di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
CIVILTA’ ARCHITETTONICA DEL BAROCCO SICILIANO
seconda parte
SIRACUSA , UNA PIAZZA BAROCCA
Il terremoto del 1693 colpì duramente i centri della la costa orientale della Sicilia, Catania, Lentini, Augusta, Siracusa, Noto, Ragusa.
Siracusa, che era stata nel Seicento piazzaforte militare degli Spagnoli, fu restituita verso la fine del secolo all’amministrazione civile che si adoperò in un intensa opera di ricostruzione; il Senato della città guidò i suoi architetti comunali, vennero ripresi gli antichi allineamenti della città greca su cui era stata edificata l’edilizia conventuale religiosa seicentesca.
Carlos De Grunembergh, che lavorò alla ricostruzione della vicina Noto, fortificò la città per prevenire un attacco dal mare della penisola di Ortigia, nucleo antico della città (fig.1).
Il rinnovamento della città fu sostenuto dal clero e dalle confraternite; i gesuiti ricostruirono le loro sedi; le maestranze artigiane sempre presenti ed in definitiva la più ricche di esperienza figurativa e di capacità esecutiva, furono impegnate nel restauro delle chiese madri che arricchirono con una sontuosa decorazione barocca. La ricostruzione impegnò i siracusani per tutto il XVIII secolo.
“Mi infiltrai in un paio di stradine così strette che non c’era bisogno di sporgersi per toccare i muri; alla fine sbucammo nella bella e ariosa piazza della Cattedrale … L’antico tempio greco di Atena è stato armoniosamente avvolto dal bozzolo dell’edificio cristiano senza tentare di dissimularne la modernità”.
Così descrive la sua esperienza della città Laurence Durrel che visitò la Sicilia intorno al 1960. E’ un viaggio a cui si era preparato e che si è portato dentro per decenni ma senza mai compierlo effettivamente. Per Durrel la storia della Sicilia inizia con la sua assimilazione alla civiltà greca; e’ proprio su Siracusa che i greci esercitarono la loro massima influenza politica e culturale, lasciandovi un’impronta fondamentale; Siracusa divenne una grande città della Magna Grecia, il suo teatro poteva ospitare ben 15.000 spettatori.
La Cattedrale domina sulla bella e ariosa piazza (figg. 2 e 3).
Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, aggiungete una facciata normanna che verrà abbattuta dal grande terremoto del 1693. Sostituite allora la vecchia facciata con una nuova composizione barocca; libere colonne avanzano dal fronte profondamente chiaroscurato. Alcune antiche incisioni ci mostrano un campanile addossato alla precedente facciata normanna; ma il campanile fu totalmente distrutto dal terremoto del 1693. Nella ricostruzione successiva all’evento sismico l’idea del campanile fu abbandonata.
Sappiamo che il vescovo Tommaso Marini lanciò un concorso per realizzare la nuova facciata e che il concorso fu vinto dall’architetto Andrea Palma. La nuova facciata si sovrappone all’antico edificio risultante dal riuso bizantino del tempio di Atena eretto dai greci nel 480 a.C.; il Palma si rifece probabilmente alla facciata barocca di S. Maria in Campitelli del Rainaldi, che vide certamente a Roma; anche qui colonne isolate su due ordini sovrapposti, rendono la facciata non una semplice quinta ma un chiaro volume architettonico, un primo esempio di facciata-campanile, una delle invenzioni tipiche del barocco siciliano (fig.4).
Sul fianco sinistro della chiesa in piazza Minerva, la lunga navata laterale denuncia, per metà murate nella parete, dodici delle quattordici colonne dell’antico tempio dorico di Atena che sorreggono una trabeazione spartita da triglifi (fig.5). Esse preannuncino la soluzione architettonica dell’interno della cattedrale.
Si accede al Duomo da un vestibolo ricavato nel raddoppio della facciata; lo spazio rettangolare del vestibolo è impreziosito da due colonne tortili, ornate da viticci, addossate al portale centrale (fig.6).
L’interno assunse nel VII secolo impianto basilicale a tre navate con ingresso dal lato opposto all’ingresso del tempio di Atena. La navata laterale destra è scandita da otto colonne doriche incassate nella muratura, gli imponenti resti del tempio che fanno di questa cattedrale un unicum, una soluzione eccezionale del rapporto fra antico e moderno (fig.7 e 8).
