonna sono una cosa piuttosto nota per gli studiosi di Caravaggio, infatti nel 1589 Felice Orsina Peretti sposa in prime nozze il nipote di Costanza Colonna, Marcantonio III principe di Paliano ed in seconde nozze il figlio di Costanza, Muzio II Sforza , marchese di Caravaggio, per cui le relazioni tra Costanza e Orsina dovettero essere piuttosto buone fin dai tempi del primo matrimonio, dato che quando poi ci fu da scegliere la sposa per il figlio la scelta ricadde su di lei.
Le trame famigliari appena esposte trovano anche un preciso riscontro oggettivo e speculare anche nella letteratura prodotta dagli Insensati, che appunto riflette i rapporti personali degli accademici con i membri di queste illustri famiglie. Da questo punto di vista, l’Accademia degli Insensati, l’ambiente dove si coltiva il dibattito e si sviluppano le connessioni tra le persone, è il luogo ideale per scandagliare i collegamenti ed i rapporti esistenti tra di esse, e l’immagine che ne risulta è senza dubbio uno specchio fedele ed oggettivo di tutta una serie di relazioni che altrimenti rimarrebbero nascoste alla nostra vista.
Dei rapporti tra il consesso ed Ascanio della Corgna abbiamo già parlato sufficientemente in precedenza, continuiamo quindi la nostra analisi scandagliando l’opera di Aurelio Orsi, che fu il maestro di Maffeo Barberini. Uno dei suoi componimenti più aprezzati fu la “Perettina” (Fig.3) un libro celebrativo delle Opere del pontefice Sisto V, al secolo Felice Peretti (Felice Orsina era sua nipote); per quest’opera il papa arrivò ad assegnargli una pensione di 100 scudi l’anno, e duque le relazioni tra Aurelio e la nobile famiglia dei Peretti dovettero essere ottime (cfr. Treccani alla voce Aurelio Orsi). I suoi Carmina furono ripubblicati postumi sotto gli auspici della Accademia degli Insensati nel 1606 (la premessa dedicatoria è del 1605).
In questa raccolta egli dedica alcune poesie a persone che evidentemente conosceva bene e stimava, e questo è per la nostra ricerca un fatto assolutamente interessante. In primo luogo vi troviamo Marco Antonio Colonna il padre di Costanza (pag. 105) ed il cardinale Ascanio Colonna (Fig. 4), che è il fratello di Costanza (pag.163), quindi Melchiorre Crescenzi (pag. 151) , Maffeo Barberini (pag. 13), Francesca Sforza di Santa Fiora ed Ascanio della Cornia (pag. 163), ed infine il Cavalier d’Arpino (pag.175). Tutti questi dovettero quindi essere in rapporti con l’Accademia in tempi piuttosto precoci dato che l’Orsi morì nel 1591. Nella parte finale del volume ci sono anche due Poesie di Maffeo Barberini intitolate al Cardinal Pietro Aldobrandini ( pag. 195-200) al cui seguito il Barberini rimase per diversi incarichi ( v.Treccani ad vocem).
Ora passiamo alle opere di un altro accademico di sicuro rilievo come lo fu Filippo Massini , che nel nel 1599 pubblicò un libro dal titolo “Il Lucherino“ ( un piccolo uccellino della famiglia dei fringuelli) per i tipi di Bartoli a Pavia.
Il testo è dedicato all’ Abate Ludovico Sforza, si tratta del figlio di Costanza Colonna e di Francesco I° Sforza di Caravaggio, con l’abate egli dovette essere in rapporti molto stretti e diretti, infatti nella trama del componimento Massini dona il Lucherino all’Abate ( pag. 17 ) (Fig.5) .
Occorre poi notare che il testo è diviso in due parti e la seconda è dedicata a Felice Orsina Peretti Marchesa di Caravaggio ( Fig.6 ), alla quale il lucherino verrà infine donato (Pag.18). Il componimento sul lucherino, in sintesi tratta del passaggio di mano di questo uccellino e dei buoni rapporti tra i membri sopra citati . Sappiamo per certo che Massini a partire dal 1596 insegnò a Pavia, ma i suoi contatti con la città natale e con l’Accademia in realtà non terminarono mai, prova ne è che le sue Rime del 1609 furono edite sotto l’egida degli Insensati, ed entrambe le sue mogli furono perugine, anche la seconda che sposò quando già risiedeva da tempo a Pavia ( v. Treccani ad vocem).
