di Giulio de MARTINO
La mostra dentro la mostra. Il format dentro il format:
una formula già vista in altri musei, ma a Palazzo Altemps efficace e ben gestita. Il visitatore è invogliato a uno sforzo bifocale: una statua, un bassorilievo, una foto in b/n che magnifica un dettaglio e poi – in alcuni punti raccolti, in altri disseminati – i dipinti e i disegni di Filippo De Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956). Un poligono dell’arte di cui il visitatore è il vertice.
La mostra “Filippo De Pisis a Palazzo Altemps” completa il percorso realizzato al Museo del Novecento di Milano da Pier Giovanni Castagnoli – con il decisivo sostegno dell’Associazione per Filippo de Pisis – con Alessandra Capodiferro per il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps. La meraviglia è che, mentre in altri casi si guardano le opere dell’artista contemporaneo come in dissolvenza rispetto alle emozioni e alle dimensioni delle testimonianze classiche, qui succede il contrario: l’estro grafico e il cromatismo di De Pisis ci precedono e accompagnano nel mentre che osserviamo dei, eroi, personaggi di pietra e marmo.
L’intento non è di mettere in luce i rapporti fra de Pisis e l’antico – fu a Roma dal 1920 al 1924 e poi, più volte, in seguito – o di rintracciare temi e icone classiche nei suoi disegni e dipinti. Lo sguardo sull’antico è già diventato uno sguardo del contemporaneo. Il nuovo modo di esporre l’arte classica – senza le accumulazioni e i paludamenti archeologici di alcuni decenni fa – crea allestimenti, scorci e scenografie innovative, consente e facilita l’integrazione di orizzonti fra il classico e l’attuale.
La mostra romana è più limitata di quella milanese – interamente dedicata a de Pisis e al suo attraversamento delle arti visive – ma egualmente intensa. Espone ventisei dipinti e un’ampia selezione di carte e acquarelli. Consente di fare luce su di un artista che è stato tra i più misteriosi e affascinanti nella lunga epoca di passaggio tra le culture artistiche e la mentalità dell’ultimo ‘800 e le forme del secondo Novecento. L’agile catalogo Filippo de Pisis, curato da Pier Giovanni Castagnoli, con scritti di Maddalena Tibertelli de Pisis, Lorenza Roversi, Alessandra Capodiferro, edito da Electa 2020, consente di riflettere su tutte e due le mostre, la milanese e la romana, e ha l’efficacia di un saggio che riassume un secolo di scritture, analisi e interpretazioni di de Pisis: autore su cui si sono cimentate le più vivaci intelligenze critiche italiane da Sergio Solmi a Giuliano Briganti, da Nico Naldini a Elena Pontiggia.
A Roma, nel 1920, la Casa d’Arte Bragaglia organizzò la sua prima mostra presentando disegni e acquarelli. De Pisis considerava ancora la pittura come uno dei suoi molti interessi. La versatilità polimorfa del giovane letterato – diviso tra poesia e prosa, disegno e pittura – trova il suo primo alveo nella letteratura, nella critica, nel giornalismo. Si incanalò solo dopo, per scelta di sintesi e essenzialità, nel disegnare e nel dipingere. Anche il successo della sua interpretazione dell’avanguardia – con mostre, illustrazioni, concorsi – lo avrebbe spinto a privilegiare la mano che raffigura rispetto alla mano che scrive.
Ecco allora la prima faglia su cui ci porta a collocarci de Pisis: quella fra l’intellettuale e l’artista, fra chi osserva e descrive con piglio analitico e astrattivo e chi viene invece attratto e coinvolto nel mondo in cui si trova. La scrittura e il disegno sono tecniche divergenti, anche se, con la poesia, de Pisis cercava di tenerle vicine.
L’altra faglia è quella su cui si trova la pittura del ‘900. Un’arte che si è staccata dalla scultura antica nei materiali e nei mezzi, che si è allontanata anche dall’arte del Rinascimento, dalle sue grandi narrazioni, dalle visioni profetiche, storiche, ideologiche. Con la sinteticità del disegno, la velocità del verso, l’essenzialità dell’atto creativo, la figurazione risulta decostruita e interiorizzata dall’artista.
Per seguire gli slanci della sua mente in movimento de Pisis deve allontanarsi dell’Italia, dai luoghi della conservazione del classico, della monumentalizzazione del contemporaneo, della venerazione per il sacro. Negli anni tra le due guerre si reca quindi a Parigi e poi a Londra. Parigi soprattutto – dagli anni ’20 agli anni ’30 – è la capitale dell’arte di avanguardia, è la capitale dello scatenamento delle muse. I suoi luoghi, le sue strade, i suoi personaggi inscenano la mitologia del nuovo secolo. Il viaggio della poesia, della pittura, della musica, del teatro e poi del cinema va verso quel ‘900 che segna l’apice della liberazione ma anche della dispersione dell’umano.
Intanto, l’antico comincia a mostrare nuovi aspetti, a far emergere altre sensibilità: «Gli antichi sono i moderni» intuì il critico inglese Goldsworty Lowes Dickinson. Si può dialogare con essi al modo di Nietzsche o del Bloomsbury Group: vederli come anticipatori delle inquietudini del contemporaneo.
Il disegnare moderno si orienta verso il presente: il corpo, il marinaio, l’atleta, lo sportivo. Sono soggetti che l’arte preleva dalla statuaria e dalle pitture antiche, ma che contende alle gazzette e alla radio, al cinema e allo stadio. Lo sguardo di de Pisis resta, al fondo, lo sguardo fluente del poeta.
Giulio de MARTINO Roma 21 giugno 2020
Filippo de Pisis
Museo Nazionale Romano Palazzo Altemps, dal 17-06-2020 al 20-09-2020
Orari
Martedì-Venerdì dalle 14.00 alle 19.45 (ultimo ingresso ore 19.00)
Sabato e domenica dalle 10.30 alle 19.45 (ultimo ingresso ore 19.00)