di Massimo PULINI
Al centro di una concitata scena, che al pari di un terremoto lascia a terra macerie, ingranaggi lignei ormai divelti e armi abbandonate, si erge impassibile la figura di Santa Caterina d’Alessandria. Colonna di una fede che non si scompone nemmeno di fronte al supplizio della ruota, la martire inginocchiata interloquisce con un angelo appena sceso da uno squarcio di cielo. Ai lati gli sgherri si contorcono per i colpi ricevuti o accennano alla fuga, nella paura di un altro strale.
L’agiografia della santa principessa egiziana vuole fossero alcuni fulmini a distruggere gli strumenti di tortura e il messo alato di Dio sembra chiedere alla giovane cristiana se il proprio compito sia stato sufficiente o si rendano necessari altri servigi.
Il piano nel quale si svolge il martirio si presenta precisamente come un teatro, un palco illuminato da una luce laterale e diagonale che rileva chiaroscuri notturni e trasforma l’episodio in una dimensione onirica nella quale le figure vengono isolate in gruppi recitativi.
Straordinario l’incastro dei due soldati nel primo piano di sinistra, la contrazione ghignante di quello a terra e il manigoldo in piedi che lo scavalca, incurvato nella pavida attesa del prossimo tuono. L’accurata descrizione delle vesti la ritroviamo anche nell’armigero di destra che ha ancora l’elmo piumato in capo e fugge con la lancia in mano, volgendo la testa verso il cielo e mostrandoci un’espressione sgomenta.
A terra formano una metafisica natura morta i sassi sparsi qua e là, le tavole sfasciate, le spade cadute di mano e mentre tutti stanno per allontanarsi la giovane seminuda sembra proseguire tranquilla la propria preghiera.
Seppur apparentemente complessa la composizione vive di una sobrietà di fondo, che si esprime nelle superfici tornite e talvolta geometriche, nell’affusolarsi dei corpi e in una luminosità che mira a semplificare l’intera visione. Sono questi elementi a rendere il racconto essenziale e a indicarci la via per identificare l’autore dell’opera, transitata anonima sul mercato antiquario nazionale.
Le esili strutture fisiche, il caravaggismo di primaria natura e la gestualità sospesa riconducono infatti alla mano e alle opere del siciliano Mario Minniti, che del Merisi fu amico sin dai primi tempi romani, modello di tante pose e anche l’unico allievo che condivise col genio lombardo il duro e pericoloso periodo di contumacia.
Nel raro catalogo dell’artista Siracusano l’aggiunta di questo Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (Fig. 1) (olio su tela, cm. 54 x 74) assume una eccezionale importanza documentaria, mostrandoci i talenti narrativi di Minniti anche in dimensioni raccolte, entro le quali risultano ancor meglio espressi i livelli di qualità e di invenzione.
Viene alla mente il Martirio di Santa Lucia del Palazzo Bellomo di Siracusa (Fig. 2) e in modo ancora più puntuale si possono cogliere parentele col più articolato Miracolo di Santa Chiara del medesimo Museo Regionale (Fig. 3).
Anche in quel caso il miracolo scaturito dalla visione del calice sacro sbaraglia e mette in scompiglio i soldati che assediavano il convento. La scena che si esemplifica nel proscenio, con gli armigeri che tentano di rialzarsi e fuggire, sembra una variante dell’opera appena ritrovata. Se si esclude la visione del mare in tempesta, che ha le fattezze e i modi di un grande ex voto, avremmo un dipinto gemello del nuovo Martirio di Santa Caterina.
Il soldato che si volta all’indietro mentre scappa, mutato solo di qualche abito e aggiunto di corazza, è lo stesso della tela riemersa.
Le fisionomie di alcune figure si rintracciano anche dentro a quel vasto repertorio di venticinque volti dispiegato nel Miracolo della Vedova di Naim del Museo Regionale di Messina (Fig. 6).
L’uomo inginocchiato e visto di scorcio, ha forme, baffi e pizzetto che ritornano nel soldato con la faccia a terra, mentre l’apostolo (da identificare in San Giovanni evangelista) che interloquisce con gli ultimi arrivati all’estrema sinistra del quadro messinese, pare fratello di Caterina, oltre che del San Giovanni evangelista di Malta.
Questo nuovo Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, iscrivibile intorno al 1625, nel documentato periodo siracusano, si attesta come una delle opere più strettamente e sinceramente caravaggesche di Mario Minniti, l’amico siciliano che svolse un ruolo fondamentale negli anni più bui e difficili del Merisi.
Un amico che fu testimone diretto delle sue fasi creative e delle crisi, che ne ammirò lo stile senza pedissequa imitazione nemmeno dopo la morte di Michelangelo, ma restituendone l’essenza in una forma sensibile e quasi pudica, segno di un rispetto assoluto nella coltivazione del ricordo.
Massimo PULINI Bologna 23 dicembre 2021