Non sappiamo in quale occasione ebbe modo di incontrare questi due componenti della famiglia Sforza, ma dovrebbe essere avvenuto tra il 1599 e il matrimonio di Felice Orsina Peretti con lo Sforza. La data del suo matrimonio è controversa, alcune fonti indicano il 1595 altre il 1597. Ad ogni modo la permanenza di Felice Orsina nel territorio lombardo deve essere stata molto breve, non più del tempo per consumare il matrimonio, infatti come riporta Marco Pupillo ( 19 ), nei capitoli matrimoniali, alla data del 10 settembre 1597, Muzio Sforza si impegnava a risiedere per almeno tre anni a Roma, appena dopo la consumazione dello stesso, per consentire alla moglie di accudire il bambino nato nel 1595 dal precedente matrimonio col Colonna. Da ciò si deduce che la coppia risiedette stabilmente a Roma tra la fine del 1597 ed almeno la fine del 1600, e questa deve essere stata l’occasione per Muzio per rivedere il pittore suo coetaneo, come suggerito da Pupillo ( 19 ), teniamo anche conto che poi in futuro la sorella del pittore, Caterina Merisi, sarà la nutrice dei figli di Muzio Sforza ed Orsina Peretti (20). Nel 1600 tra l’altro li raggiunse a Roma la marchesa Costanza Colonna, che vi risiedette stabilmente fino al 1606 ( 20), per cui i rapporti di presenza fisica tra la famiglia Sforza-Colonna e l’Urbe rimasero stabili e duraturi tra il 1597 e il 1606 .
Un’altra sua opera di rilievo, prodotta in seno all’Accademia furono le Lettioni del 1588, dove nella seconda lezione, Della contemplatione dell’huomo estatico e nella terza Della conversione dell’huomo a Dio, sviluppa temi fondamentali che rientrano appieno nel filone principale degli Insensati.
Le Rime furono stampate nel 1609 sotto l’egida degli Insensati , che composero la prefazione dedicatoria nel 1608; esse contengono il compendio di 20 anni di componimenti poetici. In particolare all’interno di quelle pagine possiamo leggere una poesia dedicata a Muzio Sforza II° Marchese di Caravaggio (Fig.7) (pag.221),
con il quale evidentemente era in buoni rapporti; ricordiamo a questo punto che anche il marchese fu un poeta, di ambito petrarchesco, come lo furono del resto gli Insensati, e nel 1594 fondò egli stesso una Accademia quella degli Inquieti nel suo palazzo di Milano (v. Treccani alla voce Sforza ).
Le altre personalità menzionate nelle rime furono: la principessa Orsina Peretti Sforza, Marchesa di Caravaggio ( pag.220 ), il Papa Clemente VIII Aldobrandini ( pag.216) che rimase in carica tra il 1592 ed il 1605, Federico Zuccari ( pag.29), Cesare Nebbia ( pag. 30), ed infine Pirro Visconti ( pag. 226 ) il proprietario della villa- ninfeo di Lainate (realizzata all’incirca fra il 1585 e 1589 ), che viene descritta minuziosamente in un altro suo componimento (pag.222: vedi Fig. 7) . Quest’ultimo personaggio, che Massini invita a bere allegramente (molte delle sue liriche sono dedicate al vino), merita qualche parola in più; infatti Pirro era in rapporti molto stretti con il pittore e abate della Accademia della Val di Blenio, Giovanni Paolo Lomazzo, i cosiddetti accademici “Rabisch”, di cui egli era il principale esponente e che inneggiavano all’utilizzo del vino come fonte di ispirazione per gli artisti; il loro motto era: Bacco inspiratori. La sua villa venne affrescata con decorazioni a grottesche (Rabisch vuol dire arabesco) realizzate dal pittore Camillo Procaccini, altro esponente legato alla accademia dei Rabisch (21), anche Federico Zuccari non mancherà di visitare la sua villa nel 1603 ( 22 ).
Facciamo un piccolo inciso per dire che molti studiosi (23) hanno avanzato un accostamento tra il Bacchino malato di Caravaggio e l’autoritratto sotto forma bacchica del Lomazzo conservato alla Pinacoteca di Brera (Fig. 8).
L’analisi ci conduce ora ad un altro esponente di sicuro rilievo degli Insensati, Filippo Alberti. La sua raccolta di Rime fu stampata nel 1603 , dalla dedica (ad Ascanio della Corgna ) del curatore, che fu Cesare Crispolti, apprendiamo però che esse già esistevano alla data dell’ agosto del 1600 e che fu proprio lui a raccoglierle pazientemente negli anni con il proposito poi di pubblicarle, dato il loro valore. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un episodio dove la ritrosia per la forma stampata ci impedisce di arrivare ad una corretta datazione dei componimenti.
Tra le sue pagine troviamo le dediche a Paolo Mancini (pag. 33), Papa Clemente VIII Aldobrandini, Papa Sisto V ( Felice Peretti ) (pag. 47) .
I poeti di cui abbiamo esaminati gli scritti furono tra i protagonisti della fase accademica che si inoltra solo di qualche anno in avanti rispetto allo scadere del ‘500. Mi pare a questo punto che il resoconto complessivo di quanto appena illustrato, sia in grado di mostrare un panorama piuttosto ampio e dettagliato, su quanto fossero solide le relazioni tra l’ Accademia e le famiglie Peretti, Sforza e Colonna, cioè fondamentalmente le tre componenti del marchesato di Caravaggio durante gli anni della vita del Merisi .
