di Nica FIORI
Qualche anno fa la ricostruzione per anastilosi di una sequenza di sette colonne nel Foro della Pace a Roma suscitò qualche perplessità ed è forse per questo che il cantiere di un complesso intervento di anastilosi nella Basilica Ulpia è stato aperto lo scorso novembre quasi in sordina, senza la solita presentazione alla stampa, che accompagna quasi sempre il progetto di un restauro.
Forse si temono critiche e polemiche da parte di chi pensa che si tratti di un’alterazione del paesaggio urbano ormai storicizzato.
Si tratta, in realtà, di un intervento che mira alla valorizzazione del sito, facendo uso di una tecnica di riedificazione generalmente accettata in campo archeologico, che utilizza pezzi originali di una costruzione andata distrutta, per dare l’idea del suo alzato. Molto spesso i resti dei templi e altri edifici che si vedono nei siti archeologici sono il frutto di operazioni di questo tipo. Se la distruzione è recente e i pezzi, sia pure frammentari, non si sono dispersi, il risultato è molto vicino alla situazione precedente, come è avvenuto per il portico della chiesa di San Giorgio in Velabro, ricostruito dopo l’attentato del 1993 che ne aveva causato il crollo quasi totale. In altri casi ci si è limitati alla semplice elevazione di colonne e pochi altri elementi architettonici.
Nel caso della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano, ad alcune colonne in granito della navata centrale, che sono state già sollevate diversi decenni fa, verrà sovrapposta una trabeazione e al di sopra saranno montate delle colonne in cipollino verde (con i loro capitelli corinzi), che in precedenza erano state collocate in una posizione errata nell’ambito della stessa area. Inoltre verrà riproposta parte della pavimentazione interna e della scalinata di accesso alla basilica.
Come si vede dall’immagine esposta al di fuori del cantiere, l’aspetto della Basilica Ulpia cambierà grazie a un alzato di 23 metri, che verrà ricostruito secondo le dovute normative antisismiche, con tiranti in acciaio inox, mimetizzati all’interno delle colonne del secondo ordine, che permettono l’ancoraggio delle stesse al piano di calpestio del foro. Dei lavori si sta occupando un team di imprese vincitrici dei bandi con capofila la SAC (società appalti costruzioni spa): società che tra le altre cose ha realizzato a Roma il MAXXI progettato da Zaha Hadid e a Firenze il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino di ABDR.
L’intervento, come accade sempre più spesso, è stato finanziato da un donatore straniero. In questo caso si tratta del ricchissimo imprenditore e filantropo russo (di origine uzbeka) Alisher Usmanov, che venne convinto nel 2014 dall’allora sindaco Ignazio Marino a donare un milione e mezzo di euro.
Ricordiamo che fu sempre negli anni della giunta Marino che si cercò di rilanciare l’area archeologica compresa tra il Colosseo e piazza Venezia, con la chiusura al traffico di via dei Fori Imperiali e con la riedificazione delle sette colonne in granito del Foro della Pace. Fu sempre in quel periodo che vennero realizzati gli spettacoli notturni multimediali di Piero Angela e Paco Lanciano nel Foro di Augusto e nel Foro di Cesare, e l’illuminazione notturna di Vittorio Storaro.
La Basilica Ulpia, che deve il suo nome alla gens Ulpia, cui apparteneva l’imperatore Traiano (98-117), si trova all’ombra della celebre Colonna coclide, nel Foro che può essere considerato una sorta di “biografia di marmo” dello stesso Traiano, un foro del quale i lavori di scavo degli ultimi anni hanno riportato alla luce una grande area prima obliterata dal giardino di via Alessandrina, adiacente a via dei Fori Imperiali.
Nella storia romana sono ben poche le personalità che hanno lasciato di sé un ricordo positivo come Traiano. Tutte le doti che si richiedevano all’uomo di stato erano in lui concentrate, tanto da essere idealizzato nei secoli come l’optimus princeps per eccellenza. Il suo regno coincise con la massima espansione dell’Impero e la morte lo colse subito dopo aver realizzato il sogno di intere generazioni, la sconfitta dei Parti e l’espansione in Oriente sulle orme di Alessandro Magno, anche se si trattò di un successo effimero, perché già il successore Adriano dovette rinunciare a parte delle sue conquiste perché indifendibili.
Dura invece da diciannove secoli l’impronta inconfondibile da lui data alla città con il suo foro, realizzato tra il 107 e il 113 d.C. con i proventi delle guerre daciche. Si differenzia da tutti gli altri fori per l’originalità delle concezioni artistiche del suo architetto Apollodoro di Damasco (50/60 – 130). Già artefice del grande ponte sul Danubio che aveva dato il via alla campagna di Traiano contro i Daci, il siriano Apollodoro rivoluzionò l’assetto urbanistico dell’area tra il Campidoglio e il Quirinale, eliminando la sella che univa i due colli e un tratto delle mura serviane che sorgevano su di essa. L’altezza complessiva della collinetta rasa al suolo era di 40 metri, la stessa della Colonna Traiana, come si può dedurre dall’iscrizione sulla sua base.