Essa testimonia che ogni nuovo invasore arrivato ad Ortigia, ogni sostenitore di una nuova fede, sembrava ispirato dal desiderio di preservare e proteggere, piuttosto che cancellare, le tracce delle architetture e del culto religioso che l’avevano precedute; così le colonne doriche del tempio greco furono incorporate dai bizantini nelle mura di una chiesa cristiana, trasformata a sua volta in una moschea dai saraceni, poi riconsacrata dai normanni, e infine ricostruita secondo i principi della civiltà architettonica del barocco siciliano.
La ricostruzione si svolse sotto la guida di Luciano Caracciolo, un capomastro cui spetterà un ruolo rilevante nelle scelte architettoniche ed urbane. L’intervento più significativo riguardò gli edifici eretti sull’invaso della piazza della Cattedrale.
La piazza ha la forma caratteristica di un fuso allungato; uno dei lati, quello dove si affaccia la grande chiesa, è pressocchè rettilineo; il lato opposto ha la forma di un arco di cerchio tiratissimo, il suo centro è individuabile all’incirca nell’altare della Cattedrale; ai due estremi dipartono due strette strade, la via Landolina a nord e la via Pincherali a sud; sulla piazza si affacciano, oltre al nuovo fronte della Cattedrale, la chiesa di Santa Lucia alla Badia, riedificata nel 1695 e numerosi palazzi barocchi, ricostruiti e restaurati dopo la catastrofe del terremoto: la chiesa del Collegio dei Gesuiti, il Palazzo Arcivescovile, il Palazzo di Città, il Palazzo Beneventano del Bosco; il Museo Archeologico. Gran parte dell’attuale assetto e dell’architettura barocca della città fu dunque realizzato dalla seconda metà del Seicento e il Settecento (fig.9).
La grande chiesa del Collegio dei Gesuiti è situata sulla via Landolina poco prima dell’accesso sulla Piazza del Duomo. E’ la più grande chiesa di Ortigia. I gesuiti non deludono mai, fanno sempre le cose in grande, grazie alle potenti risorse finanziarie di cui dispongono; la chiesa venne dedicata ai Santi Giuseppe e Ignazio di Loyola.
Realizzata dall’architetto Francesco Bonamici nel 1647 ci vollero 52 anni per terminarla. Dopo il terremoto del 1693 fu restaurata da Pompeo Piderali secondo l’impianto preesistente a tre navate con gli altari incassati nei muri perimetrali ed il tema dell’arco su colonne.
La facciata della Cattedrale di Andrea Palma è inserita fra due edifici, il Palazzo di Città e il Palazzo Vescovile.
Opera dichiaratamente barocca di Giovanni Vermexio, il Palazzo di Città, municipio di Siracusa, sorge all’ingresso della via Landolina sulla piazza principale (fig.10).
Il Palazzo di Città è un perfetto cubo volumetrico diviso a metà da un lungo balcone in ferro battuto che separa i due piani; quello inferiore a pilastri bugnati e quella superiore con paraste con capitelli ionici che entrano a far parte di un fregio continuo; le finestre si alternano a nicchie entro cui vennero alloggiate statue marmoree; l’attico è un aggiunta posteriore. Qui l’architetto rispetta la tradizione rinascimentale del volume compatto rotto dal balcone continuo impostato sulla trabeazione del primo ordine. I balconi dell’ordine superiore sono sostenuti da brevi aggetti sostenuti da mensole aventi una eccezionale figurazione scultorea e un fregio di collegamento fra i capitelli.
Sul fianco opposto della cattedrale si erge il Palazzo Vescovile, sede dell’Arcidiocesi della città, eretto nel 1618 per iniziativa del vescovo spagnolo Giovanni Torres secondo i dettami architettonici tardo manieristi dall’architetto Andrea Vermexio padre di Giovanni (fig.11).
Di fronte al Palazzo di Città, il Palazzo Beneventano del Bosco, ex Commenda Borgia, delimita la piazza dal lato est (fig.12); è dislocato all’inizio della piazza, di fronte al Palazzo di città.
L’edificio possente risale al XIV secolo e fra XV e XVI secolo fu sede della camera Reginale; in seguito divenne sede della Commenda dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Il barone Guglielmo Beneventano lo acquistò nel 1778 lo ristrutturò per adeguarlo alle necessità familiari. I lavori vennero affidati all’architetto Luciano Alì che li completò nel 1788.