Note I^ parte
1 Sacchini, 2013A, pag. 12 , 89
2 L.Sacchini, ivi, pag. 129
3 L.Sacchini, 2013B, pag. 412
4 L.Sacchini, 2013A, pag. 106
5 L.Sacchini, ,2013B, pag.408
6 L.Sacchini, ivi, pag. 392
7 L.Sacchini, 2013A, pag . 52- 57
8 L.Sacchini, ivi, pag. 117
9 L.Sacchini,ivi, pag.99, 123,124, 126,168
10 L. Sacchini, ivi, pag. 128
11Whitfield, 2011, pag. 84
12 L.Teza, 2013, pag. 41; L.Sacchini, 2013A, pag. 88
13 L.Sacchini, 2013A, pag. 121,122
14 F. Sabba ,2016, Pag. 41-2; L. Festuccia, 1985, p.23, ; S. Tolomei, 1617, pag. 102; R. Serafini, 1975, pag. 31
15 L.Sacchini 2013A, pag. 94
16 L.Sacchini, 2013A, pag. 121, 122,263,265,266; F. Sabba, 2016 pag.54-57
17 L.Sacchini, 2013A, pag. 113, 159; C.Whitfield,2011, pag. 83
18 L.Sacchini, 2013A, pag. 113
19 M.Pupillo, 2001, pag. 101
20 S. Schutze , 2015, pag. 24
21 A.Morandotti, 1998, pag. 89-100
22 L.Sacchini , 2009 , pag.175-180
23 R.Spear , 1984, pag. 122-25,1984 ; C.Bertelli 1985 ,pag. 62; F. Porzio, 1998 pag.180; K. Hermann-Fiore, 1989 pag.100-101 ; J. B.Lynch , 1964, pag. 189 ; S. Ebert-Shifferer, 2012, pag. 57; A. Von Lates , 1995 , pag.55-60 ; G. Berra , 1996, pp. 108-161. ; S. Schutze, 2015, pag.31; M. Marini, 2001, pag. 378; M. Heimburger , 1990, pag 16
Seconda parte
Caravaggio e il circolo culturale degli Insensati a Roma
Passiamo ora alla parte conclusiva del nostro discorso e cioè cerchiamo di sondare le tangenze tra le notizie storiche che vengono riportate sui primi anni del Caravaggio nell’Urbe, e gli ambienti legati alla Accademia degli Insensati .A questo riguardo, possiamo dire in primo luogo che il punto di riferimento degli Insensati a Roma fu Maffeo Barberini, che era strettamente legato ad un membro importante della Accademia, come fu il poeta Aurelio Orsi, che il cardinale addirittura chiamava il suo magister ( cfr. Dizionario Treccani ad vocem ).
Una prima considerazione che ci viene da fare a questo punto è che l’Orsi era al servizio dei Farnese, e pur essendo uno dei membri più rilevanti, fin dagli inizi, degli Insensati, risiedette piuttosto stabilmente a Roma e non a Perugia, per cui l’ambiente dell’Accademia evidentemente permetteva di mantenere delle relazioni piuttosto strette anche a distanza, come abbiamo già visto nel caso del Massini. Ad ogni modo sotto l’egida di Maffeo Barberini si iniziarono a tenere le riunioni della colonia romana del consesso, ed i suoi membri si ritrovavano proprio nel palazzo del Barberini in Via dei Giubbonari ( 24).
A queste riunioni dovette probabilmente partecipare anche Paolo Mancini che evidentemente dopo la laurea tornò a Roma, e che Maffeo Barberini sicuramente conosceva bene anche per motivi diversi dal contesto della Accademia, anche lui infatti faceva parte dell’entourage di Pietro Aldobrandini di cui il Mancini fu capitano delle guardie a Ferrara, e fu proprio il principe a fondare l’ Accademia degli Humoristi nel 1600. Diversi esponenti di questa Accademia erano appartenuti anche agli Insensati, e probabilmente in seno alla prima nacquero quelle relazioni che poi permisero la fondazione della seconda, quasi fosse un germoglio di quella Perugina, anche dal punto di vista dei loro scopi abbiamo già visto quanto fossero forti le assonanze.
Maffeo Barberini fu tra i residenti romani che appartennero agli insensati, assieme al Cavalier d’Arpino, Melchiorre Crescenzi, Giovan Battista Marino, Gaspare Murtola, Battista Guarino, che evidentemente ne formarono la “sezione locale”. Ora, se ci riflettiamo sopra arriveremo ad una prima significativa conclusione, infatti, a parte l’ultimo, tutte queste persone giocarono un ruolo importante nella prima fase della carriera di MIchelangelo da Caravaggio. A questi nomi vanno aggiunti quelli di due pittori: Cesare Nebbia e Federico Zuccari, che a causa del loro lavoro non risiedettero stabilmente a Roma (come del resto accadde anche per i poeti Murtola e Marino), di loro però parleremo più avanti.
Nel caso di Maffeo Barberini, lo storico Giulio Mancini riporta che egli commissionò al pittore alcuni ritratti “Fece ritratti per Barbarino” (25) di questi ritratti sopravvive quello conservato a Firenze ritenuto unanimamente autografo (Fig. 9),
ed un altro sempre conservato a Firenze che Gianni Papi ritiene autografo e databile agli anni 1595-97, mentre Whitfield lo situa tra il ’96 ed il ’97 e vi vede la collaborazione tra Caravagggio e Prospero Orsi.
