di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
CIVILTA’ ARCHITETTONICA DEL BAROCCO SICILIANO
Prima Parte
“L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”,
così appunta nei suoi diari, il 13 aprile 1787, Johann Wolfgang Goethe, giunto finalmente in Sicilia dopo il lungo viaggio per mare che lo aveva condotto da Napoli a Palermo.
Nei secoli diversi popoli occuparono l’isola: Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli ed infine Piemontesi e Austriaci fino alla costituzione del Regno delle due Sicilie sotto il potere dei Borboni. Ne derivò una profonda ed articolata cultura che pervase di sé la società siciliana; il governo dei vicerè spagnoli, che tennero il potere fra il 1492 ed il 1713, innestò sulla cultura siciliana, gotica ed islamica, il linguaggio del Rinascimento italiano; nel secolo successivo l’influenza della Spagna barocca si manifestò quando ormai il barocco siciliano aveva abbracciato la strada del linguaggio barocco romano.
Da questo intreccio di culture ne derivò uno stile assolutamente autonomo ed originale per ricchezza, complessità, diversità. In particolare la Sicilia sudorientale deve a questo “barocco” uno sviluppo ed un’omogeneità che non si ritrova da nessuna altra parte dell’isola.
Ma da dove deriva la particolarità del Barocco Siciliano?
Il Barocco siciliano non fu un semplice sviluppo dell’architettura rinascimentale ma fu il frutto di un evoluzione culturale tipicamente siciliana che prese le mosse dall’architettura siciliana araba-normanna.
L’architettura arabo-normanna rientra nell’alveo delle correnti architettoniche romaniche, ma in Sicilia crebbe assorbendo le influenze culturali greco-bizantine e saracene. Il dominio normanno durò dal 1070 al 1200, suoi caratteri architettonici furono l’arco a tutto sesto, le proporzioni massicce (fig.1), la decorazione in mosaico dorato, pienamente espressa nella Cappella Palatina.
All’epoca normanna si fanno risalire la Cattedrale di Cefalù (fig.2) del 1131;
il Duomo di Messina (fig.3), consacrato nel 1197,
la Cattedrale di Palermo del 1185 (fig.4).
Sarà l’architettura normanna del secondo secolo influenzare il primo barocco, ma furono i primi sei secoli, dalla Palermo islamica in poi, a costituire la civiltà architettonica che spiega i caratteri del Barocco siciliano.
Nuove èlites culturali egemoni furono l’aristocrazia nobiliare e la chiesa cattolica, il potere esercitato dai gesuiti, ma anche l’attività vasta ed importante delle maestranze locali, dei maestri di muro, degli intagliatori, degli scalpellini. Maestranze di lontane origini araba, normanna, ebrea, greco-bizantina, lavoreranno a cantieri barocchi. E’ questo miscuglio di razze, linguaggi, culture che formerà una cultura autonoma, composita, ricca di inventive, di motivazioni, di riferimenti, di comunicazione e rappresentazione del potere.
Tra il Cinquecento e il Settecento furono fondate in Sicilia circa 130 fra paesi e città. I feudatari e le oligarchie municipali, con l’aiuto del potere regio dei vicerè spagnoli, concentrano la popolazione rurale in nuovi agglomerati urbani. Il fenomeno interessò soprattutto la parte occidentale e quella centrale dell’isola; fu soltanto nel tardo Seicento che la fondazioni di nuove città riguardò la parte orientale dell’isola fino alla meridionale Contea di Modica.
Certamente, la conoscenza diretta o indiretta dei grandi architetti barocchi di Roma definirà profondamente la cultura negli ordini religiosi e in primo luogo dei gesuiti che intendevano influenzare, se non addirittura ripetere in una lontana provincia, l’immagine della chiesa madre romana.
Nel Seicento giovani costruttori siciliani, di estrazione religiosa e nobiliare, Masuccio, Giacomo Amato, Vaccarini, si recano a Roma e tornano all’isola fortemente influenzati dal Barocco romano. Il Barocco romano fu dunque un codice accettato da architetti, committenti, maestranze. Tuttavia i valori ambientali, l’influenza culturale delle differenti dominazioni subite dall’isola, la conseguente tradizione architettonica, costituirono il fondamento che per ricchezza, complessità e diversità caratterizzò con autonoma originalità l’esperienza siciliana.