La celebre colonna, che si eleva solenne nella sua candida bellezza, è uno dei monumenti più straordinari dell’arte romana, simbolo perenne di grandezza militare, di abilità politica, di cultura: un racconto storico racchiuso in un incredibile rilievo spiraliforme che si estende lungo il fusto per una lunghezza lineare di 200 metri. Ben 155 quadri descrivono le due guerre condotte da Traiano contro i Daci, separate da una figura di Vittoria che annota sullo scudo il racconto degli avvenimenti. Sono ricorrenti le scene di battaglia, di sacrificio, di allocuzione alle truppe, di costruzione di accampamenti: in tutte è costante la figura di Traiano, presenza rassicurante per le sue truppe.
I blocchi di marmo bianco che costituiscono il monumento sono stati scavati internamente in modo da ricavarvi una scala a chiocciola, illuminata da feritoie, che consente di salire sulla sommità. L’alto basamento, decorato con trofei di armi, aveva pure la funzione di cella funeraria: vi erano riposte, entro un’urna d’oro, le ceneri dell’imperatore.
Incastonata tra le due biblioteche che sorgevano ai lati della Basilica Ulpia, la Colonna era coronata da una statua bronzea dell’imperatore, mentre ora è San Pietro con le sue chiavi che ci guarda da lassù (sistemazione dovuta a Domenico Fontana all’epoca di Sisto V).
Altro elemento di originalità rispetto agli altri fori imperiali, che erano costituiti da una piazza e da un tempio, era proprio la presenza di un edificio grandioso come la Basilica Ulpia, il cui interno, suddiviso in navate, doveva forse richiamare la disposizione degli accampamenti militari nel quadro dell’esaltazione complessiva delle gesta di Traiano “imperatore-soldato”.
Le navate erano cinque, con quella centrale molto più larga, ed erano separate da file di colonne di granito grigio d’Egitto, mentre due emicicli chiudevano i lati corti. La presenza di un secondo piano permetteva di assistere ai processi che si tenevano al piano terra. Questa costruzione, che fungeva da enorme tribunale, si presentava all’esterno con un’altezza di circa 40 metri che nascondeva completamente alla vista la Colonna Traiana dalla piazza del foro.
L’esterno era decorato da un ampio colonnato al piano terra, mentre al piano superiore rilievi raffiguranti trofei di guerra si alternavano a statue di prigionieri Daci. Alcune statue e frammenti della decorazione sono esposti nel Museo dei Fori Imperiali all’interno dei Mercati di Traiano.
Nel corso del Medioevo la Basilica in parte crollò e in parte fu demolita per ricavare materiale da costruzione. Al suo posto sorsero altri edifici, distrutti nell’ambito del vasto programma di sistemazioni urbanistiche volute dal Governatorato francese (1812-13) allo scopo di liberare le antiche rovine. Dopo il ritorno del Governo Pontificio, la sistemazione dell’area fu terminata nel 1820 per volontà di papa Pio VII e, grazie all’inserimento dei reperti di scavo entro un recinto, la sua sistemazione museale (il cosiddetto Museo delle Rovine) rappresentò una tendenza innovativa per la sua epoca.
Negli anni Trenta del Novecento ci fu l’allargamento dell’area di scavo ottocentesca verso l’Altare della Patria. L’apertura di via dell’Impero e la creazione delle cosiddette esedre arboree sui lati della via a partire da piazza Venezia avrebbero imposto l’obliterazione dell’area di nuovo scavo, ma per fortuna si decise di salvare l’area, che venne coperta con una soletta in cemento armato, per lasciare accessibili gli spazi sotto i giardini soprastanti, che vennero adibiti a esposizione di materiali di maggior pregio e a depositi. Fu sempre in quegli anni che nell’area archeologica si tirarono su i fusti delle colonne della navata centrale, completati con integrazioni in mattoni.
Risalgono invece al nostro secolo le indagini archeologiche, che hanno permesso nelle due campagne di scavo eseguite tra il 2001 e il 2004 sotto Palazzo Roccagiovine (sede della Fondazione Fendi) di analizzare una parte limitata, ma significativa, della porzione ancora non scavata della basilica traianea, riportando in luce una parte delle due navate corte nord-orientali, oltre a parte dell’emiciclo orientale.
L’intervento di anastilosi attualmente in fase d’opera è, in un certo senso, il proseguimento di quello risalente agli Anni Trenta del secolo passato, e dovrebbe aiutare i non addetti ai lavori a comprendere meglio la struttura della Basilica Ulpia, rispettando il criterio della riconoscibilità delle integrazioni moderne, che devono essere sempre reversibili.
Nica FIORI Roma 16 Gennaio 2022