di Generoso URCIUOLI
Generoso Urciuoli, archeologo. Dopo oltre una decina di anni passati sui cantieri archeologici, dal 2008 al 2018 ha lavorato al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino occupandosi sia del settore mostre eventi sia della gestione della Galleria di Arte Islamica. Nel 2019 si è occupato della Sabahi Collection, Galibhaf Gallery Arte e Cultura del tappeto, in veste di curatore della collezione realizzando anche alcune attività espositive. Attualmente collabora alla progettazione e realizzazione del Museo Schneiberg, un nuovo museo che a Torino ospiterà la preziosa collezione di tappeti di seta e di metallo creata per la corte imperiale della dinastia Qing (1644/1911).
Qualche giorno fa, il famoso storico dell’arte Tomaso Montanari ha scritto un articolo dal titolo “La Sindone, quel fake profondamente umano” (Il Venerdì di Repubblica, 24 aprile 2020, pag.79), all’interno del quale ha affermato che l’immagine sul telo di lino sia una pittura. Non entro nel merito di come si sia potuta formare quell’immagine ma bensì mi concentro su un’altra affermazione realizzata dallo studioso legata alla tecnica di produzione del tessuto, ai telai utilizzati e alla Cina.
La carrellata di informazioni che seguono non sono proposte per gettare una nuova luce sulla datazione del telo sindonico; non si vuole entrare nel dibattito molto acceso sull’autenticità del lino funerario che ha avvolto un uomo che la tradizione identifica con Gesù; si vuole, in modo estremamente sintetico, fornire e analizzare dei dati con il filtro archeologico e in particolare dell’archeologia del tessuto, dell’archeologia della produzione e dell’archeologia del commercio, metodologie di indagine ormai ampiamente adottate.
L’articolo di Montanari riprende una tesi molto accreditata e da molti condivisa che il tessuto in lino del telo sindonico, con quella specifica tipologia di struttura con trama a spina di pesce e con rapporto ordito-trama di 3:1, possa essere stato realizzato in Europa solo a partire dal 1200 dell’era cristiana. Affermazione che si fonda esclusivamente sul fatto che il telaio usato per poter realizzare quel tessuto con quella trama compaia in Europa solo dal XII secolo d.C. in avanti. Al netto che la visone eurocentrica su cui si basa questa teoria rischia di portare a una miopia molto forte, perché si dà per scontato l’esistenza di compartimenti stagni all’interno di un mondo che sin dall’antichità stagno non lo è mai stato, in aggiunta si afferma che il telaio a pedali e a quattro licci venne, forse, inventato in Cina intorno all’anno Mille.
Stando così le cose, l’altro criterio che si applica in relazione alla “teoria del 1200” (per sintetizzare tutto il discorso telaio, trama, Europa, etc.) è quello, ampiamente superato anche in ambito archeologico, del “non presente sinonimo di non esistente”. In ambito sindonico il binomio continua ad esistere ed è addirittura enfatizzato con un “non esistente sinonimo di falso”.
L’archeologia del tessuto, pur essendo una disciplina in via di sviluppo, non si occupa esclusivamente dell’analisi delle fibre usate per realizzare i manufatti ma si occupa anche della ricerca sulle tecniche di produzione, dei processi di trasformazione dal reperimento delle fibre fino alla commercializzazione del prodotto finito. Purtroppo, allo stato attuale, una storia degli studi specifica si è sviluppata in maniera corposa solo in quelle aree in cui le particolari condizioni climatiche hanno consentito la conservazione dei tessuti. L’attenzione va naturalmente all’Egitto e questo porta la stragrande maggioranza degli studiosi a partire sempre da quel luogo e da quella civiltà che si è sviluppata lungo la Valle del Nilo, omettendo sistematicamente altre aree di produzione del mondo, adducendo come giustificazione l’apparente lontananza.
Situazione completamente ribaltata grazie agli studi di archeologia della produzione e del commercio che hanno portato alla luce e in molti casi confermato il vasto movimento di uomini, merci, idee e tecnologie che hanno caratterizzato l’antichità. I dati che seguiranno, ad esempio, vanno inseriti nel contesto della Via della Seta, un lungo, articolato, frammentato e antico percorso sul quale si muovevano uomini e merci, tecnologie e conoscenze, come ampiamente evidenziato in diversi studi sui tessuti; a titolo esemplificativo si citano “Silk: Trade & Exchange along the Silk Roads between Rome and China in Antiquity” di Berit Hildebrandt o L.Zhao e il suo saggio del 2014 “The development of pattern weaving technology through textile exchange along the Silk Road”, in Nosch, M-L., Zhao, F. & Varadarajan, L. (ed.), Global textile encounters (Ancient Textile Series 20): 49–64. Oxford.
Un percorso, sia terrestre sia marittimo, utilizzato da epoche remote e che grazie agli “intermediari” (dai Parti ai Sogdiani) ha consentito ad esempio a due imperi, quello dell’Antica Roma e quello Cinese di venire in contatto e di creare un mercato di prodotti specifici. Situazione, in ogni caso, attestata già nei secoli precedenti all’era cristiana. Stesso discorso vale per la rotta marittima che da Alessandria d’Egitto arrivava fino in India e da lì si continuava per addentrarsi sempre più a Oriente, basti ricordare il Periplo del Mar Eritreo, come documento o “le bolle di trasporto” della famosa nave oneraria Hermapollon o i diversi ritrovamenti di carichi sommersi.