Nel 1650 abbiamo i primi esempi di barocco siciliano; essi si differenziano dal barocco romano per la forte impronta della decorazione architettonica; non un semplice arricchimento architettonico bensì una tecnica che diviene parte organica ed originale dell’architettura siciliana. Il soggetto di questa decorazione è la natura ed in particolare la figura umana stessa. Essa vive negli spazi pubblici, nelle facciate delle chiese, degli edifici religiosi, nei palazzi civili: portali, balconi, scalinate urbane, saloni dei palazzi signorili o religiosi (fig. 5).
L’arte plastica dello stucco fu la tecnica tipica delle decorazioni architettoniche nelle aree culturali di influenza islamica ed il suo uso fu favorito dall’affermarsi del Barocco grazie alla facilità con cui permetteva la modellazione delle figure. Nelle chiese, cappelle, oratori gli stucchi furono ampiamente utilizzati per realizzare gli apparati decorativi delle volte, dei cornicioni, delle cupole: angeli, putti, allegorie, si affacciano dalle cupole, si sporgono da nicchie ed altari, si librano nell’aria, creando effetti fastosi e scenografici, capaci di indurre stupore e coinvolgimento, persuasione nel popolo dei fedeli.
Maestro della decorazione scultorea, e degli stucchi sarà Giacomo Serpotta; nell’Oratorio di San Domenico (fig.6)
e nell’Oratorio del Rosario in Santa Cita a Palermo (fig.7) come nella Cappella di Sant’Anna a Castelbuono (fig.8), sfonda allusivamente volte, soffitti, pareti, absidi e cupole creando spazi che si aprono all’infinita vastità e varietà della natura circostante. Una correlazione inscindibile fra natura e continuità spaziale; una connessione strettissima nata da un profondo sentimento della natura come spettacolo naturale in continuo divenire, sempre vario e mutevole, a cui l’uomo è direttamente partecipe, come attore e come spettatore, del fascino straordinario e imprevedibile della natura in teatro.
Si manifestò una intima connessione dell’architettura barocca con l’organizzazione e
l’allestimento sempre più frequente di cerimonie festive gestite e vissute come spettacolo teatrale. A Palermo l’elaborazione di complessi apparati scenografici per le festa di Santa Rosalia (fig.9) permise di realizzare nuove tecniche che creassero l’illusione di una reale compenetrazione tra fantasia e realtà, artifizio e natura, spazio reale e spazio infinito. L’artista barocco, architetto e scenografo, attore e regista, perveniva in tal modo alla fusione delle varie arti, del costruire e della decorazione barocca come della rappresentazione teatrale.
La città è lo spazio dove si manifesta il libero rapporto fra edificio ed ambiente dove lo spazio architettonico tende sempre più a porsi come limite dello spazio reale e apertura di uno spazio immaginario. Nella città barocca il ruolo della parete plastica, la facciata, non è dissimile dalla funzione della scena teatrale.
La facciata appartiene alla strada, alla piazza, dunque alla città (fig.10).
E’ un organismo complesso, articolato in cui si compensano spinte opposte, verso l’esterno e verso l’interno. Si avverte che lo spazio urbano non è più solo quello delle strade o delle piazze ma anche lo spazio di un cortile, di un androne, dello scalone di un palazzo. Questo doppia spinta verso l’esterno e verso l’interno si manifesta sia con l’emergenza di colonne, lesene, timpani, cornici, sia con la flessione della superficie con curvature concave e convesse (fig.11). E’ per mezzo della facciata che la massa articolata dell’edificio diventa un fattore generatore del tessuto della città.
Il barocco siciliano si inaugura a Palermo con l’apertura intorno al 1600 di via Maqueda, una lunga strada rettilinea voluta dal vicerè duca di Maqueda, che partendo dai giardini della periferia della città incrocia la preesistente via Toledo, allargata e prolungata già dalla fine del ‘500.