La facciata del Palazzo è un esemplare tardo del miglior barocco siracusano. Il corpo centrale con il grande portone aggettante è incorniciato da coppie di colonne corinzie che sorreggono la balconata del secondo ordine la cui parte centrale è a sua volta scandita da paraste culminanti in un grande timpano. Il fronte termina con una balaustra piena scandita da acroteri in corrispondenza delle finestre sottostanti mentre il balcone centrale è sormontato da un grande fastigio (fig.13). La scenografia è chiusa da una pavimentazione costituita da un acciottolato bianco e nero, unico esempio rimasto intatto in tutta Ortigia.
Altri palazzi si affacciano sulla piazza; fra questi, sul lato opposto alla Cattedrale, il Palazzo Bonanno Toscano, costruito nell’800 nel luogo in cui sorgeva il Convento-Ospedale di Dio. All’estremità sud della Piazza, era l’antica sede del Museo Archeologico, oggi uffici della Soprintendenza ai Beni Culturali (fig.14);
costruito nel 1886 nella sua sede storica di Piazza del Duomo, si presenta come edificio a due piani in stile eclettico tardo-barocco.
Fu qui che nel 1885 Guy de Maupassant, passando da Siracusa, potè ammirare la Venere Landolina, da poco rinvenuta in un ninfeo negli Orti Bonavia, dall’archeologo Saverio Landolina Nava. Ne fece una commovente descrizione: ”Non è la donna vista dal poeta, la donna idealizzata, la donna divina e maestosa … è la donna così com’è, così come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere” (fig.15).
Fronteggia l’antica sede del Museo archeologico la chiesa di Santa Lucia alla Badia, con il balcone continuo per l’affaccio delle suore, sta a ricordare l’uso della piazza come luogo urbano per processioni e feste, durante le quali la popolazione si ritrovava davanti alle sedi del poter politico e religioso: il Vescovato, il Palazzo di Città e quello della sua famiglia più influente, il Palazzo Beneventano. La chiesa, realizzata su progetto di Luciano Caracciolo è dislocata all’imbocco sud della grande piazza e conserva la magnifica tela di Caravaggio del Seppellimento di Santa Lucia (fig.16).
Nella seconda metà del 1608 Caravaggio approdò a Siracusa dove lo attendeva un vecchio amico, Mario Minniti, un pittore ben inserito in ambito locale. Minniti ospitò Caravaggio in fuga da Malta, privo di qualunque sostentamento; accettò quindi l’offerta del Senato siracusano per una dipingere una pala per l’altare maggiore della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro, la patrona della città, un’opera di Giovanni Vermexio, che sorge presso il cimitero fuori la mura, ove la santa fu martirizzata e sepolta (fig.17).
Nel giro di pochi mesi Caravaggio eseguì per i siracusani il Seppellimento di Santa Lucia (fig.18). La scena è drammatica; in primo piano due scavatori a gambe divaricate sono ritratti mentre preparano la fossa. Dietro di essi è la santa, distesa con il capo riverso, circondata da un gruppo di fedeli in processione guidati dal vescovo benedicente. La luce, come spesso in Caravaggio, proviene da destra della scena, da una sorgente fuori dal quadro che illumina nettamente i personaggi e il viso della santa, diffondendosi nello spazio vuoto dello sfondo. Caravaggio ambientò la scena nelle catacombe su cui fu edificata la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro.
La tela, dopo una serie di importanti restauri realizzati dall’Istituto Centrale del Restauro diretto allora da Giovanni Urbani, fu a lungo esposta alla Galleria siracusana di Palazzo Bellomo.
“Non un’opera minore del Caravaggio, ma uno dei grandi capolavori; basilare per la conoscenza dell’arte del maestro al suo fortunoso sbarco da Malta a Siracusa”,
scriverà Cesare Brandi.
L’opera -di cui si è molto discusso in queste settimane- trova oggi la sua definitiva collocazione nell’abside della chiesa di Santa Lucia alla Badia in piazza del Duomo (fig.19).
La piazza del Duomo di Siracusa è circondata da edifici monumentali; il Duomo, le chiese, i palazzi barocchi; lo stesso tracciato urbano della piazza si presentano come una un’unica struttura urbana anch’essa monumentale: nella regolarità del suo tracciato geometrico non si riflette solo un desiderio di ordine ma anche la volontà di rievocare l’origine, le vicissitudini e la storia della città.
Francesco MONTUORI 13 dicembre 2020