Nel 2013 a Laoguanshan, provincia di Chengdue, nel sud ovest della Cina, è stata scoperta una sepoltura a camera risalente alla dinastia degli Han Orientali, dinastia che regnò per un breve periodo all’inizio del II secolo d.C. Tale ritrovamento ha fornito le testimonianze più antiche, fino ad oggi ritrovate, inerenti alle tecniche di tessitura e in particolare alla tipologia di telai usati per la realizzazione di tessuti in seta.
All’interno di questa tomba di Laoguanshan, chiamata tomba 2, sono stati trovati quattro modelli di telaio con dispositivi per orditura, riavvolgimento e avvolgimento della trama, una tipologia di macchina con una tecnica di produzione che influenzerà in maniera forte lo sviluppo dei telai nei secoli successivi. Oltre ai telai sono state ritrovate quindici statuette in legno dipinte, ognuna delle quali portava il proprio nome scritto sul petto. Con buone probabilità tali statuette erano la rappresentazione di quindici tessitori. Tutto il materiale, statuette comprese, venne realizzato delle dimensioni pari a 1/6 della grandezza naturale. La struttura di questi macchinari è risultata decisamente complessa e gli studiosi cinesi, data l’importanza della scoperta, ne hanno ricostruito i modelli e il relativo funzionamento. Non tutti i telai sono uguali: il più complesso e grande è stato denominato L. 186 (nell’immagine 1, che ne mostra una ricostruzione virtuale realizzata da Bo Long e Yingchong Xia), gli altri, più piccoli, L.189, L.190 e L.191, sono stati identificati come “pattern looms with hook rods”.
Con questi telai veniva solitamente realizzato un tessuto denominato jin silk (Zhao, F. 1999. Treasures in silk: an illustrated history of Chinese textiles. Hong Kong), con trama tabby. Nella sepoltura, tomba 2, non sono stati trovati pezzi di seta, ma frammenti di jin silk risalenti al precedente periodo, quello dei Regni Combattenti (V-III secolo a.C.) e alla dinastia Han Occidentale (II-I secolo a.C.) sono stati ritrovati in altre regioni della Cina e non solo. Esistono, infatti, centinaia di reperti che attestano l’ampia diffusione dei tessuti di seta anche in Corea, nella Mongolia del Nord (Noin-ula), in Crimea (Kertch), in Kirghisistan, e “addirittura” a Palmira. Nello specifico risalenti all’epoca dei Regni Combattenti è stata trovata nell’Altaj, a Pazyryk, una gualdrappa di seta liscia ornata con una fenice, e un frammento elaborato decorato a spina di pesce risalente al V-III secolo a.C.
Nel 1971 il sito archeologico cinese di Mawangdui ha regalato tre tombe risalenti alla dinastia Han anteriore (II secolo a.C.). Durante gli scavi sono stati rinvenuti i resti del marchese di Dai, della moglie e di uno dei figli e un corredo funerario di circa tremila reperti di straordinaria fattura e perfettamente conservati. I reperti erano custoditi insieme ai corpi all’interno di casse, ciascuna di essa inserita all’interno di due sarcofagi.
Una delle tre tombe era ancora sigillata e una volta aperta ha rivelato al suo interno il corpo mummificato di una donna immerso in un liquido di conservazione che ne ha mantenuto i tessuti perfettamente conservati dopo più di duemila e duecento anni dalla morte.
Adagiato sul sarcofago esterno è stato trovato il famoso drappo funerario in jin silk della “marchesa” Xin Zhui, un manufatto di circa 2 metri, questo dipinto e completamente decorato con il quadro iconografico suddiviso in diversi registri (immagine 2).
La seta, come tutti possiamo immaginare, è ben più complessa da lavorare del lino o del cotone. Nelle immagini si possono apprezzare dei dettagli di lavorazione del drappo della marchesa” Xin Zhui e in particolare, nel disegno realizzato da Le Wang, si evidenzia la struttura realizzativa utilizzata per la creazione della jin silk (immagine 3).
Di seguito la riproduzione dei motivi geometrici del drappo di Mawangdui con il disegno del particolare corrispondente a confronto (disegno di Jialiang Lu) (immagine 4).
E’ una panoramica altamente limitata quella che è stata proposta, ma che dovrebbe fornire già un quadro per immettere per lo meno un dubbio: la produzione tecnica cinese, ha realmente atteso l’anno Mille per sperimentare un telaio a pedali a quattro licci?
Perché a questo punto il problema del tessuto a spina di pesce non sarebbe tanto quello con cui è stato realizzato il telo sindonico ma secondo la “teoria del 1200” l’oggetto impossibile da produrre sarebbe il frammento di tessuto a spina di pesce risalente al IV-III secolo a.C. rinvenuto a Pazyryk precedentemente citato.
Generoso URCIUOLI 6 maggio 2020