All’incrocio, i quattro canti o teatro del sole, quattro facciate simmetriche, realizzate dall’architetto Giulio Lasso, costituiranno il fulcro scenografico degli apparati allestiti in occasione delle sacre processioni (fig.12).
Aristocratici ed ecclesiasti faranno a gara per assicurarsi le aree edificabili lungo i due rettifili dedicando attenzione alla realizzazione di spettacolari facciate.
Nella Sicilia fra la metà del cinquecento e la fine del seicento operarono, fra gli altri, gli architetti Domenico Gagini, Guarino Guarini, Angelo Italia, Giacomo e Paolo Amato.
Domenico Gagini scultore e i suoi numerosi discendenti, decorarono chiese ed edifici e fra il 1531 e il 1537 completarono l’arco della Cappella della Madonna nel Santuario dell’Annunziata a Trapani (fig.13), che custodisce una statua in marmo pario della Vergine con bambino, opera di Nino Pisano. Il frontone ha pilastri decorati con busti a rilievo di santi. Architettura e scultura si intrecciano; è un primo esempio di architettura decorata con sculture.
Guarino Guarini risedette a Messina e vi realizzò la chiesa della Santissima Annunziata e la chiesa di San Filippo Neri entrambe distrutte dal terremoto; costruì la Chiesa di Santa Maria della Neve (1685-93) a Mazzarino, commissionata da Carlo Angelo Carafa principe di Butera, costituita da un’unica grande navata coperta a botte rimasta incompiuta (fig.14).
Angelo Italia, frate gesuita fu uno dei protagonisti della stagione del barocco in Sicilia. Nella chiesa madre di Palma di Montechiaro, posta a conclusione di una lunghissima scalinata, libere colonne avanzano da un fronte che si organizza autonomamente (fig.15).
Paolo Amato, allievo di Angelo Italia fu spesso incaricato della progettazione di carri e apparati effimeri per la Festa di Santa Rosalia. Aveva costruito una squadra di marmorari e scalpellini che contribuirono ad arricchire le sue opere con spettacolari decorazioni. Il figlio Giacomo Amato si recò a Roma dove ebbe l’occasione di formarsi alla scuola di Carlo Rainaldi; rinnovò, anche grazie agli insegnamenti del maestro romano, le chiese palermitane di Santa Maria della Pietà e Santa Teresa alla Kalsa (fig.16). Un barocco ancora contaminato dalla forte presenza del manierismo rinascimentale.
Era il 1693 quando un terremoto di inusitata violenza distrusse paesi e città della costa orientale dell’isola. Il sisma, con epicentro Catania, danneggiò gravemente più di cinquanta fra paesi e città. Noto fu completamente rasa al suolo; Catania, Ragusa, Modica, Scicli, Militello subirono danni gravissimi, più di centomila furono le vittime.
La Sicilia era ancora sotto il controllo spagnolo ma nei fatti governata dagli esponenti della aristocrazia locale e dalla chiesa cattolica attraverso le congregazioni religiose e in primo luogo dai Gesuiti. Il governo guidato dal duca di Camastra, nominato vicerè dagli spagnoli, e dal suo fedele collaboratore Carlos de Grurèmberg, era espressione delle famiglie nobiliari. Grazie alle ricchezze degli ordini religiosi città, villaggi, chiese, monasteri, palazzi furono ricostruiti secondo i nuovi canoni stilistici del Barocco siciliano. La grande spinta edilizia raggiunse il suo apice verso la metà del XVIII secolo.
Il Duca di Camastra, consapevole delle moderne realizzazioni in campo dell’urbanistica, piuttosto che ripristinare l’antico tessuto medioevale, costituito peraltro da vicoli ristretti assai pericolosi per gli abitanti in caso di nuovi prevedibili terremoti, progettò di creare, ove possibile, spazi urbani continui, strade ampie e diritte e vaste piazze. Scelse quindi schemi urbani organizzati da una griglia a scacchiera (fig. 17).
