di Stefania MACIOCE
«Il suo nome rimarrà nei secoli»
ha dichiarato Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca
La tragica prematura morte di Luca Serianni ha lasciato attonito il mondo della cultura; è accaduto a Ostia: lo studioso stava attraversando la strada per andare a vaccinarsi quando è stato investito in pieno da un’auto. Da subito è emerso che non ci sarebbero state speranze per lui. Una morte ingiusta e stupida, com’è stupido il mondo di oggi.
Ecco in sintesi il percorso scientifico di Serianni. Allievo di Arrigo Castellani, maestro del “purismo” della lingua italiana, si laureò in Lettere nel 1970 alla Sapienza. Dopo esperienze accademiche a Siena, L’Aquila, Messina, nel 1980 era rientrato in Sapienza come professore ordinario di linguistica italiana, per proseguire fino al 2017 con un memorabile congedo: una lezione applauditissima sull’insegnamento.
Serianni ha dedicato la sua vita di studio alla lingua italiana, della quale era riconosciuto cultore appassionato e del cui patrimonio era devoto custode. Autore di una fortunata grammatica pubblicata per la UTET nel 1988, aveva curato con Maurizio Tifone a partire dal 2004, il Devoto-Oil. Vocabolario della lingua italiana, opera di cui, dall’edizione del 2017, fu co–autore. Ancora con Pietro Tifone curò una Storia della lingua italiana in tre volumi. È stato direttore delle riviste «Studi linguistici italiani» e «Studi di lessicografia italiana». Socio dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia dei Lincei, e della Casa di Dante in Roma, l’11 dicembre 2010 fu nominato quasi all’unanimità vicepresidente della Società Dante Alighieri. È stato anche membro dell’Accademia dell’Arcadia: socio corrispondente dal 1991 e poi ordinario dal 2001 con il nome arcadico di Virbindo Climenio. Negli ultimi anni aveva ricoperto la carica di consigliere del Savio Collegio. Nel 2002 gli venne conferita la laurea honoris causa, dall’Università di Villadolid.
I suoi innumerevoli studi specialistici, che spaziano dall’età medievale a quella contemporanea, costituiscono il lascito rilevante e prezioso di questo grandissimo studioso.
Ho avuto l’onore e la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. Ricordo con commozione i tanti consigli di Facoltà durante i quali sceglievo di sedermi accanto a lui. Qualche volta commentavo aspetti vari del mondo accademico, spesso era concorde con le mie osservazioni, talvolta temerarie e quasi sempre appassionate. Ricevevo commenti sapienti, sempre venati da un garbato senso di umorismo. Non si poteva aggiungere nulla alle sue osservazioni perché Serianni era sempre e comunque autorevole, in qualsiasi contesto, sebbene il suo tratto distintivo fosse la grande serietà, i suoi modi risultavano sempre squisitamente gentili venati per giunta da una nota quasi affettuosa e comunque comprensiva, in un certo senso disarmante. Aveva infatti la dote di mettere l’interlocutore sempre a proprio agio, smontando la distanza referenziale che inizialmente si creava e ognuno, studente o collega, si sentiva preso in seria considerazione dalla sua attenzione, dal suo sguardo profondo, vigile.
Serianni, attraverso la sua conoscenza della grammatica e del lessico innestati sulla filologia, comunicava l’amore per le parole, per la forza e le idee in esse contenute, ma allo studio delle regole, delle lemmi e dei testi si aggiungeva quello di Dante, tema centrale della sua produzione vastissima. Dante padre della lingua italiana elemento determinante e fondante della identità nazionale.
In questi tristi giorni ho letto parole bellissime scritte su di lui, a conferma dell’eccezionalità della sua figura: in ogni testo non v’è traccia di banalità e tutti mostrano un’autentica consapevolezza della eccezionalità di un incontro con Serianni. Sui social sono toccanti la dedizione e l’affetto degli studenti:
«Prof. Serianni, ho pensato a lungo tu fossi una felice suggestione, un prodotto del nostro inconscio collettivo. Quell’armonia di garbo, umorismo sornione e profonda considerazione per ognuno di noi sciamannati non poteva profondersi così naturalmente in ogni gesto o parola di un Grande Sacerdote della nostra lingua. E invece eri autentico e insperato, come i doni più belli. Il nostro immaginario di diciannovenni era prevalentemente in bianco e nero come una lavagna, e ogni tua lezione cancellava dalle sue superfici l’idea che l’insegnamento fosse mero strumento di oppressione.