La notizia del Mancini viene confermata anche dal Bellori: “Al Cardinale Maffeo Barberini, che fú poi Urbano VIII, sommo pontefice, oltre il ritratto, fece il Sacrificio di Abramo”( 26 ), questo secondo quadro è conservato agli Uffizi.
Per quanto riguarda il Cavalier d’Arpino, tutte le fonti riportano che la sua bottega fu una delle prime frequentate dal Caravaggio e dall’ inventario di questa, realizzato durante il sequestro Borghese, sappiamo anche quali rimasero nella sua collezione, questi furono: Il mondafrutto, il Ragazzo con una canestra di frutta ed il Bacchino malato. Giovanni Baglione riguardo a questa ultima opera riferisce che fu realizzata dopo il periodo trascorso dall’ Arpino e quindi ovviamente deve essere stato acquistato da lui sul mercato: la notizia si è rivelata corretta, come confermato dalle ricerche di Laura Teza (27). Vi è da ricordare inoltre che il Caravaggio eseguì anche il ritratto del fratello, Bernardino Cesari, che pure lavorava in quella bottega, come riportato nell’inventario Patrizi (28 ). Caravaggio eseguì poi anche il ritratto di Giovan Battista Marino, ed è il poeta stesso a descriverlo in un componimento de La Galeria; il dipinto inoltre è catalogato negli inventari Crescenzi ( 29 ); sempre per lui fece anche una Susanna e i vecchioni che il poeta cita in una lettera del 1620 inviata a Padre Agostino Berti ( 30 ).
Per quanto riguarda la presenza del Marino a Roma, per quello che ne sappiamo essa è ascrivibile a date posteriori al 1599 (30 ), il Bellori però riporta in un suo passo che:
”Tantochè il Marino preso da una grandissima benevolenza e compiacimento dell’operare del Caravaggio, l’introdusse seco in casa di monsignor Melchiorre Crescenzi chierico di camera: colorì Michele il ritratto di questo dottissimo prelato e l’altro del signor Virgilio Crescenzi, il quale essendo restato erede del cardinale Contarelli, lo elesse a concorrenza di Giuseppino, alle pitture della cappella di San Luigi dei Francesi. Così il Marino che era amico di questi due pittori, consigliò che a Giuseppe pratichissimo del fresco, si distribuissero le figure di sopra al muro e a Michele li quadri a olio.”
Ora noi sappiamo che questa distribuzione fu ufficializzata il 23 luglio del 1599 (31) quindi è possibile che quanto riportato da Bellori sia privo di fondamento. Se però questo fosse vero vorrebbe dire che le vicende narrate dallo storico sono accadute in un intervallo di tempo che deve ricadere in date ben anteriori al 1599; del resto il poeta ebbe una vita girovaga, e sue “sortite” sono possibili.
Infatti il Marino allora risiedeva a Napoli, e quindi poteva essere solo di passaggio a Roma e, da quanto narrato, doveva avere le occasioni di apprezzare le sue opere (che all’epoca non erano molto diffuse ), fare la conoscenza del pittore, fare la conoscenza del Cavalier d’Arpino, entrare in ottima confidenza con Melchiorre Crescenzi, e suo fratello Vincenzo, e poi combinare l’accordo. Vero è che il Marino conobbe certamente sia l’Arpino che il Crescenzi, dato che entrambi, come lui, facevano parte degli Insensati. Caravaggio inoltre realizzò anche il ritratto di Melchiorre Crescenzi ( 28 ) e di altri membri della sua famiglia.
Quindi riassumendo: Caravaggio fece i ritratti di Bernardino Cesari, Melchiorre Crescenzi, Maffeo Barberini e Giovan Battista Marino.
Egli non fu di certo un pittore di ritratti, che realizzava per lo più per persone con cui entrava in relazione personale, infatti come nota Sybille Ebert Shifferer
“il fatto che ritratti di sua mano siano riconducibili prevalentemente a nomi della sua cerchia personale ricordati dalle fonti, fa supporre che egli realizzasse questo tipo di opere in prevalenza come doni da distribuire alla sua cerchia, quale ringraziamento per qualche favore o per creare una rete di relazioni, oppure ancora nel caso in cui l’importanza del committente rendeva difficile il rifiuto” ( cfr. Amici e nemici la rete sociale di Caravaggio );
ne consegue che tutte queste persone dovettero far parte delle sue strette amicizie.
Per quanto riguarda il Murtola noi sappiamo che nel 1603 pubblicò delle poesie ecfrastiche per celebrare i dipinti di Caravaggio, in particolare si ricordano quella dedicata alla Medusa (32) , quella dedicata alla Buona ventura ( 32) e per un perduto “Amore” ( 32 ), tutti dipinti degli esordi dell’artista.
A questo punto, pare piuttosto chiaro che dovettero esistere relazioni ben precise tra il Caravaggio e gli esponenti romani degli Insensati, dato che li conobbe bene tutti, ed a questo riguardo pare opportuno ora fare una ulteriore considerazione di tipo logistico. Infatti è interessante notare che il palazzo Barberini di via dei Giubbonari si trovava nei pressi della abitazione di Prospero Orsi, come pure del Palazzo di un altro personaggio fondamentale per gli esordi di Caravaggio: Fantino Petrignani, che fu uno dei suoi primi protettori (33 ).