Architetto importante per la ricostruzione di Catania fu Giovan Battista Vaccarini. Laureato in filosofia e matematica, esponente di una nuova classe di architetti provenienti dagli ordini religiosi, si forma a Roma alla scuola di Carlo Fontana; vide e studiò Bernini e Borromini. Diede un importante contributo alla ricostruzione dell’impianto urbanistico di Catania: nella piazza centrale della città su cui convergono tre grandi strade, una sorte di tridente romano, costruì il Palazzo di Città. Nel restauro della Cattedrale di Sant’Agata, grazie a un progetto ufficialmente approvato dall’Accademia di San Luca, ci lascia una nuova facciata movimentata da colonne e specchiature alternate di marmi bianco e pietra lavica.
L’impresa più impegnativa sarà tuttavia il complesso del monastero benedettino e della relativa chiesa di San Nicolò all’Arena, certamente incompiuta ma con una originale facciata dominata da enormi rocchi di colonne marmoree (fig.18).
Cinquanta anni dopo la grande catastrofe Catania poteva nuovamente mostrare un nuovo volto di grande magnificenza. Come scriverà nel 1761 A. Leanti in “Lo stato presente della Sicilia”,
“le strade sono diritte, ben larghe e lunghe; spesso ai loro estremi appare la vista delle chiese e dei palazzi. Quasi tutti gli edifici sacri e profani, ancorchè bassi per timore di tremuoti, vanno adorni di superbissimi intagli e di commendabili pezzi d’architettura.”
Spazi urbani continui, ricchi di episodi architettonici, di chiese e palazzi monumentali, ma anche tessuti edilizi arricchiti da portoni, balconate, mensole e ringhiere, imprevedibili decorazioni.
Siracusa e Noto saranno gli esempi più significativi della ricostruzione.
Una profonda modificazione dell’habitat rurale siciliano si verifica nel XVIII secolo; la marina attrae ora la maggior parte della popolazione. Si fondano nuovi villaggi sulle strade che si dipanano da Catania a Messina e da Messina a Capo d’Orlando.
Lungo la costa orientale della Val di Noto, all’indomani del terremoto sono le città, Catania, Noto, Ragusa, Modica ad imporre nuove soluzioni, scelte urbane di risistemazione o di costruzione di nuovi quartieri che fungono da modello per i borghi integralmente distrutti. Saranno i feudatari ed i liberi imprenditori stessi all’origine dei nuovi villaggi; rari i casi in cui gli architetti furono coinvolti.
In ogni caso la ricchezza architettonica e monumentale della Sicilia sudorientale sta a testimoniare la profonda trasformazione dei villaggi preesistenti. Il nuovo spazio urbano si popola di palazzi e chiese che scandiscono le prospettive di piazze, chiese, scalinate monumentali. Il Barocco siciliano diviene un’esperienza del tutto autonoma rispetto al barocco romano. Andrea Palma, Rosario Gagliardi, Vincenzo Sinatra adattarono i loro progetti alla tradizione ed alla cultura locale.
A Noto, nella prima metà del settecento, Vincenzo Sinatra innalza dal Convento benedettino, come una torre medioevale, la chiesa del Santissimo Salvatore, alleggerita nella sua verticalità, da un ritmo di partiti concavi e convessi con ampie finestrature (fig.19).
A Ragusa la chiesa di San Giorgio di Rosario Gagliardi sfrutta la difficile topografia del sito collinare su cui la chiesa si erge come una torre campanaria (fig.20); la verticalità è accentuata da colonne e pilastri rastremati appoggiati alle pareti ricurve; al di sopra di porte e finestre i timpani si flettono con un senso di libertà.
La soluzione viene replicata nella chiesa madre di San Giorgio a Modica (fig.21), posta in fondo ad una lunga scalinata, parte integrante della composizione,
e a Scicli nella chiesa di San Bartolomeo (fig.22).
Un’inedita tipologia ed un linguaggio del Barocco siciliano ormai del tutto autonomo rispetto a quello dei maestri romani.
Francesco MONTUORI Roma 6 dicembre 2020