Il tuo insegnamento era invece genuino e contagioso riconoscimento dell’altro, e delle sue istanze espressive. Di fronte a questo, ci siamo scoperti stupidi, ma secondo l’uso che del termine fa Dante nel ventiseiesimo Canto del Purgatorio. E dunque non poco intelligenti, ma attoniti e sbalorditi, come dei purganti al cospetto di una persona viva e vitale, là dove nessuno si aspettava di vederne alcuna. Ce l’hai insegnato tu».[1]
Moltissimi suoi studenti ricordano e raccontano che Serianni era solito correggere le prove scritte con una penna aggiuntiva, oltre alla leggendaria “matita bicolore” (punta rossa per gli errori lievi, punta blu per gli errori gravi), il Professore teneva a portata di mano sulla scrivania anche una matita a punta verde per evidenziare le note di pregio, meritevoli di rilievo, rivelando così un garbo particolare nel ‘correggere’ gli errori. Attraverso una ricercatezza stilistica, una delicatezza lessicale e/o linguistica, evidenziava con quella matita verde un dettaglio particolarmente accurato e ciò conferiva un “valore aggiunto” alla prova esaminata, che andava a bilanciare in positivo il computo realizzato “per difetto”, sulla base della sola considerazione degli errori. Valutati gli errori, egli non ometteva dunque di valorizzare il tentativo positivo di chi aveva provato ad esprimere le proprie idee, la propria personalità. In un suo scritto Luca Serianni si sofferma sul concetto di “giusto” e di “sbagliato”, individuando a tal riguardo un terzo polo:
«Tra i due poli “giusto” / “sbagliato” si situa una zona grigia, in cui il parlante nativo può avere dubbi e incertezze, dipendenti da vari fattori: la sua cultura e il conseguente grado di sicurezza linguistica che ne scaturisce; la sensibilità per fatti di lingua e l’aspirazione al prestigio sociolinguistico; il contesto in cui agisce (le preoccupazioni normative saranno minime nell’ambiente familiare o nei “gruppi di pari”, massime in condizioni formali, per esempio interagendo con un esaminatore o con un superiore gerarchico)».[2]
Serianni è stato un accademico di primario rilievo con il cuore e la mente costantemente rivolti ai discenti, agli alunni, ai quali trasmetteva il valore edificante del sapere: l’insegnamento è stato da lui vissuto e professato come una missione. Ogni educatore, affermava il grande accademico, non può permettersi di essere pessimista poiché investe sul futuro, scommette sulle generazioni di domani, indaga il fuoco che si può accendere nelle anime altrui, non è un narcisistico esportatore della propria fiamma.[3]
Attento, preciso, impeccabile, puntualissimo, Serianni, che telefonava personalmente agli studenti per avvisarli dello spostamento di data di un esame, come ricorda Antonelli, dichiarava :
«La forma certo non è tutto». Pausa. «È solo il 95 per cento». [4]
Personalità indubbiamente speciale, in ogni sua parola traspariva la cura, la dedizione, la gioia di comunicare generosamente e, da ‘vero‘ professore, si muoveva di continuo in Italia e fuori per comunicare conoscenza, non soltanto negli ambienti accademici, ma anche nelle scuole.
Linguista di fama internazionale, Luca Serianni ha così dedicato 38 anni della sua vita allo studio della parola pubblicando una miriade non solo di libri scientifici, ma anche più facilmente abbordabili. La sua chiarezza era illuminante, le sue lezioni incantavano e conquistavano gli studenti, così come le sue conferenze. Le sue opinioni sull’insegnamento accademico, di cui proprio tutti dovrebbero tenere conto, sono del resto lapidarie:
«L’allievo bravo, ossia non solo vivace intellettualmente e culturalmente, ma anche determinato a raggiungere i suoi obiettivi, è bravo indipendentemente dai maestri che ha incontrato nella sua carriera e i maestri assolvono il loro compito se si limitano a riconoscere i talenti e a valorizzarli senza coartare in nessun senso le rispettive inclinazioni di studio e di ricerca».[5]
Pur conoscendone a fondo tutti gli aspetti, la retorica era assente dal suo modo di esprimersi era infatti limpido, logico e sempre sostenuto da una sete di conoscenza. Nella sua ultima lezione alla Sapienza fu infatti breve e, rivolgendosi agli studenti ,espresse il pensiero fondativo di tutto il suo lavoro:
«Sapete cosa siete per me? Voi per me siete lo Stato».
Si tratta di una dichiarazione considerevole, alta, severa, che esprime un’etica profonda del lavoro e della vita, scevra da inutili sentimentalismi e segno di un impegno morale e civile, una guida cui molti dovrebbero attenersi.
Nella sua laboriosa sobrietà, scrive Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, Serianni era un “ francescano” della parola.[6] Egli aveva l’animo e l’ardore di un grande cristiano formatosi a contatto con la Bibbia e con i testimoni della spiritualità cristiana. Uno spirito quasi francescano che si esprimeva nella semplicità umana, nella generosità verso gli studenti, spinto verso un consapevole ideale.
Nella sua lucida intelligenza c’era spazio per il sogno, tanto che il suo indirizzo di posta elettronica si legava a Bandelisco una città immaginaria, sognata da bambino; il suo amore per Verdi sottolineava inconfutabilmente il suo lato profondamente umano che tutti amavano.
Ricordo alcune serate trascorse assieme, il suo delicato senso dell’umorismo, il suo sorriso confortante quasi in contrasto con l’espressione intensa e severa del volto e i suoi modi contrassegnati da una elegante ‘sprezzatura’. Per quanto mi riguarda ho sempre sentito una distanza siderale rispetto alla sua sapienza e alla sua personalità. Tuttavia una volta gli chiesi un parere su un mio testo da presentare a un convegno della Bibliotheca Hertziana. Dopo averlo letto mi telefonò e mi disse: «Brava Stefania!». Ricordo ancora nitidamente la sua voce. Rimasi commossa e gratificata. È stato uno dei rari momenti in cui sono stata fiera di me.
Ti ringrazio ancora caro, irripetibile Luca, con immensa tristezza nell’animo.
Stefania MACIOCE Roma 22 Luglio 2022
NOTE