Prospero Orsi che era il fratello dell’ Insensato Aurelio è senza dubbio un personaggio cardine ai fini delle vicende dei primi tempi del Caravaggio; le fonti storiche sono concordi su questo. Prospero, soprannominato dal Baglione il “turcimanno del Caravaggio” era il sensale, l’intermediario che piazzava le opere del suo più dotato amico. Il Bellori riferisce che i due si conobbero dopo essere stati a bottega dall’altro Insensato, il Cavalier d’Arpino. I documenti storici ci aiutano a situare il periodo di permanenza in quella zona. Il garzone Pietropaolo Pellegrini ad un processo testimonia che il Merisi era presente a Roma almeno a partire dalla Pasqua del 1596, e che a quell’epoca lavorava per Lorenzo Carli, un modesto pittore siciliano, e la notizia è confermata sia dal Baglione che dal Bellori, il quale aggiunge che in seguito il Merisi lavorò per Antiveduto Grammatica. Baglione poi riferisce che in una data successiva egli andò a stare a casa del Cavalier d’ Arpino ( 33). Quando era ancora nella bottega dell’ Arpino gli accadde un incidente che lo costrinse al ricovero nell’ospedale della Consolazione, ma il Cesari si rifiutò di accompagnarlo all’ospedale, e fu Lorenzo Carli ad aiutarlo, come ci dice il Mancini ( 34) .
Fu questo il motivo per cui Caravaggio ruppe con l’Arpino e probabilmente verso la fine del 1596 si trasferì a casa dell’Orsi, dove, secondo il racconto di Gaspare Celio dipinse un Giovane che suona il liuto ( 35). Quindi si trasferì a casa di Fantino Petrignani, probabilmente in una data successiva all’aprile del 1597, dato che il monsignore prima non si trovava a Roma. In quella dimora egli dipinse 4 quadri: il Riposo dalla fuga in Egitto, la Maddalena, la Buona ventura e un San Giovanni Evangelista (i primi tre verranno acquistati dai Vittrice, parenti di Prospero Orsi). Non rimase in quella sistemazione oltre il giugno del 1597, dato che in luglio l’artista è già documentato presso il cardinal Del Monte. Probabilmente fu ancora l’Orsi a introdurlo in casa dello stesso Cardinale, secondo quanto ci dicono il Baglione ed il Celio (35 ), il quale avrebbe appunto agito da “turcimanno”, intessendo relazioni a suo favore, come pure probabilmente aveva fatto con il Petrignani ( 36) dato che l’Orsi conosceva bene il Petrignani, per il quale lavorò tra il ’92 ed il ’97 ( 37), lo stesso periodo in cui lavorò anche per i Peretti, dato che tra il ’91 ed il ’97 risulta stipendiato anche dal cardinale Alessandro Peretti (v. Treccani alla voce Aurelio Orsi ).
Come abbiamo visto Caravaggio era in rapporti di conoscenza personale praticamente con tutti i membri degli Insensati di Roma. Fra tutti gli storici contemporanei Mancini è l’unico a darci dei riferimenti per l’attività di Caravaggio a Roma nel periodo precedente a quello di cui abbiamo appena analizzato le vicende (38). Il medico riferisce infatti che il Merisi stette presso monsignor Pandolfo Pucci, un beneficiato di San Pietro, maestro di casa di Camilla Peretti, la sorella di Papa Sisto V; qui conobbe di sicuro i suoi due nipoti, sia Felice Orsina Peretti a favore della quale stipulò un atto di donazione (39) che Alessandro Peretti ( il cardinal Montalto) presso la cui residenza dimorò nel 1590 assieme a Camilla Peretti.
Pucci dovette essere in rapporti anche con i Colonna presso i quali dimorò sempre al seguito di Camilla negli anni 1588-89 ( i rapporti tra i Colonna e i Peretti furono senz’ altro molto buoni e stretti). Le buone relazioni tra il monsignore ed i Peretti continuarono di certo anche dopo l’uscita dal Servizio di Camilla avvenuto nel 1591, infatti nel 1604 essi, lo nominarono arciprete di Loreto ( 39 ).
Per il Monsignore il Merisi dipinse alcune copie di quadri a sfondo sacro, probabilmente per ricompensarlo della ospitalità, dato che il pittore era poco provvisto di denari. I suoi dipinti non dovettero però essere tenuti molto in considerazione dato che il Caravaggio si lamentava di esser nutrito solo ad insalata, che gli veniva servita “per pasto, postpasto, e come dice il Caporale, per companatico e per stecco”.
Un primo fatto curioso legato alla Accademia, è che il Caporale citato nell episodio è Cesare Caporali, che utilizza questo verso nel poema La Corte ( 40), ed è una circostanza quantomeno singolare che per indicare le ristrettezze a cui veniva sottoposto il Merisi si usi una citazione ripresa da un insensato.
