di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
Antiche chiese di Roma
La BASILICA DI SANTA CECILIA IN TRASTEVERE
Piazza Santa Cecilia è una piazza caratteristica e suggestiva del quartiere di Trastevere a Roma; si affaccia su di essa un’edilizia spontanea di edifici e due o tre piani, negozi particolari fra cui un attraente fornitore di strumenti musicali, e una grande facciata barocca la cui destinazione funzionale sfugge a prima vista. L’imponente palazzo fu realizzato nel 1742 per ordine del Cardinal Troiano Acquaviva dall’architetto Ferdinando Fuga (fig.1).
Ferdinando Fuga lavorò a Roma dove fu nominato architetto dei palazzi pontifici; fra questi il Palazzo del Quirinale, allora sede del papato, a cui aggiunse un nuovo braccio detto la manica lunga e la cosidetta Palazzina, odierna dimora del Presidente della Repubblica; completò anche la vasta Piazza con il maestoso Palazzo della Consulta. La sua opera principale rimarrà la facciata di Santa Maria Maggiore sul colle dell’Esquilino.
Il Palazzo di Piazza Santa Cecilia servì a modificare il modesto edificio preesistente ma soprattutto mise in asse l’ingresso passante con la facciata della chiesa retrostante, permettendo la visione dall’esterno del complesso basilicale di Santa Cecilia; se da un punto di vista urbanistico ridefinì i confini della grande piazza, dal punto di vista funzionale offrì una struttura per l’alloggio dei sacerdoti e degli inservienti della chiesa. Il grande portale di accesso presenta quattro colonne doriche sormontate da putti: quelli delle colonne centrali sono opera di Agostino Corsini e sorreggono lo stemma del cardinale Acquaviva.
Attraversato il prospetto monumentale del Fuga si perviene ad un vasto cortile rettangolare trasformato in giardino (fig.2); lo stesso Fuga provvide ad abbassarne il livello per eliminare il dislivello fra esso e l’interno della chiesa. Questo spazio verde è racchiuso sui due lati da due monasteri: quello di destra abitato da suore francescane d’Egitto; quello di sinistra dalle suore benedettine.
Fino all’avvento di Costantino la chiesa romana non aveva ancora elaborato una nuova architettura rispondente alle proprie esigenze cultuali. Costantino, facendosi promotore nel 313 dell’editto di tolleranza nei confronti del cristianesimo e commissionando la fondazione del grande complesso dei palazzi lateranensi e dell’omonima basilica, diede il via a un nuovo e profondo orientamento politico ed architettonico.
Per la fondazione dell’episcopio, la dimora e la curia del vescovo di Roma, Costantino scelse l’estremità del Celio, a ridosso delle mura aureliane; il complesso del Laterano doveva comprendere molti spazi destinati al papa e alla gerarchia ecclesiastica, fra cui la prima residenza ufficiale del pontefice. La pianta della basilica doveva, probabilmente, già essere costituita da cinque navate e forse, fin dall’origine, era caratterizzata da una sorta di transetto (fig.3).
Accanto ad essa sorse anche un battistero di forma ottagonale, originariamente a forma circolare. In una zona prossima alle mura aureliane, nella proprietà imperiale dove Elena, la madre di Costantino, aveva stabilito la sua residenza, venne fondata la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, allestita in un ambiente del palazzo imperiale chiamato Sessorium, risalente al III secolo (fig.4).
Fatta eccezione per queste due particolari fondazioni la realizzazione di edifici cristiani riguardò essenzialmente la zona esterna alle mura aureliane, dove numerose erano le tombe dei martiri della fede. Gli esempi più caratteristici sono forniti dalle basiliche cosidette circiformi, che presentavano una pianta che ricorda la forma dei circhi, a struttura geometrica rettangolare con uno dei lati brevi costituito da una parete curva. San Sebastiano fu la prima fondazione del genere; altre basiliche circiformi sorsero sulla via Nomentana presso la tomba di Sant’Agnese e sulla via Tiburtina, dove venne fondata la chiesa di San Lorenzo extra moenia.
Sempre su impulso di Costantino si realizzarono le due costruzioni dedicate a San Pietro e a San Paolo sulla via Ostiense. Quest’ultima portata a termine da Onorio (395-424) replicò la pianta a cinque navate con transetto della basilica Laterana (fig.5).
Roma era dunque circondata da una sorta di anello attorno a cui vennero fondati i santuari dei martiri cristiani, arricchiti con ambienti destinati ad ospitare i pellegrini, quali bagni, biblioteche e in alcuni casi fonti battesimali.