Questa citazione beffarda potrebbe anche essere stata tolta dalle parole del Caravaggio, che ancora più beffardamente chiamava il suo ospite “Monsignor Insalata”. Un secondo fatto degno di rilievo ai fini del nostro discorso è che il Pucci nella stessa epoca di Caravaggio diede ospitalità ad un altro pittore, Giovanni Giacomo Pandolfi ( 41), un collaboratore dell’Insensato Federico Zuccari, che lo utilizzò per le commitenze papali ( 1588-89 ) e forse anche per il cantiere della decorazione della villa Peretti Montalto, all’epoca in cui il Pucci era maestro di casa di Camilla. Degno di nota è che Massimo Moretti avanzi un possibile legame tra la permanenza del Pandolfi in casa del Pucci per il tramite delle relazione che lo stesso Pucci dovette avere con lo Zuccari durante le decorazioni effettuate a casa Peretti Montalto, dove la committente era Camilla Peretti, lo studioso avanza pure l’ipotesi che Pandolfi dovette avere dei rapporti anche con il circolo degli Insensati,
“Il filo rosso che lega Pandolfi, Perugia e l’ambiente culturale degli insensati con la casa romana del Pucci trova una conferma possibile nei rapporti che Federico Zuccari, con cui Giovanni Giacomo viveva in familiarità nel 1589, ebbe con il sodalizio accademico perugino al quale fu affiliato qualche anno prima con il nome di Desioso e poi di Sonnacchioso. Pandolfi dovette dunque avere un legame almeno indiretto con l’ambiente degli insensati di Perugia. “(41 )
Questo circuito di relazioni che portarono il Pandolfi a casa del Pucci, potrebbe essersi ripetuto anche nel caso del Caravaggio, per il tramite di una intermediazione nata in seno all’ Accademia. Non è improbabile poi che il Merisi possa aver avuto accesso alla bottega dell’Arpino, che era una delle piu prestigiose ed esclusive della città, ancora per il tramite di relazioni con gli Insensati, di cui il Cesari era un membro, così come molto probabilmente dovette avvenire nel caso dell’Orsi, aiutato dalle ottime relazioni esistenti tra il Cesari e suo fratello Aurelio, che come abbiamo visto dedicò al cavaliere una poesia in segno di stima.
Prospero Orsi collaborò anche con un altro Insensato: Cesare Nebbia, che lo diresse durante gli afreschi eseguiti per la biblioteca vaticana e il palazzo laterano (1587-90 ), dove come abbiamo visto lavorò anche il Pandolfi; Baglione nelle Vite si premura di precisare che: “ Orsi, il quale fu romano , e negli anni di Sisto V, in tutti i lavori di quel sommo pontefice dipinse“, e questo con tutta probabilità avvenne per i buoni rapporti del fratello sia con il papa Felice Peretti che con gli Insensati. Le ottime relazioni tra Prospero ed i Peretti continuarono anche dopo la morte di Aurelio avvenuta nel ’91, dato che tra il ’91 ed il ’97 il cardinale Alessandro si preoccupò di prenderlo al suo servizio come stipendiato (Cfr., Dizionario Treccani, alla voce Vaticano; Baglione, Le Vite, alla voce Prospero Orsi ).
Nebbia assieme al Guerra fu il principale gestore delle équipes di pittori che si occuparono delle commitenze vaticane sotto il papato di Felice Peretti, e realizzò anche le decorazioni della villa Peretti-Montalto, alle quali come abbiamo visto lavorò anche lo Zuccari. Dopo la morte di Sisto V, durante il pontificato Aldobrandini, il suo ruolo di egemone fu preso da un altro insensato e cioè il Cavalier d’ Arpino, quindi nel 1603 lasciò Roma per eseguire gli affreschi sulla vita di San Carlo a Pavia, su commissione del Cardinal Borromeo di cui fu ospite fino al 1605, gli affreschi furono poi completati da Federico Zuccari (Cfr., Dizionario Treccani ad vocem; Baglione le Vite, alla voce Cesare Nebbia).
Se ai nomi di Nebbia ed Arpino ora aggiungiamo anche quello di Federico Zuccari, che fondò l’accademia di San Luca nel 1593, potremo renderci conto che i tre pittori che appartennero all’Accademia degli Insensati furono coloro che dominarono la scena artistica romana tra il 1585 ed il 1600: pare dunque scontato che passare attraverso le relazioni con questa Accademia rappresentasse un buon biglietto da visita per avviare una carriera artistica a Roma .