Con il pontificato di Sisto III si può affermare che venne completata la trasformazione di Roma in capitale della cristianità. L’opera più grandiosa sarà la costruzione della basilica di Santa Maria Maggiore, ricostruita da papa Sisto III (432-440); la basilica a tre navate fu ornata con i famosissimi mosaici dell’arco trionfale e della navata centrale (fig.6).
Molto più tardi, nel 1700, Ferdinando Fuga l’arricchì di una fastosa facciata, profondamente chiaroscurata, con la loggia papale delle benedizioni.
Un’aula del Foro romano della Pace, comunicante con la via Sacra tramite il tempio del Divo Romolo, venne trasformata in basilica e dedicata ai Santi Cosma e Damiano. Due secoli dopo essere stato eletto a religione di stato, il cristianesimo si insediava così nel cuore pagano della città, con una straordinaria decorazione a mosaico nel catino absidale, centrata sulla figura di Cristo affiancato da Pietro, Paolo, Cosma, Damiano, Teodoro e Felice IV, il papa committente dell’intervento (fig.7).
All’interno del circuito delle mura i due principali centri cristiani del Laterano e del Vaticano costituirono una bipolarità risalente all’epoca costantiniana che lascerà la sua impronta indelebile della forma della città.
L’ascesa al potere di Pasquale 1° (817-824) vide impegnate le maestranze romane in nuovi e prestigiosi cantieri e nella costruzione e decorazione di tre complessi religiosi: Santa Maria in Domnica, Santa Prassede e Santa Cecilia in Trastevere. Vengono messi da parte i più complessi tipi di chiese di origine orientale, influenzati dalla fabbrica di Santo Sofia a Costantinopoli e si tornò ad apprezzare la semplice bellezza che nasce dalla contrapposizione tra il volume della navata centrale e quello del transetto, tra la verticalità delle colonne e l’orizzontalità degli architravi. Le basiliche dell’VIII – IX secolo si ricollegano alle grandiose basiliche della prima metà del V secolo, San Pietro e San Paolo; Pasquale 1° volle far rivivere la grande tradizione romana della Chiesa, nel quadro della renovatio di Roma e della sua storia basata sul recupero dell’architettura del proprio passato. Alla Roma imperiale, che fino ai tempi di Costantino era stata la capitale del mondo fino allora conosciuto, venne così associata quella dove Cristo aveva fondato la sua Chiesa.
Le basiliche di Santa Prassede all’Esquilino e Santa Cecilia in Trastevere appartengono decisamente al nuovo corso.
Le due chiese hanno parecchi caratteri costruttivi in comune: se a Santa Cecilia (fig.8) mancano sia il transetto che la struttura architravata – una differenza importante rispetto a Santa Prassede (fig.9) –
tuttavia rimangono tracce di un grande atrio, vi è una sola abside semicircolare, sotto la quale è ricavata una cripta ad anello e le finestre dell’abside e della navata centrale sono sormontate da archi a doppia ghiera. Inoltre anche a Santa Cecilia alla navata laterale è affiancata una cappella commemorativa, costruita sul luogo del cosidetto “bagno di santa Cecilia”; essa era peraltro a pianta circolare, anziché cruciforme come quella di San Zenone nella basilica di santa Prassede.
Le mura fatte costruire attorno a Roma dall’imperatore Lucio Domizio Aureliano nel III secolo includevano anche il quartiere posto sulla riva destra del Tevere, la XIV regione urbana Transtiberina, l’attuale Trastevere. La regione comprendeva anche il Gianicolo e il Vaticano, che costruì una propria cinta, le Mura Vaticane. Gli imperatori avevano abbellito Trastevere e in tutta l’area sorgevano giardini e ville. La disponibilità di spazi consentì uno sviluppo edilizio anche a carattere popolare.
La tradizione indica la casa in cui visse Cecilia e sulle cui fondamenta fu edificata la basilica. Gli scavi effettuati escludono la presenza di una primitiva chiesa paleocristiana mentre sicure sono le tracce delle case romane. Le persone agiate mettevano a disposizione dei fedeli alcuni locali delle loro dimore gentilizie; da qui l’uso del titulus della famiglia che concedeva i locali per il culto che queste chiese private adottavano.