Pandolfi ed il Caravaggio a ben vedere condivisero una sorte comune: lavorarono per un Insensato (Cesare Crispolti, Arpino, Federico Zuccari ) ed abitarono a casa del Pucci, ed anche Orsi lavorò nelle scuole pittoriche che furono dirette da Insensati. Infine non sarà probabilmente ancora un caso che uno dei primissimi documenti che testimoniano la presenza di Caravaggio nell’Urbe, riguarda la sua partecipazione ad un evento (e per quello che ne sappiamo fu anche l’unica volta) organizzato dalla Accademia di San Luca, cioé le 40 ore di adorazione, al quale egli partecipò in coppia con Prospero Orsi. Fu Federico Zuccari quell’anno ad inaugurare l’evento che iniziò il giorno di San Luca: il 18 ottobre del 1597, l’anno in cui fu principe della accademia Cesare Nebbia (42 ). Inoltre sappiamo da un suo interrogatorio del 1603 che il Caravaggio riteneva Federico Zuccari suo amico e un valent’huomo cioè uno dei pochi pittori da lui tenuti in considerazione assieme al Cavalier d’ Arpino ad Annibale Carracci ed al Pomarancio; i primi due furono componenti della Accademia degli Insensati, mentre i secondi degli Humoristi ( 42). Anche i poeti che celebrarono le sue opere facevano parte di queste due accademie: Murtola era un insensato, Milesi un Humorista e Marino apparteneva ad entrambe, a sottolineare quanto fossero importanti le relazioni culturali con queste due accademie per la pittura del Caravaggio.
Ritornando alla sua permanenza in casa del Pucci, il Mancini ci riferisce inoltre che a latere delle copie dipinte per il prelato, il Caravaggio realizzò nello stesso periodo una produzione per il mercato “per vendere”. Il primo soggetto che realizzò fu il ragazzo “morso da un racano” e successivamente (dopo essere uscito dalla casa di monsignor Pucci, secondo quanto si trova scritto nel manoscritto Palatino) “un putto che monda una pera” (che nella versione Marciana del testo manciniano diventa una mela), ed anche il “ritratto di un hoste dove si ricoverava”, probabilmente dopo l’abbandono di un così “magro ospite” (43). Baglione invece ci dice che il Ragazzo morso dal ramarro fu dipinto in un periodo successivo al periodo dell’Arpino, può darsi che Caravaggio nei primi tempi realizzasse diverse copie dei suoi lavori “per vendere”, e non a caso appunto di questo tema ne conosciamo più di una versione.
A questo soggetto se ne deve affiancare un altro, verosimilmente dello stesso periodo, il Ragazzo con la caraffa di rose, che presenta una struttura compositiva quasi identica al ragazzo col ramarro, cosi come è del tutto paragonabile anche nelle dimensioni , (delle stesse dimensioni è pure Il mondafrutto , 66x 52 cm.), un fatto questo correttamente notato e puntualizzato da Richard Spear, che arriva ad ipotizzare che facessero tutti parte di una serie dedicata ai cinque sensi ( 44). Il ragazzo con caraffa di rose compare per la prima volta citato in maniera certa come opera del Caravaggio, in un inventario Borghese del 1693, inoltre a parere di Marini questo soggetto potrebbe coincidere anche con la descrizione di un quadro del sequestro Arpino, ma l’identificazione in questo caso non è sicura. Ad ogni modo la critica per ragioni stilistiche tende a vedere nel Mondafrutto il primo lavoro del Caravaggio a Roma.
Un ulteriore fatto di sicuro rilievo legato alla accademia è che il primo quadro conosciuto del Caravaggio: Il mondafrutto (Fig.10) , venne acquistato da Cesare Crispolti , il principe degli Insensati. Questo dipinto, che ci è noto attraverso copie ,rappresenta un ragazzo che sta sbucciando un frutto, egli è situato di fronte ad una tavola su cui giacciono altre frutta. Il dipinto fin dagli inizi (45) fu letto come una semplice rappresentazione di una scena di genere, in seguito la scoperta da parte di Marini di una variante del dipinto, dove un angelo poneva una corona sul capo del fanciullo, cambiava le carte in tavola, mostrando chiaramente che esso conteneva una allegoria , un secondo significato nascosto ( Fig. 11) .
Ora, mi pare che il dipinto sia una perfetta rappresentazione della filosofia degli Insensati, dei loro scopi, delle loro ricerche. Infatti se riportiamo alla memoria quanto delineato nella prima parte di questo saggio ed in particolare quello che è contenuto nel manoscritto 1717 , e con l’aiuto dei concetti ivi espressi rileggiamo la immagine, vedremo un giovane che attratto dall’appetito dei sensi si siede a tavola per soddisfare questi appetiti che conducono al peccato, ma lui non si lascia ingannare da questi, e monda il frutto, cioè distingue bene e separa la scorza dalla midolla, cioè non si ferma all’amore per l’apparenza delle creature, ma liberandosi dal peso dei sensi, è in grado di innalzarsi dagli istinti bassi e dalle realtà caduche e così contemplare le realtà eterne e celesti, cioè non ama la creatura, ma il Creatore attraverso le sue opere.
L’ azione che il ragazzo compie nel dipinto è esattamente quanto propugnato dagli Insensati, cioè separa la scorza dalla midolla.
Questa lettura allegorica soddisfa anche un ulteriore criterio posto come necessario dall’Accademia, e cioè che l’immagine abbia un significato scoperto ed uno diverso e più profondo , l’immagine infatti viene letta come una semplice scena di genere dalle persone comuni, mentre solo chi fa parte dell’Accademia è in grado di intenderne il senso più profondo. Le due versioni dell ‘immagine sono quindi la prova certa di questo doppio significato.