Le prime testimonianze di un Titulus Caeciliae narrano di Cecilia, di famiglia patrizia della gens Cecilia, che andata in sposa a Valeriano, dichiara alla sposo la sua fede cristiana e lo persuade ad accettare il voto di castità. Si narra che il giorno delle nozze nella casa di Cecilia risuonassero organi e lieti canti, ai quali la vergine, accompagnandosi, cantava nel suo cuore: “conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinchè non resti confusa”. Per questo motivo dal secolo XV la Santa assunse il ruolo di patrona della musica (fig.10)
Per la loro fede cristiana Valeriano e su fratello Tiburzio vengono uccisi e Cecilia condannata a morire soffocata dai vapori del calidario della sua casa. Un angelo la salva dal supplizio. Condannata alla decapitazione sopravvive ai tre colpi inferti dal carnefice; la Santa fu lasciata agonizzante per tre giorni prima che spirasse.
Nei restauri del 1599 il cardinale Emilio Sfondrati fece fare una ricognizione della salma di Santa Cecilia; furono presenti studiosi eccelsi come Cesare Baronio e Antonio Bosio: il corpo della martire fu rinvenuto ancora in perfetto stato di conservazione come ai tempi di Pasquale 1°. Per tramandare il rinnovato evento miracoloso il cardinale incaricò lo scultore Stefano Maderno, forse fratello di Carlo Maderno l’architetto della facciata di San Pietro, di raffigurare la Santa in una statua che eternasse nel tempo la posizione in cui fu trovata; così venne rappresentata riversa sul fianco destro, con il volto girato verso terra e avvolto in un fazzoletto, i segni delle ferite sul collo, le mani distese con alcune dita ripiegate nel segno dell’agonia (fig.11). Fu inaugurata durante l’Anno Santo del 1600.
La basilica fatta erigere da Pasquale si presentava in origine, secondo Richard Krautheimer (Corpus Basilicarum 1937), con una forma classica secondo i dettati delle basiliche del IX secolo: la navata centrale, decisamente più elevata separata dalle laterali da tredici arcate divise da alte colonne; sopra ad ogni arcata della navata centrale si apriva un’alta finestra. Tre finestre si aprivano nella facciata verso il cortile centrale. L’abside era semicircolare con tre finestre; la cripta anch’essa semicircolare con la piccola camera contenente le reliquie della Santa in corrispondenza dell’altare maggiore.
Ai secoli XII e XIII risalgono il campanile e il portico; nel catino, secondo la regola instituita dalla chiesa di SS Cosma e Damiano al Palatino, il mosaico del IX secolo raffigurante il Redentore benedicente con i santi Paolo, Cecilia, Pasquale I e Pietro, Valeriano ed Agata (fig. 12).
Pietro Cavallini e Arnolfo di Cambio vengono chiamati a lavorare presso la basilica nella seconda metà del 1200; Arnolfo realizzerà lo splendido ciborio (fig.13);
Pietro Cavallini nel 1289-93, lascerà la sua impronta negli affreschi del Giudizio Universale, riscoperto nel 1900 sulla controfacciata della basilica, l’opera più significativa della pittura pregiottesca romana (figg.14 a-b).
Nellaseconda metà del Quattrocento si aggiungono la cappella Porziani e il cardinale Lorenzo Cybo fa coprire con volte le navate laterali; la navata centrale conserva l’affresco dell’apoteosi di Santa Cecilia di Sebastiano Conca (fig.15). Il 20 ottobre 1599 fu rinvenuto il corpo della Santa; fu commissionato a Stefano Maderno l’esecuzione della statua e fu rialzato il presbiterio sacrificando la base del ciborio di Arnolfo.
Intorno al 1741 Ferdinando Fuga costruì la grande facciata esterna isolando in tal modo i giardini e il portico della chiesa. Al centro di quello che forse era un quadriportico, nel 1929 fu sistemata la fontana sovrastata dal cantaro romano proveniente dai giardini di qualche ricca abitazione (fig.16).
Lo spazio verde è delimitato su lati da due monasteri: quello di destra, abitato da suore francescane d’Egitto; quello di sinistra abitato dalle suore benedettine, ricostruito nel XVI secolo. Le ali dei due monasteri sono raccordate al portico o nartece della chiesa, formato da quattro colonne ioniche su basi barocche e da due pilastri laterali.
Santa Cecilia in Trastevere come Santa Prassede all’Esquilino rappresenteranno gli esempi più riusciti della rinascita paleocristiana, realizzate sull’esempio delle basiliche romane del IV secolo, San Pietro e San Paolo, i secoli fondativi della grande tradizione della Chiesa romana.
Francesco MONTUORI Roma 21 marzo 2021