Il dipinto quindi vale a rappresentare il cammino virtuoso dell’ Insensato, il suo costante tentativo di elevarsi alla contemplazione delle virtù celesti, come evidenziato nel lavoro di Lorenzo Sacchini . Questo cammino che è di carattere schiettamente religioso, non si ferma al piano materiale della morale, ma la trascende per accedere al piano della contemplazione divina , e questo passaggio è simboleggiato dall’ aggiunta dell’ Angelo che pone la corona sul capo del ragazzo, presente nella seconda versione ( 45). Infatti l’angelo che viene aggiunto nella versione-Marini dichiara apertamente che l’immagine ha un significato religioso; questa figura che porge la corona, poi, ha una valenza ben precisa nell’iconologia del periodo e veniva utilizzato per simboleggiare il cammino dei santi, come vediamo anche nelle coeve rappresentazioni del Pomarancio: I santi Domitilla, Nereo e Achilleo (Fig. 12), o nella Santa Cecilia. Inoltre se consultiamo il maggiore testo di Iconologia del periodo vale a dire quello del Ripa ( Ed. 1593), alla voce Virtù potremo leggere:
“Una Giovane d’aspetto bello et gratioso, con l’Ali alle spalle, sotto a’ piedi con un Cornucopia et nella destra mano con una Corona di Lauro…Et l’Ali dimostrano che è propio della Virtù di alzarsi a volo sopra il commune uso de gli huomini volgari, per gustar quei delitti che non si provano da persone basse, ma solo dalle più nobili, i quali come disse Virgilio, sono alzati sino alle Stelle dall’ardente Virtù et diciamo che s’inalza al Cielo chi per mezzo della Virtù si fa chiaro, perché diventa simile a Dio, che è l’istessa Virtù et bontà.”
Ora è inoppugnabile che quando si parla di Virtù per il il Ripa si fa senza dubbio riferimento a quella Divina e quindi il significato che il Ripa dà questa figura è perfettamente coincidente con quanto dichiarato nel modello delle attività di ricerca e negli scopi della Accademia degli insensati.
Nelle parole del Ripa diventa ulteriormente chiaro come la Virtù ricercata sia il Creatore stesso ed il cammino da compiere per raggiungerla abbia un carattere prettamente religioso e contemplativo.
Il Ripa, che era di Perugia, conosceva certamente molto bene l’Accademia degli Insensati con cui era in relazione e che cita nella edizione dell Iconologia del 1593 (pag.215), ma è soprattutto Crispolti, l’acquirente del dipinto, che dimostra di conoscere altrettanto bene l‘Iconologia del Ripa. Infatti nell’unico testo che pubblicò quando era in vita: l’Idea dello scolare del 1604, egli cita l’ opera del Ripa, e descrive 4 figure dell’Iconologia, tra l’altro con ottima capacità critica rispetto all’interpretazione del Ripa : Il Giudizio, La Memoria , La Filosofia e La Cognitione . Anche la virtù ricercata dalla parallela istituzione della Accademia degli Humoristi ha lo scopo di condurre alla contemplazione delle cose divine. Il fatto che nel dipinto sia stato posto un angelo, rende ancora più facilmente riconoscibile il significato religioso del Mondafrutto di Caravaggio
Al di là delle diverse sfumature con cui i differenti studiosi ne interpretano il significato, la struttura allegorica del dipinto, che riprende i concetti espressi dalla Accademia mi sembra fuor di dubbio (46). Ora, se anche nel caso dell’altra opera afferente allo stesso periodo, e cioè il Ragazzo morso dal ramarro, si riuscisse ad attribuire un preciso significato allegorico, interpretabile alla luce delle idee della Accademia, allora sarebbe dimostrata l’influenza che questa, il suo ambiente, e la trama delle sue relazioni, ebbero sulla prima pittura caravaggesca, fin dal periodo del Pucci, e cioè fin dagli inizi del soggiorno romano del Merisi.
Già alcune notizie ed indizi che vanno in questa direzione (47), fanno supporre che questa possibilità sia realistica, e fanno ben sperare, che il quesito possa trovare una adeguata soluzione in questo senso. Inoltre considerando quanto fossero saldi i rapporti tra gli accademici e le famiglie Peretti, Colonna, e Sforza; verrebbe a confermarsi quindi che le relazioni tra la famiglia regnante sul marchesato di Caravaggio ed il pittore furono determinanti fin dall’inizo della sua permanenza a Roma. Intendiamoci, stiamo parlando di influenza e non di protezione, dato che in questo caso il Merisi sarebbe stato ospitato a Palazzo Colonna, mentre in realtà dobbiamo pensare che egli fosse considerato alla stregua di un domestico, e così infatti lo trattava il Pucci che gli faceva fare “servitii non convenienti all’esser suo”. Per cui si deve presumere una sorta di raccomandazione, e non di una vera propria protezione come avvenne alla fine della sua vita. Le condizioni dei due periodi però erano pure differenti, nel primo caso si trattava di aiutare un pittore agli inizi della sua carriera, nel secondo caso di salvare un condannato a morte.
Michele FRAZZI Parma 2024
Note II^ parte